Cassandra al matrimonio
Autore: Baker Dorothy (trad.
Stefano Tummolini; postfazione Peter Cameron) ediz orig. 1962
Dati: 2014, 274
p., brossura
Editore: Fazi (collana Le
strade)
[…] e ho pensato a quanto dev’essere difficile
mantenersi ligi al proprio dovere,
quando si è schiacciati tra l’ironia di alcuni
e lo zelo di altri
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Leggere un libro usato, quindi acquistato e letto da
qualcuno prima di te, è spesso un’esperienza alla scoperta delle umane
sensibilità altre da noi. Capita così, quando trovi tra le pagine alcuni passi
sottolineati, quelli che evidentemente hanno colpito il lettore che ti ha
preceduto. Dopodiché sei lì a riconoscerti, oppure a chiederti che cosa in una
certa frase, in un certo periodo, abbia potuto dar da pensare a chi ha letto
prima di te quella frase, quel periodo. Bello, mi piace, perché il più delle
volte si tratta di sentirti in qualche modo unito a qualcuno che non conosci -e
non conoscerai mai, probabilmente-, in una corrispondenza che non potrai
verificare a fondo ma che c’è stata in un certo momento, a distanza, anche
quando i sentimenti non combaciano[1].
Come a volte accade, romanzi scritti in un tempo lontano e mai pubblicati in Italia, vengono scovati da editori assai sensibili e proposti al pubblico con la certezza di offrire una bella storia. Fazi lo ha già fatto con “Stoner” di John Edward Williams, contribuendo a creare un caso letterario, con “Il lungo sguardo” di Elizabeth Jane Howard e con “Cassandra al matrimonio”, con cui rischia di replicare il successo di storie che, nonostante siano ambientate -e soprattutto siano state scritte- in un passato abbastanza lontano, si affermano oggi per la loro attualità. Ciò che accomuna queste opere infatti è da una parte la modernità dei temi trattati, e dall’altra una freschezza di stile e di linguaggio, il cui merito è da ascrivere anche al lavoro dei traduttori (Stefano Tummolini per Williams e Baker e Manuela Francescon per Howard), che ce le rende vicine.
Come a volte accade, romanzi scritti in un tempo lontano e mai pubblicati in Italia, vengono scovati da editori assai sensibili e proposti al pubblico con la certezza di offrire una bella storia. Fazi lo ha già fatto con “Stoner” di John Edward Williams, contribuendo a creare un caso letterario, con “Il lungo sguardo” di Elizabeth Jane Howard e con “Cassandra al matrimonio”, con cui rischia di replicare il successo di storie che, nonostante siano ambientate -e soprattutto siano state scritte- in un passato abbastanza lontano, si affermano oggi per la loro attualità. Ciò che accomuna queste opere infatti è da una parte la modernità dei temi trattati, e dall’altra una freschezza di stile e di linguaggio, il cui merito è da ascrivere anche al lavoro dei traduttori (Stefano Tummolini per Williams e Baker e Manuela Francescon per Howard), che ce le rende vicine.
Questa è la storia di Cassandra che, obtorto collo, torna da
Berkeley -dove studia all’università- al ranch di famiglia per partecipare come
damigella d’onore al matrimonio della sua gemella Judith. Non che non si
fossero già separate fisicamente, l’una appunto a Berkeley e l’altra a New
York, ma il matrimonio è un’altra cosa, il matrimonio significa separare ciò
che la ragazza considera un tutt’uno, un’entità indivisibile, un connubio che
non può essere dissacrato da un estraneo che si insinua e si porta via una metà
indispensabile alla sopravvivenza dell’altra. Questo è il sentimento che
accompagna Cassandra mentre torna a casa e nei tre giorni di permanenza al
ranch, durante i quali cadono tutte le barriere, forzatamente tenute su dalla
nonna e dal padre (la madre Jane è morta tempo prima) che conducono la loro
esistenza e si preparano all’evento nuziale coerentemente con il loro modo di
essere e incuranti del cataclisma che tutto questo comporterà nella vita della
più debole delle due gemelle. Sì, perché malgrado l’ostentato cinismo,
Cassandra è fragile (anche se Judith dice “c’è
sempre stato un che di tigre, in Cassandra” p. 213), ha necessità di
sostegno e di riconoscimento da parte di una sorella che ormai, matura, è
interamente proiettata nel futuro (ma Cassandra confonde la maturità della
sorella con una forma di mancanza di tatto e addirittura spietatezza, arriva
anche a definirla ‘molto convenzionale’ e proprio per questo destinata ad
essere felice, come se la felicità potesse risiedere nell’ordinarietà e
viceversa come se l’originalità fosse l’anticamera dell’infelicità).
