Lamento di Portnoy
Autore: Roth P. (traduzione di Roberto
C. Sonaglia)
Dati: 2005 (edizione originale Portnoy’s Complaint, 1967), p. 234, brossura
Editore: Einaudi (collana Scrittori)
Dati: 2005 (edizione originale Portnoy’s Complaint, 1967), p. 234, brossura
Editore: Einaudi (collana Scrittori)
Dottore, forse gli altri sognano le cose... a me capitano
tutte.
Ho una vita senza contenuti latenti.
Le cose da sogno succedono!
Ma veramente penso di poter scrivere la recensione di
“Lamento di Portnoy”?
Veramente penso di poter parlare (io!) di uno dei romanzi
più belli che mi sia capitato di leggere negli ultimi anni, un monumento al complesso
di Edipo -ma che dico?- un monumento e basta, un dramma terribile intriso di
frustrazione e sensi di colpa atavici, di sesso e ossessioni, il tutto impastato di sarcasmo e ironia
(e autoironia) graffiante, irresistibile, fantasiosa, dissacrante, al limite
della comicità pura (tempi perfetti!), capace nel contempo di ispirare veri
sentimenti di pietà e partecipazione verso il povero protagonista, Alex
Portnoy?
Photo HelenTambo on Instagram |
Veramente penso (io, io!) di poter parlare di uno scrittore
che non si sa per quale motivo non si vede attribuito il Nobel per la
Letteratura, dopo aver collezionato molti prestigiosi premi (Pulitzer Prize
compreso, per “Pastorale americana”) e la cui opera omnia è stata pubblicata definitivamente dalla Library of
America?
Certo che no. Non posso proprio, non saprei da che parte
cominciare.
Mi limiterò a dire che il mio incontro con i romanzi di Philip Roth è stato contraddittorio: sulla scorta del film “La macchia umana” (2003) di Robert Benton con Anthony Hopkins e Nicole Kidman, avevo deciso di leggere il romanzo omonimo, senza però riuscire a finirlo. Poiché però le sollecitazioni verso Roth da parte di suoi adoranti estimatori erano continue, ci ho riprovato con “Il teatro di Sabbath”, un’autentica rivelazione, un romanzo che considero un discrimine tra un prima e un dopo della mia vita di lettrice.
Mi limiterò a dire che il mio incontro con i romanzi di Philip Roth è stato contraddittorio: sulla scorta del film “La macchia umana” (2003) di Robert Benton con Anthony Hopkins e Nicole Kidman, avevo deciso di leggere il romanzo omonimo, senza però riuscire a finirlo. Poiché però le sollecitazioni verso Roth da parte di suoi adoranti estimatori erano continue, ci ho riprovato con “Il teatro di Sabbath”, un’autentica rivelazione, un romanzo che considero un discrimine tra un prima e un dopo della mia vita di lettrice.
A “Lamento di Portnoy” sono arrivata senza fretta, dopo
averlo acquistato molti anni fa a seguito di una conversazione telefonica con
Massimo Cervelli e Roberto Gentile, ai tempi conduttori della trasmissione radiofonica
“Gli spostati” (Radio2, dal 2006 al 2010), che ne decantavano la superiorità
rispetto ad altri titoli di Roth, secondo il loro parere, considerandolo
lettura irrinunciabile. Tuttavia ero indecisa, combattuta tra il timore di una
delusione come mi sembrava fosse stato con “La macchia umana” e il desiderio di
entusiasmarmi ancora come con “Il teatro di Sabbath”: alla fine l’occasione è
arrivata con #letturecondivise, l’hashtag lanciato su Twitter che ogni tanto mi
fa incontrare con Simona Scravaglieri e Valentina Accardi, oltre che con altri
lettori che si accodano volentieri.
A loro e a #letturecondivise sarò grata per avermi fatto
recuperare da uno scaffale un po’ nascosto questo romanzo indimenticabile. E ci
riproverò con “La macchia umana”.
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