lunedì 28 aprile 2014

Ultima lettura: "Cosa vuoi fare da grande" di Ivan Baio e Angelo Orlando Meloni


Cosa vuoi fare da grande

Autore: Baio Ivan- Meloni Angelo Orlando
Dati: 2013, 172 p., brossura; disponibile in formato ePub
Editore: Del Vecchio Editore (collana Formelunghe)

Solo gli uomini le sparano grosse e covano sogni
 e studiano tutta la vita
anche se sanno che i sogni sono fragili,
le notti lunghe e solitarie,
gli amori un affare per pochi.

A volte essere una lettrice disordinata è un grosso svantaggio, soprattutto per i libri. Passare da un classico come Simenon a due quasi esordienti come Ivan Baio e Angelo Orlando Meloni (Baio mi pare di capire che sia alla sua prima prova narrativa, mentre Meloni è autore di un altro romanzo, “Io non ci volevo venire qui”, che a questo punto dovrò leggere) può lasciare spazio a qualche disorientamento.
Passare soprattutto da un genere di romanzo finemente psicologico a uno surreale e grottesco che fa l’analisi psicologica sì, ma ad un intero sistema sociale, è veramente un salto nel vuoto per chi legge e per chi è letto (dopo Simenon, in questo caso). Insomma, mal gliene incolse al duo Baio-Meloni, verso i quali per tre quarti del loro libro ho nutrito sentimenti discordanti, tendenti soprattutto allo sfavorevole.
Photo HelenTambo on Instagram

Intanto, di che si tratta: Volkan Kursat Bayraktar, un giovane (e sfigato, ma bravissimo) studente turco al prestigioso Massachusetts Institute of Technology, aspirante ingegnere, inventa il futurometro, aggeggio avveniristico in grado di stabilire quale possa essere il destino degli studenti, in base alle loro attitudini, misurate su parametri imperscrutabili. A dieci anni dall’esordio, il futurometro ha rivoluzionato l’esistenza di Volkan, diventato ormai ricchissimo, e la naturale evoluzione della società. La scuola elementare Attilio Regolo viene selezionata dal Ministero dell’Istruzione Privata e Pubblica per la sperimentazione in Italia della macchina che cambierà la vita dei suoi piccoli alunni. Così, in un tripudio di fanfare, buffet, striscioni, cori organizzati, mise improbabili, sfilano la direttrice della scuola, le mamme, alcuni diabolici bambini, i bidelli: in mezzo a tutti, Gianni e Guido, amici per la pelle, ragazzini ai margini, eroi involontari di un evento al limite dell’incredibile.
Divertimento e fastidio per qualche forzatura di troppo si sono alternati in crescendo: in 109 pagine di ebook, le 172 pagine della brossura, sono concentrati troppi nomi (tutti fin troppo fantasiosi come Dagoberto Domenicani, Onofrio Ora, Gemma Tuttacani, Giangiglio, Aldomarco, Grammazio, Edo Doni ecc. ecc.), troppe catastrofi descritte con toni apocalittici alla Ammaniti al massimo della sua ispirazione splatter (senza essere Ammaniti al massimo della sua ispirazione splatter), troppe scene che si accavallano e che rischiano di confondere il lettore.
A quasi tre quarti della lettura ho cominciato però a intravedere qualcosa di meno scontato del voler essere a tutti i costi divertenti: fino a quel momento mi ero immaginata i due autori al lavoro, un po’ stravaccati sul divano, a immaginare le scene e a fare a chi la spara più grossa, più apocalitticamente divertente, più grottesca, a fare a chi si inventa i nomi più strampalati, le descrizioni più trash, le battute più cinicamente spiritose. Sicuramente le cose non sono andate così, magari Baio e Meloni hanno lavorato più professionalmente da come li ho pensati, forse a distanza, scambiandosi file di confronto, scrivendo versioni diverse delle stesse scene per poi decidere quale promuovere: insomma, non ho idea di quale sia stata la genesi di questo romanzo, ma per quasi tutto il tempo della lettura i due autori me li sono immaginati così, un po’ stravaccati, sia pure attenti ad una forma assolutamente ineccepibile, snella, veloce, con una grande cura per il lessico. Poi, ripeto, qualcosa è cambiato, e ho cominciato a vederli seduti a tavolino, uno di fronte all’altro, seriamente impegnati a trovare la forma migliore per raccontare una storia di emarginazione sconfitta, una storia in cui non solo è la scuola ad essere protagonista (una scuola un po’ patetica, che pensa che l’innovazione tecnologica sia la panacea di tutto e che rischia di trascurare le persone, specie le più difficili), la storia di un’invenzione inutile, quella con la quale si pensa di poter predire il futuro ai nostri alunni.
Le perplessità che avevo all’inizio si sono dissolte: scegliere di parlare di scuola in modo così surreale, ponendo l’attenzione su quelli che sono davvero i suoi problemi, è stato coraggioso. Non so quanto questo coraggio sia consapevole nei due autori, ma intanto il risultato è questo: un romanzo breve, onirico al limite dell’incubo fantascientifico, eppure così vicino ad una paradossale realtà.

