Sono l’ultimo a scendere (e
altre storie credibili)
Autore: Mozzi Giulio
Dati: 2013, ePub con DRM 1,2 MB
Editore: Laurana Editore
«Non posso
rispondere», dico.
«Come, prego?», dice Sonia.
«Non posso rispondere», ripeto. «Non mi aspettavo che la domanda fosse questa.»
«La vita pone spesso domande inaspettate», dice Sonia.
«Sono d’accordo», dico. «Potrei ripartire dalla domanda precedente?»
«Nella vita non si torna mai indietro», dice Sonia.
«Ho capito», dico. «Ma questo è un questionario».
«I questionari fanno parte della vita», dice Sonia,
«Come, prego?», dice Sonia.
«Non posso rispondere», ripeto. «Non mi aspettavo che la domanda fosse questa.»
«La vita pone spesso domande inaspettate», dice Sonia.
«Sono d’accordo», dico. «Potrei ripartire dalla domanda precedente?»
«Nella vita non si torna mai indietro», dice Sonia.
«Ho capito», dico. «Ma questo è un questionario».
«I questionari fanno parte della vita», dice Sonia,
«e pertanto sono soggetti alle stesse leggi
che determinano la vita.»
Mettiamola così: c’è
un omino (in realtà non so se è un omino) che vive a Padova, non ha la patente
e si muove esclusivamente a piedi o con i mezzi pubblici. Precisamente quasi
ogni giorno prende il treno per andare a Milano, dove lavora, o comunque per
andare ovunque il suo lavoro lo porti. Nella vita per l’appunto fa un lavoro
non facile da spiegare, anzi non facile da capire. Cioè, non è che fa l’autista
di tram, che di sicuro guida i tram, o il capotreno, che io non so bene cosa
faccia ma è un problema solo mio, perché sicuramente ha delle mansioni ben
precise, che però io non conosco (lo dice la parola stessa ‘capotreno’: non può
che fare cose precise). Infatti, fa il consulente esterno per una casa
editrice, il lettore di professione, e fa anche lo scrittore.
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Sarà forse per questo
che gli capitano incontri bizzarri, intendo dire che la sua capacità di
osservazione e di narrazione di ciò che quotidianamente gli accade, fa assumere
alla sua vita -e a quella delle persone che incrocia- un’aura di stravaganza
che fa sembrare surreale anche ciò che è ordinario. Quindi sembra che capitino
a lui in particolare degli incontri bizzarri; invece forse ne facciamo tutti,
solo che normalmente noi comuni mortali -non dotati di grandi capacità di
riflessione e probabilmente con scarsa attitudine a cogliere il comico
nell’ordinario- ci arrabbiamo, invece di sorridere stralunati.
Diligentemente
l’omino, che risponde al nome di Giulio Mozzi, ha annotato per anni ciò che gli succedeva, prevalentemente in
treno o a casa mentre lavorava, gli incontri e i dialoghi, e per un po’ ha
fatto viaggiare in rete questi piccoli racconti; continuo a pensarlo così, l’omino,
una specie di Marcovaldo dei nostri giorni, anche se non fa il magazziniere, ma
del personaggio di Calvino mantiene lo stesso sguardo ingenuo e stupito, anche
se qui è quasi una forma di cinismo a essere travestita da ingenuità, come si
evince soprattutto dai dialoghi, con il risultato di una comicità
apparentemente involontaria.
Anche gli episodi più
comuni, trasferiti su carta e riportati nei più banali particolari, nelle
parole dei dialoghi scrupolosamente riportate, fanno pensare a te, lettore, che
la gente è pazza. Non Giulio Mozzi, la gente. Anzi, laggente.
Seriamente: dopo aver viaggiato per il web in forma di diario tenuto tra il 2003 e il 2008, una selezione di questi racconti è stata successivamente raccolta e pubblicata nel 2009 da Mondadori. Questa che sto leggendo è l'edizione di Laurana Editore del 2013 (nuova edizione con dieci capitoli inediti e con un rendiconto dell'accoglienza critica in appendice), dopo che la giacenza dell’edizione Mondadori del 2009, dal 1° giugno 2012 è stata mandata al macero, una volta tolta dal catalogo. Da qui, l'interessamento di Laurana e la ripubblicazione, solo in edizione digitale. In realtà il libro edito da Mondadori si trova ancora su IBS nella sezione outlet con il 50% di sconto (ma non era andata al macero?). Oggi è acquistabile solo su BookRepublic anche da qui.
Seriamente: dopo aver viaggiato per il web in forma di diario tenuto tra il 2003 e il 2008, una selezione di questi racconti è stata successivamente raccolta e pubblicata nel 2009 da Mondadori. Questa che sto leggendo è l'edizione di Laurana Editore del 2013 (nuova edizione con dieci capitoli inediti e con un rendiconto dell'accoglienza critica in appendice), dopo che la giacenza dell’edizione Mondadori del 2009, dal 1° giugno 2012 è stata mandata al macero, una volta tolta dal catalogo. Da qui, l'interessamento di Laurana e la ripubblicazione, solo in edizione digitale. In realtà il libro edito da Mondadori si trova ancora su IBS nella sezione outlet con il 50% di sconto (ma non era andata al macero?). Oggi è acquistabile solo su BookRepublic anche da qui.
