Ho odiato a morte il Libertà ma,
mi colpisca un fulmine se non è vero,
l’ho anche amato pazzamente
Sono condensati in queste poche parole i sentimenti che legano Rita Lopez alla sua Bari, o meglio, al quartiere Libertà, ai margini del centro elegante della città, tra il mare e la stazione ferroviaria: un quartiere difficile, coacervo di umori che si annidano nella micro e macro criminalità, snodo di vicende che vedono convivere anime diverse, con destini variegati, con memorie, aspirazioni e sogni disperati.
Non solo: il Libertà, quel Libertà tanto odiato almeno quanto amato, nei racconti della Lopez è culla di una generazione divisa tra il passato, prepotente negli sguardi e nelle parole di nonni e genitori, e il presente, fatto di un'affermazione personale, lontana fisicamente dal luogo di origine, ma forte nei legami di sangue che superano le distanze e si completano con gli amici di oggi.
Le memorie di bambina e di adolescente fanno da comune denominatore a tutte le sette storie che Rita racconta e nei ricordi c’è sempre un elemento che rappresenta la via di fuga, il modo per salvarsi l’esistenza e questo è la musica: di diverso genere, di diverse epoche, tutta la musica che Rita Lopez racconta, segna momenti e persone, consola, accompagna nella vita, aiuta a crescere.
Forte è l’elemento autobiografico che riecheggia nella pianola elettrica del nonno, e prima ancora nella chitarra e nella tromba e nella fisarmonica che gli aveva sentito suonare, in quel “Selling England by the pound” dei Genesis mandato al massimo volume mentre si puliva il teatro parrocchiale dove “un esercito di adolescenti” avrebbe tenuto uno spettacolo tutto suo, nell’opera lirica al Petruzzelli con la zia Teresa che, in quelle serate al palco si svestiva della sua vita per indossare quella delle eroine del melodramma, trasfigurandosi in esse. E ancora in quel rock che, insieme al pane duro, era l’ingrediente principale delle giornate nella casa dello studente, a Roma.
Ma non è solo ricordo della propria vita, dei momenti fatti di oggetti, persone, odori, sapori, rumori del quartiere, è anche il risuonare di altre storie, magari sentite da ragazzina, raccontate dai grandi: e allora conosciamo “Marianna della radio”, la vedova che lavora come operaia alla manifattura tabacchi e lì canta, anche se è proibito perché distrae; e ancora Davide, il figlio di Filippo che per colpa degli altiforni di Taranto ci stava rimettendo la vita e per fortuna suo figlio no, ché quello si era salvato con la musica, con lo studio. E infine Elettra e Sara, due compagne di scuola diverse per estrazione e vita, accomunate dal piacere della musica, Springsteen vs Bach, in uno scambio che è paura del confronto e gioia nel riconoscersi, in fondo, molto simili.
Tutti i racconti di Rita Lopez, per quanto disuguali in alcune scelte tecniche –il racconto in prima persona o in terza persona; le epoche e le ambientazioni, non solo Bari ma anche Roma e Taranto- sono accomunati da uno stile ritmato, fatto di frasi brevi, anche brevissime e dal ricorso ad espedienti retorici, ad esempio la ripresa anaforica, che danno un andamento quasi sincopato ad alcuni passaggi e che fanno della prosa quasi poesia, oltre che l'uso del dialetto, da cui non si può prescindere.
Un esordio che personalmente attendevo, conoscendo da tempo Rita e la sua scrittura, finora relegata nelle belle pagine del suo blog, Rita Lopez, Storie e altro (gli Dei. Gli eroi. Le donne egli uomini.) aperto forse un po’ per caso e sicuramente dietro insistenza di chi le diceva “sei pazza a scrivere le tue cose su Facebook e lasciarle a disposizione così, apri uno spazio tuo, solo tuo” e aspettava che qualcun altro si accorgesse di quanto è brava, ché certo sarebbe successo. Ed è successo.
NB. Ho scritto questa recensione ascoltando questo.
Photo HelenTambo on Instagram |
Vie d’uscita
Autore: Rita Lopez
Dati: 2016, 88 p., brossura
Editore: Florestano Edizioni
Prezzo: € 10,00
Giudizio su Goodreads: 5 stelline
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