martedì 22 aprile 2014

Ultima lettura: "Betty" di Georges Simenon


Betty

Autore: Simenon Georges
Dati: 1961 Georges Simenon Limited (a. Chorion Company); 1992, 141 p., 12 ed. brossura
Editore: Adelphi (collana gli Adelphi)

Sapeva già molte cose
che non voleva ancora realmente sapere
 e faceva apposta a respingerle nel vago,
in quello che un tempo chiamava limbo.

Photo HelenTambo on Instagram
Uno sente il nome di Simenon e subito pensa a Maigret. Anzi, a essere sinceri, immediatamente pensa a Gino Cervi, che del commissario inventato da Simenon nel 1931 fu insuperabile interprete, in una fortunata serie di sceneggiati televisivi prodotti e trasmessi dalla Rai tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta. Ma insomma, anche a non voler ricordare la riduzione televisiva delle inchieste del commissario Maigret, succede che si scopra -magari tardi- che, oltre ad essere autore di circa 107 tra romanzi e racconti che hanno per protagonista il forse più celebre poliziotto di tutti i tempi, Simenon ha scritto un numero imprecisato di scritti, molti sotto pseudonimo, che con il suo Maigret nulla hanno a che fare. E si scopre magari che, in fondo, la produzione di Georges Simenon riguarda il famoso commissario in una percentuale approssimativa di un quarto del totale supposto: pare addirittura che lo stesso scrittore non conoscesse l’esatta entità della sua produzione scritta.
Tutto questo lo ignoravo fino all’incontro con Roberto Cotroneo, in occasione di una presentazione del suo ultimo romanzo Betty, di cui ho già parlato qui.
Cotroneo, presentando il suo giallo (che ha come protagonista proprio lo scrittore belga, coinvolto, durante un suo soggiorno a Porquerolles in Costa Azzurra, nel mistero di Pauline che ha deciso di modellare la sua vita su quella perduta di Betty, il personaggio principale di uno dei romanzi dello scrittore, per il quale la donna coltiva una vera e propria venerazione) indugia volentieri a parlare di Simenon, svelando curiosità sulla sua vita e in questo modo invitando a conoscerlo meglio.
Inutile dire che dall’ascoltare le parole di Roberto Cotroneo a leggere il suo libro e contemporaneamente procurarsi una copia di Betty di Simenon, è stato un susseguirsi di eventi inevitabili. Conosciuta la Pauline/Betty di Cotroneo, dovevo conoscere la Betty di Simenon.
In breve, Betty è una giovane e bella donna, della quale si descrive la discesa in un vortice di perdizione, in seguito alla scoperta del suo tradimento, in flagranza, da parte del marito e della suocera e la conseguente cacciata di casa, con rinuncia scritta a vedere le sue bambine, per sempre. In realtà l’inquietudine di Betty aveva trovato nel matrimonio borghese solo una parentesi di tregua: la donna era stata sempre profondamente irrequieta e curiosa, di una curiosità morbosa che l’aveva spinta da sempre a sperimentare l’estremo. Sembra debole e fragile, Betty, raccolta ubriaca e accudita generosamente da Laure, una vedova che la ospita nell’albergo in cui vive. Si rivelerà tutt’altro: nonostante l’esilità fisica e le intemperie della vita, Betty sarà una specie di dark lady, una mantide che divora quanto di vitale la circonda.
Simenon riesce a disegnare questa figura di donna con tutte le sue ombre, delineando con precisione i contorni dei suoi pensieri, in uno scavo psicologico sottile e profondo; tra un fosco presente e un lucido passato appena avvenuto, i momenti più drammatici si ripropongono alla memoria e si rincorrono con cadenza quasi regolare, attraverso flashback confusi nel sonno. I personaggi che circondano questa eroina negativa, Laure, Mario, il marito Guy, la ‘generalessa’ suocera, i cognati, sono tracciati con altrettanta cura, sembra di vederli muoversi tra le stanze del Carlton e la Buca, tra Parigi e Lione, tra la vita di adesso e la vita di prima.
La storia di Betty prende vorticosamente, non riesci a separartene con facilità, merito sicuramente della scrittura di Georges Simenon, che scorre fluida e incalzante. Simenon è elegante, anche quando affronta i passaggi più scabrosi dell’esistenza di Betty, non indugia morboso, ma passa lieve nonostante la drammaticità degli eventi narrati. Non piace solo la storia che Simenon racconta, ma piace come la racconta.
Per me si tratta solo di un inizio: scoperto Simenon con uno dei suoi romanzi forse meno conosciuti, il desiderio di leggere ancora altro è prepotente. Il fatto che dal 1991 un editore come Adelphi, garanzia di cura per i particolari dalle traduzioni alla veste grafica, abbia cominciato la pubblicazione di tutte le opere di Simenon, non fa che rafforzare l’intenzione di recuperare quanto perso in tutti questi anni da lettrice disordinata.

