Che tu sia per me il coltello
Autore: Grossman David
Traduzione: Shomroni Alessandra
Dati: 2000, 330 p., brossura
Editore: Mondadori (collana Oscar
Mondadori- Scrittori del Novecento)
Non sbagliarti sul suo conto, Myriam,
non sbagliarti sul suo conto e sul mio:
tra me e lei c'è un legame che non posso descrivere a
parole.
Perché non è nelle parole,
è nel corpo, nel contatto, nelle sensazioni sottopelle
(cosa ne sai tu di
noi?)
Pensavo che non avrei dedicato un post nel blog a "Che
tu sia per me il coltello" di David Grossman.
Non glielo avrei dedicato perché ero consapevole di non sapere
che cosa scrivere: ci sono libri che spiazzano e ci lasciano a rimuginare
pensieri ai quali dare ordine è estremamente difficile, sempre ammesso di
riuscirci.
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Nel caso di questo romanzo epistolare, è impossibile
limitarsi alla sola trama, l'incontro casuale tra due sconosciuti che stringono
una specie di patto: raccontarsi nel proprio intimo, raccontarsi fino a
strapparsi la pelle, raccontare i più reconditi pensieri, anche quelli più
scomodi, anche quelli che non si direbbero alla persona più vicina, ma che si
finisce col confidare agli estranei che sono capaci di insinuarsi nella nostra
vita. E la gran parte del libro è occupata dalle lettere di Yair, alle quali
si intuisce che Myriam risponde e che entrambi sono impegnati in questa
lunga conversazione introspettiva a distanza, dove l’uno scava dentro se stesso
a favore dell’altra che lo legge, e viceversa. Solo nell’ultimo terzo delle
pagine del libro sentiamo la voce di Myriam, dalla quale ci si aspetta di poter
meglio capire in che consista questo legame, di cosa si sostanzi, se sia parole
e ricordi, piuttosto che pensieri e fantasie.
Troppo facile, uscirsene con la trama. In realtà non basta,
la letteratura è piena di romanzi epistolari (lo stesso titolo di questo
romanzo proviene da “Lettere a Milena” di Franz Kafka, dove leggiamo “Amore è il fatto che tu
sei per me il coltello
con cui frugo dentro me
stesso”) e questo di Grossman è solo uno dei tanti. Ma ciò che lo rende
particolare è la capacità di lusingare e allo stesso tempo respingere il
lettore, che a tratti sembra messo alle strette, obbligato quasi a rileggere se
stesso in tanti, troppi passaggi del delirio di Yair e Myriam.
La mia copia è piena di segni e
sottolineature, la lettura è stata un succedersi di sobbalzi dell’anima, e
respiri (e sospiri) faticosi: non tanti, rispetto a quelli che quindici anni fa
mi costrinsero a rinunciare all’impresa, intrapresa perché sedotta dal titolo,
e tuttavia abbastanza per confermarmi che questa storia e i suoi personaggi
sono impegnativi e totalizzanti, prendono la mente e costringono a farsi delle
domande e a guardarsi dentro, anche nelle pieghe più intime dove non si
vorrebbe andare a indagare.
Però, alla fine, il rischio di entrare nel loop Grossman è
altissimo: io mi preparo a leggere prossimamente “Qualcuno con cui correre” e “A
un cerbiatto somiglia il mio amore” (anche questi, titoli attraenti).
C'è
un pensiero che non m'abbandona: sanno tutti fare con naturalezza ciò di cui io
mi sento assolutamente incapace: mettere radici.
Per quanto riguarda "A un cerbiatto somiglia il mio amore" assicurati, prima di cominciare, di avere la mente sgombra da altri pensieri, perché è troppo bello per distrarsi! ;)
RispondiEliminaCome sai per me è un po' difficile "avere la mente sgombra da altri pensieri": credo che lo leggerò quando arriverà il suo tempo, spero presto. Intanto l'ho comprato!
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