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martedì 4 ottobre 2016

A volte ritorno

Come annunciato qualche giorno fa, “Io e Pepe (e libri e altro)” riapre i battenti, non senza ragionamenti e mille ripensamenti, soprattutto perché mi sono chiesta più volte a cosa possa servire questo spazio, uno tra i tanti in cui si parla di libri. 
Ho sentito in tanti momenti il peso di un impegno verso il quale un po’ dell’entusiasmo iniziale è andato scemando via via, fino a lasciare quasi un senso del dovere, più che del piacere di scrivere. Che poi, dovere verso chi? 
Risolto che non sento di aver doveri verso nessuno, nemmeno verso me stessa, riprendo da dove ho lasciato, facendo un breve riassunto di quello che ho letto in questi due mesi di pausa dal blog, in due parti, altrimenti diventa un post troppo lungo che abbandonereste a metà (perché si sa che i testi troppo lunghi, letti in rete, annoiano anche se sono scritti bene e varrebbe la pena andare fino in fondo). 
 
Photo HelenTambo on Instagram

Aspettavo agosto per dedicarmi ai libri in attesa sul comodino, quelli che lasci aspettando il momento del relax, le ferie, le giornate al mare o comunque in vacanza in posti dove puoi startene in pace, senza altri impegni. 
È stato così che ho lasciato aspettare l'ultima inchiesta del commissario Bordelli, il poliziotto creato da Marco Vichi (“Fantasmi del passato. Un’indagine del commissario Bordelli, Guanda 2014), di cui ho letto tutte le avventure, in attesa che arrivasse il momento giusto per godermelo, insieme ad altri romanzi che pensavo di leggere durante questa estate. 
Invece mi sono impantanata per troppi giorni in questa lettura che è andata avanti molto svogliatamente, dove la soluzione dell'omicidio che doveva essere il fulcro del romanzo si perde tra i rimpianti di Bordelli, i ricordi di guerra suoi e dei suoi amici, le cene nella cucina di Totò e nella casa di campagna con l'allegra brigata di quasi settantenni pieni di vitalità sentimentale (vabbè, vitalità... si fa per dire). 
Nel frattempo avrei potuto leggere almeno altri tre romanzi, che hanno dovuto attendere tempi migliori. Peccato. 

In realtà, un po’ prima che iniziassero le vacanze estive ho letto in eBook il mio primo Carrére, “L’avversario” (Adelphi, 2013) con una storia tragica e inspiegabile, che però l'Autore prova a analizzare, cercando tra i meandri più nascosti di una mente deviata. 
La curiosità per questo libro mi è venuta un giorno in macchina, mentre ascoltavo guidando la trasmissione di Radio 2  Social Club condotta da Luca Barbarossa e Andrea Perroni: si parlava di bugiardi seriali e proprio Barbarossa ha ricordato il tema di questo romanzo di Carrére, senza però citarne il titolo. Una breve ricerca mi ha portato a conoscere di che libro si trattasse. Questo ha dichiarato lo stesso autore a proposito di questo romanzo/documento: "Il 9 gennaio 1993 Jean-Claude Romand ha ucciso la moglie, i figli e i genitori, poi ha tentato di suicidarsi, ma invano. L'inchiesta ha rivelato che non era affatto un medico come sosteneva e, cosa ancor più difficile da credere, che non era nient'altro. Da diciott'anni mentiva, e quella menzogna non nascondeva assolutamente nulla. Sul punto di essere scoperto, ha preferito sopprimere le persone il cui sguardo non sarebbe riuscito a sopportare. È stato condannato all'ergastolo. Sono entrato in contatto con lui e ho assistito al processo. Ho cercato di raccontare con precisione, giorno per giorno, quella vita di solitudine, di impostura e di assenza. Di immaginare che cosa passasse per la testa di quell'uomo durante le lunghe ore vuote, senza progetti e senza testimoni, che tutti presumevano trascorresse al lavoro, e che trascorreva invece nel parcheggio di un'autostrada o nei boschi del Giura. Di capire, infine, che cosa, in un'esperienza umana tanto estrema, mi abbia così profondamente turbato - e turbi, credo, ciascuno di noi." (Emmanuel Carrère) 
Un pugno allo stomaco che fa pensare. 