giovedì 17 aprile 2014

Sul comodino: "Betty" di Roberto Cotroneo


Betty

Autore: Cotroneo Roberto
Dati: 2013, 188 p., rilegato
Editore: Bompiani (collana Narratori italiani)

Ero alle prese con un caso sconvolgente.
Una donna legge un mio romanzo, prende il nome della protagonista
e vive come se fosse lei.

Sto leggendo l’ultimo romanzo di Roberto Cotroneo, “Betty” (occhio all’accento, il nome si pronuncia alla francese, sull’ultima vocale): un giallo definito dall’editore (e dall’autore stesso) come ‘giallo d’autore’ perché risente fortemente di uno stile che non risponde alle regole del classico giallo, quello deduttivo, ad enigma, dove il lettore viene accompagnato -indizio dopo indizio- a scoprire la soluzione del caso.
Photo HelenTambo on Instagram
Il protagonista è Georges Simenon, lo scrittore belga di lingua francese, inventore del commissario Maigret, un investigatore che ha abitato l’immaginario di tutti gli italiani tra gli anni Sessanta e Settanta, quando il grande Gino Cervi lo impersonava in una serie fortunata di sceneggiati televisivi in bianco e nero. Lo scrittore si trova a Porquerrolles, isola della Costa Azzurra, dove da anni trascorre periodi più o meno lunghi di riposo, spesso creativo. Ormai anziano, stanco e sofferente, la sua vacanza viene turbata in qualche modo da una vicenda misteriosa che riguarda la presenza sull’isola prima e la morte violenta poi di Betty, una donna che sembra aver voluto riprodurre la tragica esistenza della protagonista di un romanzo dello stesso Simenon, Betty appunto, della quale assume il nome fittiziamente, per una volontà di identificazione totale con un personaggio torbido e tragico.
Non è un giallo a tasselli e incastri, in cui tutto è deciso dall’inizio dal suo autore, che invece presenta la storia nel suo svolgimento, avendo solo poche linee portanti, in un flusso di coscienza, come ha affermato lo stesso Cotroneo, che riguarda Simenon, il quale racconta la storia in prima persona attraverso le pagine di un diario finora inedito. Questo testo lo leggiamo ora, dopo che è arrivato per caso nelle mani dello scrittore che decide in seguito di pubblicarlo, dopo averne scoperto l’autore, secondo l’espediente del manoscritto perduto, tipico del romanzo storico dell’Ottocento, divenuto cliché nella storia letteraria fino ai giorni nostri, passando da Manzoni a Sartre, a Eco.
La scrittura di Roberto Cotroneo è sempre molto introspettiva e lirica, anche in un giallo atipico come questo: leggendolo mi è venuta voglia di andare a Proquerolles, alla scoperta di questa specie di paradiso mediterraneo dalla storia affascinante, e di leggere “Betty” di Simenon, che è già sul mio comodino e che leggerò di seguito al romanzo di Cotroneo. Per una vacanza a Porquerolles mi organizzerò.

domenica 13 aprile 2014

Ultima lettura: "L'anello inutile" di Maria Pia Romano


L’anello inutile

Autore: Romano Maria Pia
Dati: 2012, 80 p.
Editore: Besa (collana Nuove lune)

