Ti strappo e ti getto in
pasto ai cani
Autore: Viola Alessio
Dati: 2014, 132 p., brossura
Editore: CaratteriMobili
(collana Molecole)
Un fottuto
tumore, nel più fottuto, stupido, imbarazzante, ridicolo posto
in cui potesse andare ad annidarsi in un uomo,
nella ridicolissima prostata,
che solo a
nominarla sembra che non ci possa essere niente di serio
riconducibile a
quella specie di patata spugnosa
nascosta dietro
l’uccello di ogni uomo
È lo stesso autore che definisce questo romanzo un
racconto-esorcismo, quello che si fa per allontanare qualcosa che si teme, dopo
esserci andato molto vicino.
Si parte da una circostanza vissuta realmente, un momento autobiografico,
la scoperta di una malattia reale e fortunatamente sconfitta; l’introduzione
spiega il perché di questo libro, questo cucire cose già scritte, le
riflessioni a margine, i momenti anche solo immaginati e quelli vissuti
davvero. Durante la lettura poi ti chiederai quanto di reale c’è nel racconto,
se l’impressione che hai è quella di conoscere e avvicinarti ai personaggi,
tutti, come se facessero parte della tua vita.
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Photo HelenTambo on Instagram |
Una prima breve parte del libro è dedicata al racconto delle
indagini cliniche, della diagnosi e soprattutto della reazione che il
protagonista ha alla scoperta della malattia -un cancro alla prostata- e alle
informazioni di tutto ciò che da quel momento potrà succedergli. Ed è una reazione
fatta di sudore e di urla scomposte in macchina e in solitudine, per lasciare
uscire la paura.
La paura viene dalle parole, sono loro a spaventare, quelle che sentiamo ‘brutte’ come è brutta la parola ‘carcinoma’: occorrerebbe una rotazione delle parole, “un loro uso diverso e alternativo” (p.19), un turn over che le spogli della loro capacità di destabilizzare.
La paura viene dalle parole, sono loro a spaventare, quelle che sentiamo ‘brutte’ come è brutta la parola ‘carcinoma’: occorrerebbe una rotazione delle parole, “un loro uso diverso e alternativo” (p.19), un turn over che le spogli della loro capacità di destabilizzare.
Diverso effetto farebbe sentirsi dire “hai un amore che ti
cresce dentro”, sarebbe tutto forse più sopportabile, invece di ricevere un'informazione asettica e professionale del fatto che dentro hai qualcosa
sì, ma si chiama cancro: il potere della parola, eh?
Viola dedica pagine importanti alla necessità della
prevenzione per evitare l’incontro con la malattia, quell’incontro che può
essere fatale se non sorpreso in tempo, mentre sta già rodendoti dentro: quando
il suo protagonista però si trova faccia a faccia con quella cosa che gli è
cresciuta dentro, addosso a “quella
specie di patata spugnosa nascosta dietro l’uccello di ogni uomo”, con quel male
che vorrebbe strappare e gettare in pasto ai cani (e sarà Leonardo, il robot
della sala operatoria a farlo), deve fare i conti con quello che succederà dopo
che ha saputo.
Riprende la narrazione. Il tumore è operabile, quindi c'è la lunga, ragionata disamina del consenso da dare prima di finire steso su un gelido lettino operatorio: su quale organo si interviene, quale può essere l’approccio chirurgico più opportuno, le opzioni terapeutiche successive (ché l’intervento non può bastare, a volte), cosa succede normalmente al paziente durante l’operazione, come sarà il risveglio, quali saranno le conseguenze e le possibili complicanze, arrivando infine alla parola ‘morte’, che pure va messa in conto.
Riprende la narrazione. Il tumore è operabile, quindi c'è la lunga, ragionata disamina del consenso da dare prima di finire steso su un gelido lettino operatorio: su quale organo si interviene, quale può essere l’approccio chirurgico più opportuno, le opzioni terapeutiche successive (ché l’intervento non può bastare, a volte), cosa succede normalmente al paziente durante l’operazione, come sarà il risveglio, quali saranno le conseguenze e le possibili complicanze, arrivando infine alla parola ‘morte’, che pure va messa in conto.
Il racconto del prima si interrompe bruscamente sulla parola
‘buio’: la tensione che è andata in crescendo mentre il lettore accompagnava il
protagonista fino al tavolo operatorio è destinata a stemperarsi, a perdersi
nel paesaggio che fa da cornice all’ultimo viaggio che l’uomo ha pianificato in
ogni momento. Le protagoniste della seconda parte del libro sono le cinque donne della sua vita, quelle
importanti, quelle che si sono avvicendate –e qualche volta sovrapposte- al suo
fianco.
Mara e Dolores, le prime, legate da un’antica amicizia, poi separate
da lui che si era insinuato tra loro, ritrovatesi adesso, non senza iniziale
imbarazzo. Il confronto può essere crudele, o almeno doloroso. Invece i ricordi
scivolano, sia pure con qualche frizione, ciascuna consegna all’altra pezzi di
Lui, frammenti sconosciuti si rivelano a loro che pensavano di conoscerlo bene
(“era quello che era per tutte noi” p.81).
E poi arrivano Ulrike, e Nilde e
Margherita, tutte diverse, tutte ‘ragazze’, le sue. Un social network ha fatto
il miracolo di farle incontrare, secondo un disegno ordito dall’uomo, che prima
di lasciarle per sempre ha fatto in modo che entrassero in contatto tra loro, che si
riconoscessero in qualche modo, per prepararsi all’incontro.
Tante donne ne fanno una, dalle mille sfaccettature. E
l’uomo che ha fatto un pezzo di strada con ciascuna di loro, ha mostrato pezzi
di sé, diversi o coincidenti. Come in un caleidoscopio, tutto si combina a formare figure sempre nuove. Le cinque donne hanno risposto a una specie di
convocazione, si passano adesso il turno di parola, ci restituiscono il
ritratto a tratti contraddittorio di un uomo che ha lasciato dietro di sé amore
e canzoni, quelle che vuole che vengano suonate al suo funerale.
Oltre ai dialoghi, realistici e impietosi anche, ci sono gli sguardi e i vestiti, le risate e le lacrime.
Oltre ai dialoghi, realistici e impietosi anche, ci sono gli sguardi e i vestiti, le risate e le lacrime.
E Savelletri, che non è meno protagonista dei personaggi del romanzo,
personaggio lei stessa con la sua chiesetta sul mare, i suoi bar, i ritrovi dei pescatori, i ricci e
gli aperitivi, la salsedine che si attacca alla pelle, con la terra rossa degli
uliveti a ridosso del mare.
Bisognava stare attenti alla retorica spicciola, quella che
–traditrice!- è sempre pronta a far sbavare il disegno narrativo. Alessio Viola
ci è riuscito bene, consegnandoci un ritratto asciutto ed essenziale di un uomo
fatto di ciò che ha lasciato a ognuna delle sue donne.
Ultima notazione: il libro è disseminato di titoli di
canzoni, quelle che hanno accompagnato la vita del protagonista nei momenti
condivisi con le sue donne. Ne ricordo qui solo una: "Mind Games" di John Lennon, perché a me fa venire i brividi.
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