In questa seconda parte parlo di libri che comunque si sono rivelati autentiche sorprese.
Il primo è “Caro Michele” di Natalia Ginzburg. Proposto come lettura estiva in occasione del centenario della nascita della sua Autrice e commentato su Twitter e Betwyll con l’hashtag #CaroMichele, è stato un progetto realizzato in Creative Commons con il metodo TwLetteratura da Erika Pucci e me, Elena Tamborrino (Licenza 3.0 | Attribuzione | Non Commerciale | Non Opere Derivate).
Conoscevo il libro perché ne avevo letto brani sparsi, e me ne mancava quindi la visione globale, necessaria invece per ricostruire la complessa rete di rapporti familiari sfilacciati e irrisolti, ricomposti nella rete di lettere che raccontano storie, stili di vita, abitudini, stanchezze, frustrazioni, delusioni: paradossalmente questo fitto scambio di lettere è il paradigma dell'incomunicabilità, nonostante i messaggi che si intrecciano e che viaggiano dall'Italia all'Inghilterra, dove si trova Michele, quel ‘caro’ a cui si rivolgono la madre, le sorelle e Mara, il personaggio forse più misterioso e incomprensibile della storia. Personaggio complesso quello di Mara: parassita, irrisolta, bugiarda seriale, in continua ricerca di approvazione da parte degli altri e allo stesso tempo incurante verso gli altri, insopportabile nella sua accidia. Bravissima la Ginzburg a delinearne la personalità inesistente: Mara non è. Le voci dei protagonisti si alternano e le donne sono le principali protagoniste, oltre a Mara: dalla madre Adriana, alle sorelle Angelica e Viola, e poi Matilde, Ada, la moglie di Filippo, le gemelle, la figlia di Angelica. Pallidi sono i protagonisti maschili, tra cui spicca proprio Michele, il figlio inetto che ha abbandonato tutto, che ha scelto la fuga dalla vita vera e dai problemi, per abbracciarne altri. L'impressione in questo epistolario è che tutto sia neutro e asettico, niente odori, tranne quello di Cloti, la domestica che vive con Adriana, e che tutto sia velluto marrone a coste: “Caro Michele” è un libro molto anni Settanta in cui domina la libertà sessuale, un certo modo di gestire la famiglia come una comune, gli abiti stropicciati.
Ancora una lettura per LeggoNobel : "L'urlo e il furore" di William Faulkner, premio Nobel per la Letteratura nel 1950. Ardue le prime due parti, l’ho trovato coinvolgente dalla terza in poi. Ho avuto bisogno di aiuti esterni (Wikipedia) e di leggere prima l'Appendice, originariamente inserita all'inizio nelle prime ristampe e poi spostata in fondo nelle edizioni successive, per orientarmi tra i personaggi. Appassionante la storia della decadenza di una famiglia del Sud americano, condensata in tre giorni e con un lungo flashback che sposta il racconto a diciotto anni prima. Bei personaggi, mi sarebbe piaciuto conoscere meglio Caddy, la sorella in fuga. Ho letto l'edizione Einaudi (1997 e 2014), con la traduzione di Vincenzo Mantovani (che ha avuto il suo bel da fare!). Interessanti l'introduzione di Emilio Tadini, illuminante la postfazione di Attilio Bertolucci.
Un piccolo gioiello riscoperto dalla casa editrice flower-ed è “La gente per bene” di Marchesa Colombi, pseudonimo di Maria Antonietta Torriani (1840-1910), giornalista e scrittrice, moglie dell’ideatore, cofondatore e primo direttore del Corriere della Sera, Eugenio Torelli Vollier.
Di lei Italo Calvino scrisse che aveva voce di scrittrice che si faceva ascoltare qualsiasi cosa raccontasse; la sua modernità è evidente anche oggi, a oltre un secolo di distanza dalla composizione delle sue opere, tra cui mi piace ricordare “Un matrimonio in provincia”, la storia della mancata emancipazione di una giovane costretta a un matrimonio di convenienza, in un’atmosfera di rassegnazione che però lascia spazio a momenti di consapevolezza verso una vita fatta di rinunce.
“La gente per bene” è un manuale di buone maniere, pubblicato per la prima volta nel 1877, suddiviso in undici parti dedicate a tutti i momenti della vita di una donna, dalla prima infanzia, fino a quando si fa vecchia (Il bimbo, I fanciulli, La signorina, La signorina matura, La zitellona, La fidanzata, La sposa, La signora, La madre, La vecchia, Gli uomini).
Le norme di comportamento, in famiglia e in società, nell’abbigliamento e nella conversazione, nel ricevere e nell’andare in visita, sono trattate con lieve ironia e con tono bonario. Leggere queste pagine mi ha ricordato le rubriche di bon ton che fino a qualche decennio fa non mancavano nei settimanali femminili, di cui forse la più celebre è stata “Il saper vivere” di Donna Letizia, alias Colette Rosselli. Se ne sente un po’ la mancanza, ora che alle buone maniere si fa sempre meno caso (e si vede).
A conclusione di questa rassegna, “Una lezione d’ignoranza” di Daniel Pennac, il testo della lectio magistralis che lo scrittore pronunciò in occasione del conferimento della laurea ad honorem in pedagogia presso l'università degli studi di Bologna nel 2013: trenta pagine in cui l'autore di "Come un romanzo", "Diario di scuola" e del ciclo dì Benjamin Malaussène (solo per citare le sue opere più note) racconta di insegnanti indimenticati, di pedagoghi e demagoghi, della solitudine del lettore, degli errori prescrittivi in fatto di lettura, di "passeur", coloro che sono i veri trasmettitori di sapere. Davvero un piccolo gioiello, scoperto per caso passeggiando a Mantova, durante il Festival della Letteratura.
Dalla settimana prossima il blog riprende con le rubriche di sempre, forse con qualche novità cui sto pensando. Intanto leggo Proust e Cortazàr in contemporanea, sperando di uscire indenne da questo tour de force che avevo sottovalutato e di riemergere sana e salva dal salotto di Madame de Villeparisis e dall’atmosfera torbida delle stanze abitate dalla Maga.
Photo HelenTambo on Instagram |
Nessun commento:
Posta un commento