Mesi fa ho letto un articolo sul libro di Pia Pera, “Al giardino ancora non l’ho detto” (Ponte alle Grazie, 2016, il titolo è preso in prestito da un verso di Emily Dickinson, I haven’t told my garden). 
Non conoscevo questa scrittrice, giornalista, traduttrice, specializzata in natura, paesaggi e giardini, ma credo che la conoscessero bene i lettori della rivista di giardinaggio "Gardenia", alla quale collaborava. Sapevo della sua malattia, che non lascia scampo e della quale poi è morta nel mese di luglio, e di come lei l'aveva raccontata nel suo libro: ho comprato il libro appena pubblicato e ho iniziato a leggerlo nei giorni immediatamente successivi alla morte dell’Autrice e questo probabilmente ha un po' influenzato la mia percezione.
Non c'è trama, non è una storia, è il diario di una malattia difficile, accompagnato dalle riflessioni sull'evoluzione di una situazione invalidante che è solamente fisica, perché intanto resiste la volontà di reagire e di cercare conforto nel giardino, luogo che ha raccolto il lavoro e la passione di Pia Pera. È anche il diario del progredire degli eventi naturali nel giardino, che la scrittrice amorevolmente curava da anni: un libro di spessore, una profonda riflessione sulla speranza, sulla paura e sul coraggio che ci vuole quando, con coscienza, si sa di dover morire. 
Struggente e faticoso, perché vero. 

Verso la fine dell’estate ho letto “Orizzonti di gloria” di Humphrey Cobb, pubblicato la prima volta nel 1937: da questo romanzo, vent'anni dopo la sua pubblicazione, Stanley Kubrick ha realizzato l'omonimo film, destinato a superare in fama il romanzo stesso. 
Disponibile nella traduzione di Grazia Proietti (Castelvecchi, collana Narrativa, 2014), oggi lo possiamo leggere anche nella collana "Narrativa della Grande Guerra" curata da Corriere della Sera (disponibile nello store online). 
La storia si svolge durante la Prima Guerra Mondiale: sul fronte occidentale i soldati francesi ricevono l'ordine di assaltare una postazione inespugnabile, il Formicaio. Sotto il fuoco nemico l'operazione fallisce, ma la miopia degli alti comandi, indispettiti dal disastro annunciato e puntualmente verificato, porta all'apertura di un'inchiesta che si conclude con un processo sommario presso la Corte Marziale, che condanna a morte tre militari con l'accusa di codardia. 
Il processo si dimostra una farsa in cui tutto deve svolgersi come preventivamente deciso, cioè con la condanna certa di innocenti, che tutto sono stati meno che vigliacchi. A nulla può la difesa, l'accusa svolge il suo compito con cieca risolutezza e la Corte non fa altro che accoglierne le istanze. 
Una denuncia lucida e spietata di come si sono spesso comportate le corti marziali di qualunque esercito, su qualunque fronte. 

Ho letto poi “Caffè amaro” di Simonetta Agnello Hornby (Feltrinelli, 2016), una scrittrice che mi piace molto e della quale ammiro il rigore con cui ricostruisce il quadro storico che fa da sfondo ai suoi romanzi, infatti si documenta molto, ha una fase di preparazione ai suoi lavori molto lunga, proprio per la ricostruzione storico-sociale del periodo in cui ambienta le sue storie. E poi racconta di amore con grande capacità di emozionare, il che me la fa apprezzare ancora di più. 
È una storia potente quella di Maria, che attraversa un cinquantennio in Sicilia e non solo, dalla piena età giolittiana alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Lo sfondo storico risalta nelle vicende familiari della protagonista e ne condiziona il corso. 
Simonetta Agnello Hornby dimostra ancora una volta rigore nella scrittura e capacità elevata di coinvolgimento nel racconto della vita di una donna, un'altra delle sue protagoniste, che non si potrà dimenticare. Ho assegnato 5 stelline su Goodreads a questo libro che ho letto in tre giorni, completamente assorbita dalla storia umana e sentimentale di un personaggio straordinario. 

Chiudo questa prima parte del mio resoconto estivo con una nota negativa, che riguarda “Il dio delle piccole cose” di Arundhati Roy (Guanda 2008): si può decidere che un libro è sconclusionato dopo aver letto solo un decimo delle pagine, corrispondente al primo capitolo? Sì, si può. 
Non so se gli darò altre possibilità, ma come dico spesso la vita è troppo breve per leggere brutti libri. Quello che mi sorprende è il ricordo di un’accoglienza piena di entusiasmo alla sua uscita, cosa che mi aveva spinto ad acquistarlo per poi tenerlo lì, in attesa del momento giusto che pensavo fosse arrivato su proposta del gruppo di lettura che frequento mensilmente: mi consola il fatto che quasi nessuno è riuscito ad andare oltre le prime quaranta pagine (qualcuno ha mollato molto prima). Ci sarà un perché.

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