Cassandra è irrisolta, non sa immaginarsi fuori dalla coppia
che fin dalla nascita ha formato con Judith, da cui la distanziano solo undici
minuti, nel momento della nascita, e dalla quale ha viceversa sempre voluto
distinguersi, a partire dal rifiuto di vestirsi in modo identico alla sorella,
come vezzosamente avrebbe desiderato la loro nonna materna, salvo poi
acquistare inconsapevolmente lo stesso abito, della stessa marca e dello stesso
colore, già scelto dalla sua gemella per il giorno delle nozze. L’‘incidente’
dell’abito per la cerimonia di Judith sembra quasi minare la profonda e
convinta esigenza delle gemelle di essere distinguibili almeno
nell’abbigliamento, visto che fisicamente possono essere confuse facilmente: “Essere come noi non è facile, richiede una
costante attenzione al dettaglio. Ci ho riflettuto tantissimo, ci abbiamo
riflettuto entrambe. Come ho cercato di spiegare alla mia psicologa, si tratta
di impegnarsi incessantemente per riuscire a essere il più diverse possibile:
perché, affinché ci possa essere un ponte, prima dev’esserci uno spazio da
attraversare. E il vero progetto è il ponte.” (p. 124), ovvero la
possibilità e la capacità di essere legate, mantenendosi a distanza. Anche
questo (si distinguono? Non si distinguono? Da cosa si distinguono?) è uno dei
cliché che il ‘mondo esterno’ rovescia addosso ai gemelli. Ed è quel cliché che
Cassandra avrebbe voluto da sempre rovesciare, rispedire ai mittenti,
mantenendo il legame intimo con quella parte di sé, sua sorella, che invece ora
se ne sta andando per la sua strada.
Il racconto di questi tre giorni di preparativi psicologici
al grande evento sono raccontati alternativamente dalle due sorelle, in tre
parti (parla cassandra, parla judith e
di nuovo parla cassandra), dove la
voce di Cassandra è quella che prevale. E
lo stile che caratterizza le parti in cui le voci delle gemelle si cambiano il
turno rispecchia il temperamento delle due ragazze, tanto indistinguibili
fisicamente quanto nettamente identificabili caratterialmente.
Ho trovato la sintassi di Dorothy Baker molto moderna (non
dimentichiamo che l’Autrice, originaria del Montana, è nata nel 1907), ma non
so quanto questo si debba alla traduzione: i periodi sono molto ritmati, c’è
una prevalenza di frasi brevi e la paratassi è preponderante, soprattutto nei
soliloqui di Cassandra. Anche i dialoghi occupano una parte importante della
narrazione, tanto che si potrebbe pensare a una sceneggiatura già quasi
costruita.
Molto di Cassandra, del suo carattere e della sua storia viene
analizzato da Peter Cameron nella postfazione al romanzo, ma lui lo può fare
proprio perché il suo commento si legge alla fine, a carte scoperte. Lo scritto
di Cameron rappresenta quindi un motivo in più per leggere questa storia, anche
perché offre ulteriori spunti di riflessione rispetto a quelli che si maturano
ad una prima lettura del romanzo di Dorothy Baker, con interessanti incursioni
nell’unica prosa di Sylvia Plath, il romanzo “La campana di vetro” del 1963 la
cui tormentata protagonista tanto ricorda la nostra Cassandra Edward (che nasce
un anno prima, nel 1962).
[1] E questo è per dire dei vantaggi degli acquisti di
libri su circuiti dell’usato, di cui gli studi di mercato non tengono abbastanza
conto quando si parla di quanto si legge/non si legge in Italia (quando poi
sono proprio i lettori più forti che si orientano verso il mercato del libro
usato, per ovvi motivi di sopravvivenza economica, in prima istanza).
Questo libro mi incuriosisce da quando è uscito, ho la sensazione che sia il mio genere. Prima o poi lo farò mio!
RispondiEliminaLa Fazi ultimamente ci sta regalando grandi cose: oltre a Stoner (stupendo), devo ringraziarla per avermi fatto conoscere Elizabeth Strout, amore a prima lettura per quel che mi riguarda.
Il lungo sguardo ce l'ho in eBook e devo ancora leggerlo.
E sempre a proposito di Fazi in questi giorni sto leggendo Eureka Street di Robert McLiam Wilson: un altro motivo per essere grata a questa casa editrice preziosissima!
Credo che Fazi sia attualmente tra le case editrici più audaci: scava nel passato e trova chicche imperdibili!
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