sabato 3 dicembre 2016

"Fidati di me, fratello (una storia vera)" di Alessio Viola

Un consiglio di famiglia è sempre una cosa importante. 
Per questo motivo si tiene a tavola, 
non ci sono posti migliori, 
soprattutto la domenica all’ora di pranzo. 

Vitino Sciannameo prende le redini della propria famiglia dopo che il padre è stato ucciso per uno sgarro consumato ai danni della Camorra. Il clan barese, a cui Sciannameo padre era affiliato, nella persona del boss Nicola Degiosa offre aiuto e protezione a Vitino, che non può pensare alla vendetta (ché la malavita segue un codice in cui l’errore si paga sempre, al di là degli schieramenti e delle rivalità) ma che può ereditare un ruolo all’interno dell’organizzazione. 
E Vitino è bravissimo: uomo di poche parole, si fa carico di un compito che non si aspettava di dover onorare così giovane, comprende che la fermezza e il cinismo saranno sue compagne di vita, che l’onore ha un prezzo e che i soldi muovono tutto. Vent’anni dopo il funerale del padre, Vitino e la famiglia si ritrovano nella stessa chiesa, per un altro funerale. 
È così che parte il lungo flashback che ricostruisce l’escalation feroce di Vitino, che non esita a utilizzare Franchino, il fratello minore che vive ammirandolo sconfinatamente, come “assaggiatore” della droga che acquista e rivende dopo aver organizzato una specie di supermarket della roba, in un quartiere nuovo di periferia, il Sant’Elia, dove è possibile trovare ampi spazi di manovra, sempre con il beneplacito dei vertici dell’organizzazione malavitosa, capeggiata da Degiosa. Nel frattempo anche dal quartiere Libertà, dove vive nel centro di Bari, Vitino si è mosso e nei pressi della stazione, ai margini tra il quartiere Murat, con i suoi negozi scintillanti, e il quartiere Libertà, crocevia della microcriminalità, allestisce una casa di appuntamenti di lusso, dove piazza le sorelle gemelle come tenutarie. Sembra impossibile che in uno spazio così circoscritto possano convivere zone socialmente tanto distanti: il distretto murattiano, salotto della città, centro del commercio e della cultura, e il quartiere Libertà, storicamente degradato, dove l’illegalità dilaga e la vita per i giovani è una scommessa. 
Potrebbe accontentarsi, Vitino, e restare all’ombra del boss, al suo servizio, e invece prova ad allargarsi, tenta la scalata “imprenditoriale”, con Franchino che gli garantisce la qualità dell’eroina acquistata: a lui basta assaggiarla appena, osservarne il colore, annusarla per capire da dove viene e con che cosa è tagliata. E poi spararsela in vena, ché non c’è prova più provata dello sballo, anche se i rischi ci sono, ma tanto li corre solo lui, il più debole, il più esposto. 
Il romanzo ha un andamento sdoppiato, da una parte il successo di Vitino, sempre più sicuro, sempre più ricco, dall’altra il degrado di Franchino: “Fu un anno intenso, quello dei due fratelli. Il grande si era impegnato a costruire l’impresa, il piccolo a demolire la propria esistenza” (p. 51). Le storie di Vitino e Franchino corrono e si incrociano, perché i due fratelli sono necessari l’uno all’altro, anche se per motivi diversi. 
Fulcro e sfondo delle vicende c’è la famiglia, spesso descritta a tavola, luogo previlegiato in cui consolidare affetti e affari: panzerotti e brasciole sono simboli della tradizione gastronomica barese e non possono mancare nella cucina di mamma Floriana, vedova ancora giovane, piacente e in grado di farsi ascoltare dai figli, nonostante l’autorità del primogenito la tenga in una posizione subordinata in cui può dare pareri, ma alla fine è lui che comanda e che alla famiglia dà “lavoro”. 
I personaggi che Alessio Viola mette in scena sono forti tutti, anche quelli minori, i comprimari che sono necessari per rendere un ambiente, un’atmosfera, uno stile di vita e che sono spalla dei personaggi principali, tra cui bisogna annoverare la città, Bari, così prepotentemente presente, viva, maledetta e meravigliosa insieme, col suo carattere, i suoi odori e i suoi sapori, che te li senti sciogliere in bocca come un crudo di mare appena pescato. 
E proprio il cibo e le descrizioni delle preparazioni gastronomiche tipiche della cultura barese e salentina, sono particolarmente accattivanti; trasudano cultura locale, passione verso la tradizione, attenzione verso il particolare (a cui non è estranea una piccola sbavatura a cui concediamo venia, ma che magari si potrà correggere in una ristampa –i particolari in calce a questo post, nel fuori onda-).
La seconda di copertina saluta il ritorno al noir di Alessio Viola, collocando idealmente la storia di Vitino e Franchino a metà tra Breaking Bad (serie televisiva il cui protagonista, sottopagato insegnante di chimica, malato terminale di cancro, decide di sfruttare le sue competenze di chimico per produrre metamfetamina insieme a un suo ex studente, già inserito in un giro malavitoso) e la tragedia greca, da cui prende il pathos e il senso del dramma familiare. E non si può che riconoscere la correttezza di questa definizione: Alessio Viola attinge, mutatis mutandis, a fatti di cronaca vera, ai quali aggiunge la sua straordinaria capacità di mimesi. E la cronaca, la vita vera, può essere crudele di per sé, basta solo saperla raccontare. 
Ha echi verghiani, questa storia dannata che racconta una scalata sociale, un successo economico, un cambiamento, che si ritorcono contro i protagonisti, colpevoli di aver osato troppo in un mondo che non concede spazi all’imprudenza e alla presunzione. 

Fuori onda: 
«Alessio… vedi che le municeddhe non sono lumache di mare...» 
«Ho scritto di mare? Lo so bene che sono di terra...» 
«Yes, di mare si dice nel menù leccese… e ho avuto un piccolo sobbalzo. Mi pareva strano.» 
«Ommadò»
(piccolo dialogo in chat: a true story anche questa) 

 
 
Photo HelenTambo on Instagram




Fidati di me, fratello (una storia vera) 
Autore: Alessio Viola 
Dati: 2016, 155 p., brossura; 
Editore: Aliberti compagnia editoriale (collana The Outlaws); 
Prezzo: € 15,00 
Giudizio su Goodreads: 5 stelle

2 commenti: