Uno, nessuno
e centomila
Autore: Pirandello
Luigi
Dati: 2003,
190 p., rilegato; I ediz. Bemporad, Firenze 1926
Editore: Rizzoli
- Corriere della Sera (collana I Grandi Romanzi Italiani)
Appena mi tocco, mi manco
Sono grata al lavoro che faccio per le possibilità
che continuamente mi offre di leggere, rileggere, scoprire e riscoprire autori
della nostra storia letteraria che forse molti relegano tra i ricordi
studenteschi, senza avere più il desiderio di tirarli fuori dalla naftalina.
E invece i Grandi Scrittori non dormono solo nei manuali di storia della letteratura -analizzati, sezionati, interrogati, scomposti-, ma continuano ad aspettare quei lettori che, per caso o per volontà, abbiano ancora voglia di prendere in mano uno dei loro libri, in edizione integrale e non commentata.
Quest’anno sto sperimentando #unlibroalmese con i miei ragazzi, a scuola: una selezione di libri che leggiamo nell’arco del mese, ognuno con i suoi ritmi e i suoi tempi, e che ‘riscriviamo’ su Twitter, seguendo il metodo TwLetteratura. Tra i libri scelti per coprire l’intero anno scolastico, stiamo leggendo in questo mese di marzo “Uno, nessuno e centomila” di Luigi Pirandello e la cosa forse più stupefacente è che non è stato un titolo proposto da me, l’insegnante, ma da una studentessa, una ragazza di diciotto anni. Non so da dove le sia venuto questo desiderio, cosa sapesse di Pirandello e di questo romanzo, che dello scrittore siciliano, premio Nobel per la Letteratura nel 1934 è stato l’ultimo.
Non voglio dire della storia di Vitangelo Moscarda nulla che non si possa trovare sui libri di letteratura, su Wikipedia o sui siti specializzati, se non che, sintetizzando al massimo, si tratta della lucida e spietata analisi che un uomo, Moscarda appunto, fa di se stesso in quanto scomponibile in tanti Moscarda-Vitangelo-Gengè quanti sono gli sguardi che si posano su di lui, a partire dal suo stesso, guardandosi allo specchio. L’analisi è lucida, ma sfocerà nella follia, quando il protagonista comprenderà che quello stato è l’unico in cui si sente consapevole e libero (ricordando in questo le novelle “La carriola” e “Il treno ha fischiato”, solo per citarne un paio dove il tema della follia come fuga dalla realtà è centrale).
Ciò che in questa lettura mi sta piacevolmente sorprendendo sono le frasi che incontro e che mi fanno pensare a situazioni che mi si presentano con una certa frequenza, in questo periodo; sarà forse perché quando leggiamo un romanzo abbiamo sempre bisogno di trovare agganci con il nostro vissuto, fatto è che mai come adesso considero una fortuna leggere questa storia.
E invece i Grandi Scrittori non dormono solo nei manuali di storia della letteratura -analizzati, sezionati, interrogati, scomposti-, ma continuano ad aspettare quei lettori che, per caso o per volontà, abbiano ancora voglia di prendere in mano uno dei loro libri, in edizione integrale e non commentata.
Photo HelenTambo on Instagram |
Quest’anno sto sperimentando #unlibroalmese con i miei ragazzi, a scuola: una selezione di libri che leggiamo nell’arco del mese, ognuno con i suoi ritmi e i suoi tempi, e che ‘riscriviamo’ su Twitter, seguendo il metodo TwLetteratura. Tra i libri scelti per coprire l’intero anno scolastico, stiamo leggendo in questo mese di marzo “Uno, nessuno e centomila” di Luigi Pirandello e la cosa forse più stupefacente è che non è stato un titolo proposto da me, l’insegnante, ma da una studentessa, una ragazza di diciotto anni. Non so da dove le sia venuto questo desiderio, cosa sapesse di Pirandello e di questo romanzo, che dello scrittore siciliano, premio Nobel per la Letteratura nel 1934 è stato l’ultimo.
Non voglio dire della storia di Vitangelo Moscarda nulla che non si possa trovare sui libri di letteratura, su Wikipedia o sui siti specializzati, se non che, sintetizzando al massimo, si tratta della lucida e spietata analisi che un uomo, Moscarda appunto, fa di se stesso in quanto scomponibile in tanti Moscarda-Vitangelo-Gengè quanti sono gli sguardi che si posano su di lui, a partire dal suo stesso, guardandosi allo specchio. L’analisi è lucida, ma sfocerà nella follia, quando il protagonista comprenderà che quello stato è l’unico in cui si sente consapevole e libero (ricordando in questo le novelle “La carriola” e “Il treno ha fischiato”, solo per citarne un paio dove il tema della follia come fuga dalla realtà è centrale).
Ciò che in questa lettura mi sta piacevolmente sorprendendo sono le frasi che incontro e che mi fanno pensare a situazioni che mi si presentano con una certa frequenza, in questo periodo; sarà forse perché quando leggiamo un romanzo abbiamo sempre bisogno di trovare agganci con il nostro vissuto, fatto è che mai come adesso considero una fortuna leggere questa storia.
L’intransigenza che spesso proviamo
verso gli altri, più che per noi stessi (mentre è proprio verso di noi che
dovremmo essere più severi), si ritrova nelle osservazioni a proposito degli
atti compiuti: "quando un atto è compiuto, è quello”, compiamo un’azione
che è solo una delle tante che potremmo compiere, vi restiamo agganciati e
veniamo per quella giudicati da altri
ed è profondamente ingiusto essere
giudicati per un gesto, una battuta, una leggerezza delle tante che potremmo
compiere in buona fede. Il problema è che non siamo mai disposti a riconoscere
la buona fede negli altri, quanto invece vogliamo che ci sia riconosciuta la
nostra.
Moscarda è pazzo perché ne ha
coscienza. E gli altri? Tutti quelli che percorrono la stessa strada strada? Si
dicono savi, dice Pirandello, non hanno la consapevolezza di non essere quello
che credono di essere.
Succede spesso. Ma quanto Pirandello dovremmo
leggere tutti noi, che pensiamo di essere gli unici ad aver ragione?
NB: l’edizione
a cui fa riferimento la scheda in apertura è quella edita dalle edizioni
Rizzoli-Corriere della Sera, per la bellissima collana “I Grandi Romanzi
Italiani”, pubblicata ormai più di dieci anni fa, ed è quella che sto
effettivamente leggendo.
Questo è in assoluto il libro che preferisco, perfetta sintesi del sistema di pensiero di un autore in cui riconosco molte delle mie idee sulla realtà e sulla percezione della presunta realtà: per me l'aggancio al vissuto di cui parli si è realizzato pienamente. E' bello che abbiate letto questo libro in classe, addirittura su proposta degli studenti: una tale partecipazione non si vede tutti i giorni!
RispondiEliminaGrazie. In effetti riuscire a leggerlo in classe è stato un bel successo, sia pure disuguale (nel senso che non tutti gli studenti sono stati entusiasti). Tuttavia anche i più restii hanno poi compreso che il modo più efficace per entrare nell'opera di un autore è leggerla direttamente e usufruire dei commenti critici del manuale di letteratura solo in un secondo momento.
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