Sono sempre stata fuori tempo

Prendo in prestito il titolo del saggio di Roland Barthes, “Frammenti di un discorso amoroso”, per cercare di definire questa prova narrativa di Maria Pia Romano, giornalista prestata alla poesia e alla prosa letteraria. Perché questo sembrano le ottanta pagine in cui il pensiero scivola, tra frasi spezzettate a inseguire sensazioni istantanee e fuggevoli, e ricostruisce un discorso d’amore che attraversa quattro elementi naturali e quattro protagonisti, in qualche modo legati tra loro.
Photo Elena Tamborrino
Non si intravede una trama, ma lo zingaro, il violinista, la vecchia macàra ‘domatrice di nostalgie’ e la ragazza, si riconoscono intimamente fusi negli elementi che li narrano -rispettivamente acqua, aria, terra e fuoco- in schegge di ragionamenti, fortemente evocativi.
Il romanzo (romanzo?) è quindi strutturato in quattro brevi parti, corrispondenti ciascuno a un principio naturale e a un personaggio, che si racconta in squarci frammentari che volta per volta sono sorsi, respiri, passi e scintille. Ogni personaggio è legato a quello successivo, a cui idealmente passa il testimone.
Leggendo, fin dalle prime pagine mi è sembrato di riconoscere una vena di ispirazione simile a quella di Roberto Piumini e del suo “Non altro dono avrai”, il canto amante in versi che è un atto d’amore verso l’amore stesso, pura passione amorosa che si cristallizza nella sua utopia: qui c’è qualcosa in più, c’è una riflessione che riguarda la condizione umana declinata a tutto tondo e su quattro personalità diverse, legate tra loro ma contrastanti a tratti. A fare da filo rosso, è la terra del Salento, che colora aria e mare quando piove: emerge dalla scrittura lirica di Maria Pia Romano, un grande attaccamento a questa terra, a Porto Badisco, primo approdo di Enea, alle grotte scoperte in quella zona dagli speleologi più appassionati. Per chi conosce bene le zone descritte, è davvero un bel regalo: il colore del mare sembra di vederlo, la terra rossa è reale, il lago di bauxite nei pressi di Otranto è lì.

mercoledì 9 aprile 2014

Sul comodino: "L'inconfondibile tristezza della torta al limone" di Aimee Bender


L’inconfondibile tristezza della torta al limone

Autore: Bender Aimee
Dati: 2011, 332 p., brossura
Editore: Minimum Fax (collana Sotterranei)


Perché io sento il sapore dei sentimenti
che le persone non sanno nemmeno di provare, le risposi.
Ed è un’esperienza assolutamente di merda, conclusi.

Mi faccio attrarre dai titoli e questo mi ha folgorato da subito, solo che ci ho messo un po’ a decidere di acquistarlo in ebook e infine di leggerlo.
Photo HelenTambo on Instagram

Rose ha nove anni e improvvisamente scopre di riuscire a distinguere nel cibo che mangia l’anima di chi lo ha preparato e anche i luoghi di provenienza delle materie prime. Ma è soprattutto quando in quei sapori riconosce sentimenti di tristezza, come nella torta al limone che ha sempre amato, o di frustrazione, di noia, di angoscia, che un malessere malcelato comincia a condizionare il modo in cui Rose guarda al mondo. Il retrogusto di volta in volta amaro, metallico, pastoso, sarà il filtro esistenziale che, negli anni a seguire, determinerà il suo porsi in famiglia e a scuola, con i genitori e i pochi amici, con il tormentato fratello Joe e con l’amico George, dal quale è attratta fin da bambina.
Mi sta piacendo questo romanzo: è delicato, dà voce a sentimenti ed emozioni in cui è possibile riconoscersi, evoca immagini vivide. Da leggere, io ne sono entusiasta.

domenica 6 aprile 2014

Frequentando salotti letterari... "Lotto 25. Chi ha ucciso Annarella Bracci?" di Riccardo D'Anna


Lotto 25.  Chi ha ucciso Annarella Bracci?

Autore: D’Anna Riccardo
Dati: 2013, 208 p., brossura
Editore: Perrone (collana Hinc)