Sono brevi scorci di
vita, in cui prevalgono le descrizioni minuziose delle persone che li
attraversano (volti, abbigliamento, atteggiamenti) e i dialoghi fatti di
ostinate reiterazioni di difetti di comunicazione, dovuti a incomprensione: le
persone si parlano ma non si comprendono, perché vanno oltre le parole,
emettono intenzioni più che enunciati e se dall’altra parte c’è chi, come il
nostro omino Giulio Mozzi, si limita a decodificare il messaggio e a rispondere
adeguatamente, si generano gli equivoci più assurdi che si concludono sempre
con la rinuncia da parte di quello che si sente incompreso, mentre in realtà
non si è spiegato. Abbandoni di campo che alla fine fanno riflettere proprio su
questo, su quanto sia difficile dirsi le cose più semplici, troppo abituati a
complicare anche il pane.
Sul piano dello
stile, ho notato un piccolo vezzo morfosintattico, almeno io lo considero una
pratica vezzosa: l’accordo del participio passato con l’oggetto in sintagmi
ricorrenti del tipo “ho detta una cosa”, “ho cercata la compagnia”. Come
sostiene Gerhard Rohlfs[1], in origine, secondo il modello DOMUS
CONSTRUCTAM HABEO (ho costruito una casa/ho una casa costruita), il participio si
accordava con il relativo oggetto, così anche nell’italiano antico (come
attestato nel Novellino «a rifiutata la nobile cittade», in Dante e in
Boccaccio) e successivamente in scrittori moderni che si sono mantenuti in
parte fedeli a questa regola. La carta 1145 dell’AIS[2] “hai venduto le uova” mostra la
prevalenza di venduto nella Toscana
meridionale e vendute a Pisa e nella
provincia di Firenze.
Con il passare del
tempo però il participio si è come fossilizzato e, perdendosi la coscienza del
significato originario, l’accordo del participio non fu più strettamente
osservato, come rileva anche Luca Serianni[3], che riporta esempi da Pirandello,
Deledda, Carlo Levi, Tomasi di Lampedusa e afferma che se anche “l’uso più tradizionale
sembra essere stato quello di accordare il participio con il complemento
oggetto”, la tendenza attuale è quella di lasciare inalterato il participio,
sia pure con attestazioni diffuse di casi di accordo (eccezioni che confermano
la norma derivata dall’uso).
Mozzi è un virtuoso
del participio. Mi piace, anche se non lo emulerei mai, non adusa a preziosismi
sintattici.
Per tornare ai
contenuti: leggete “Sono l’ultimo a scendere”, salite sui
treni con Giulio Mozzi, sperando di non incontrare l’uomo dal culo enorme, cercate
di sedervi ai posti che avrete prenotato e che troverete spesso occupati,
ascoltate le sue telefonate e i discorsi che lui fa con laggente. Non sono surreali, sono iperrealistici. Il sorriso non vi
abbandonerà un momento.
«Vada
in libreria», dico. «Se lei è un poeta emiliano vada a Bologna, a Modena, in
una libreria Feltrinelli. Guardi lo scaffale di poesia, veda che case editrici
ci sono».
«Lei dice?», sussurra la voce, ora più incerta.
«Dico, dico», dico. «Lei va spesso in libreria?»
«No», sussurra la voce.
«Lei legge molto?», dico.
«No», sussurra la voce. «Io scrivo, non leggo».
«Quindi lei non legge gli altri poeti italiani», dico.
«In che senso?», sussurra la voce.
«Lei ha letto Zanzotto?», dico.
«No», sussurra la voce.
«E Caproni?», dico.
«No», sussurra la voce.
«E Giudici, Luzi, D’Elia, Riccardi, Dal Bianco, Rondoni, Albinati, li ha letti?», dico.
«Mai sentiti nominare», sussurra la voce.
«Bene», dico. E poi sto zitto.
Sta zitto anche lui.
«Lei dice che dovrei leggerli?», sussurra la voce.
«No», dico. «Dico che se lei non si degna di leggere, non vedo perché qualcuno dovrebbe leggere lei».
«Lei dice?», sussurra la voce, ora più incerta.
«Dico, dico», dico. «Lei va spesso in libreria?»
«No», sussurra la voce.
«Lei legge molto?», dico.
«No», sussurra la voce. «Io scrivo, non leggo».
«Quindi lei non legge gli altri poeti italiani», dico.
«In che senso?», sussurra la voce.
«Lei ha letto Zanzotto?», dico.
«No», sussurra la voce.
«E Caproni?», dico.
«No», sussurra la voce.
«E Giudici, Luzi, D’Elia, Riccardi, Dal Bianco, Rondoni, Albinati, li ha letti?», dico.
«Mai sentiti nominare», sussurra la voce.
«Bene», dico. E poi sto zitto.
Sta zitto anche lui.
«Lei dice che dovrei leggerli?», sussurra la voce.
«No», dico. «Dico che se lei non si degna di leggere, non vedo perché qualcuno dovrebbe leggere lei».
[1] G.
Rohlfs, Grammatica storia dell’italiano e
dei suoi dialetti, Einaudi, Torino 1969, vol III, §725
[2] K.
Jaberg-J.Jud, Atlante linguistico ed etnografico dell'Italia
e della Svizzera meridionale, ediz. italiana a c di G. Sanga, Unicopli, Milano 1987 (ediz originale
Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, 1928-1940)
[3] L.
Serianni, Grammatica italiana. Italiano
comune e lingua letteraria, UTET, Torino 1989, XI, §367
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