Tutto è meglio di niente, quando non resta altro

Un caso di cronaca nera degli anni Cinquanta sembra al centro di questo libro di Riccardo D’Anna. E non a caso uso i termini ‘sembra’ e ‘libro’: ‘sembra’ perché il caso di Anna Bracci non è posto, malgrado il titolo, al centro dell’attenzione del lettore, ‘libro’ perché mi risulta difficile attribuire la narrazione ad un genere preciso, non potendovisi riconoscere un racconto, un romanzo, ma solo una serie di flash e di quadri non strutturati, che rimandano avanti e indietro nel tempo, in una serie di immagini che non hanno collegamento, se non la desolazione di un luogo, Primavalle.
Photo Elena Tamborrino
Si parte quindi dal titolo, dalla domanda che pone -chi ha ucciso Annarella Bracci?- e dall’immagine di copertina, che rimanda ad una bambina dall’apparente età di cinque o sei anni, aggrappata alla ringhiera di una casa popolare, con un piedino sospeso nel vuoto: sembra che stia dicendo qualcosa in direzione di chi sta scattando la fotografia. Immediatamente pensi che si tratti di lei, di Annarella, la bambina uccisa dopo un tentativo di stupro e gettata in un pozzo, dove fu trovata una ventina di giorni dopo la scomparsa, ma poi scopri che invece no, non è lei, si tratta di un’immagine d’epoca che si riferisce sicuramente ad un contesto preciso, ma non alla bambina che tu hai immaginato e accompagnato con il pensiero per tutto il tempo impiegato nella lettura. Questo un po’ delude, ma d’altra parte di Anna Bracci pare esista solo un’immagine, pubblicata all’epoca dei fatti dall’Unità, che la raffigura nel giorno della sua Prima Comunione.
Il nome dell’assassino di Anna Bracci è rimasto sconosciuto, si tratta di un caso rimasto irrisolto nonostante le vicende processuali che hanno visto protagonista Lionello Egidi, presunto amante della madre della bambina, arrestato, scarcerato, reo confesso, assolto infine in Cassazione per insufficienza di prove, protagonista ancora di un fatto di molestie sessuali ai danni di un minorenne. E intorno alle vicissitudini giudiziarie del supposto omicida, a partire dai primi sospetti, vanno i fugaci riferimenti dell’autore nella prima parte del libro, dove vero protagonista è il quartiere Primavalle, una borgata composta all’epoca da lotti abitativi uniformi nel loro squallore, dove l’estate “è il suo cielo sbiadito”.
A Primavalle, a quella Roma popolare e deprivata e ai suoi abitanti, è dedicata quindi la prima parte del libro, in un susseguirsi di efficaci quadri descrittivi e narrativi, di una narrazione lirica e a tratti spezzata, “pezzi di un mondo che non esiste più”: come dicevo prima, avanti e indietro nel tempo, si procede tra anni Cinquanta e la tv di oggi, Falcone e Borsellino, Fiorello e Ballarò, i fratelli Mattei e il rogo in cui trovarono la morte, la banda del Kawasaki, l’austerity degli anni Settanta e Silvia Baraldini, i personaggi del quartiere e le loro storie personali (“Un quartiere qualsiasi, simile a tanti altri, dove ciascuno ha una piantina immaginaria, sedimentata, fatta di sensazioni, ricordi, fotografie sbiadite, schegge di telegiornali.”). Tutti si avvolge intorno al lettore, con fugaci riferimenti all’omicidio di Annarella, alla sua scomparsa, al funerale, ai sospetti sulla madre e sul ‘biondino di Primavalle’, quell’Egidi che fa pensare al ‘biondino della spider’ del caso Sutter, anni dopo.
Nella seconda parte, finalmente, D’Anna concentra l’attenzione sull’intera storia di Annarella Bracci e del suo destino, compresso in un ambiente degradato dove sopravvivere forse era una scommessa, e lo fa comunque con divagazioni su luoghi e vicende correlate.
Quello di D’Anna, per sua stessa ammissione, è un atto d’amore per Primavalle, luogo al quale si sente legato da un profondo senso di appartenenza: ma è lo stesso senso di identità che non può riguardare tutti i lettori, che restano estranei al coinvolgimento emotivo che quel teatro può evocare in chi lo conosce e lo pratica sempre. Di Roma i non romani hanno spesso un’immagine stereotipata che passa dal Colosseo e da piazza Venezia, da Trinità dei Monti e da Piazza di Spagna, dalla Fontana del Tritone e dalla Fontana di Trevi, da San Pietro a Trastevere: il degrado del sobborgo, così diverso e così uguale in tutti i sobborghi del mondo, emerge nel contrasto con il centro turistico della città, così smaccatamente distante.
Della storia, abbiamo un breve racconto cinematografico di Luchino Visconti (prodotto da Marco Ferreri e con la voce narrante di Vasco Pratolini), ricordata dallo stesso D'Anna sul finire del suo libro: a questo cortometraggio, riferisce l'autore, la censura non dette parere favorevole affinché venisse conosciuto dal grande pubblico, tanto che rimase un episodio isolato nella storia cinematografica del grande regista. Fortunatamente per noi, oggi esistono i grandi canali di divulgazione mediatica come YouTube.