Maus
Autore: Spiegelman Art
Traduttore: Previtali
Cristina
Dati: 2000-2010, 292
p., rilegato
Editore: Einaudi Editore (collana
Stile Libero Extra)
Anja? Cosa c’è
da dire?
Sempre dove
guardo io vedo Anja…
Scorro
il tweetbook della mia riscrittura di #Maus su Twitter e
ripercorro la storia di Vladek Spiegelman, ambientata durante la seconda guerra
mondiale e raccontata da suo figlio Art in un romanzo a fumetti tra il 1973 e
il 1986 in due volumi e pubblicata in Italia da Einaudi, in un unico volume, a
partire dal 2000.
Photo Elena Tamborrino |
Avevo
sentito parlare di questo libro qualche anno fa, senza interessarmene più di
tanto, dal momento che non sono una grande appassionata di fumetti e pensando,
a torto, di aver visto tanti film e di aver letto tanti libri sul tema della Shoah,
che uno in più (graphic novel per di più) o uno in meno non avrebbe fatto differenza.
Non pensavo che il mio fosse un errore gravissimo che tradiva proprio la
memoria di chi dai campi di sterminio è tornato e ci ha chiesto di testimoniare
con loro e per loro: la visita che ho compiuto ad Auschwitz-Birkenau due anni
fa mi ha aperto uno squarcio nella coscienza e mi ha dato la consapevolezza
che, al di là della visione globale di un fenomeno atroce come il genocidio di
un popolo, la grande Storia è fatta di piccole storie, delle sezioni di vita di
diverse persone che tutte insieme si raccontano sulla stessa pagina, o
aspettano che qualcuno lo faccia per loro. La lettura di “Maus” ha amplificato
in me il ricordo di quel viaggio in Polonia con il Treno della Memoria.
L’occasione
per leggere “Maus” è arrivata da TwLetteratura
che ha supportato il progetto didattico in creative
commons ideato dall’insegnante Sabrina Valentini e da due classi del Liceo
Classico “Vittorio Emanuele II” di Jesi (la IV E del Liceo delle Scienze Umane
e la IV I del Liceo Economico Sociale). Ho letto da sola il fumetto di
Spiegelman, senza coinvolgere ufficialmente i miei alunni con un’adesione
formale al progetto, per gli annosi problemi che purtroppo nella scuola abbiamo
e che riguardano l’impossibilità di chiedere ai nostri alunni di sopportare
spese di libri oltre a quelli di testo (per i quali peraltro va rispettato un
certo limite): tuttavia qualcuno di loro ha acquistato ugualmente il libro e
qualcun altro lo ha letto anche dopo il termine della riscrittura su Twitter,
quando abbiamo fatto girare in classe i volumi acquistati, prestandoli.
Nei
due volumi che Art Spiegelman ha disegnato, si racconta la storia di Vladek, suo
padre che “sanguina storia”. Il
racconto è racchiuso in una cornice, la storia è nella storia: Artie decide di
testimoniare le vicende che hanno visto protagonisti i suoi genitori, Vladek e
Anja, a partire dal loro incontro nel 1935, seguito dal matrimonio e dalla
nascita del primogenito Richieu, morto da bambino, fino ai loro tentativi di
sfuggire alle persecuzioni naziste in Polonia, miseramente falliti con la
deportazione ad Auschwitz, a cui sopravvivranno entrambi.
I
personaggi sono rappresentati come animali, sulla base della loro nazionalità e
del loro status sociale e secondo una serie di metafore (gli ebrei perseguitati
sono riprodotti come topi, contrapposti ai nazisti rappresentati da gatti; i
francesi sono rappresentati da rane, i polacchi da maiali, gli americani da
cani).
Nei
disegni di Spiegelman incontriamo Vladek ormai anziano e sposato in seconde
nozze con Mala (Anja è morta da anni, suicida), che racconta al figlio la sua
storia. Gli inciampi della vecchiaia vogliono che l’uomo non ricordi cosa è
successo il giorno prima, ma mantenga viva la memoria di ciò che è stato
lontano nel tempo.
Photo HelenTambo on Instagram |
L’uomo
appare diverso rispetto al suo passato di giovane innamorato e coraggioso: è
diventato un vecchio sospettoso e tirchio, che incarna inconsapevolmente lo
stereotipo caricaturale e becero dell'ebreo avaro, cosa di cui il figlio e la
moglie sono preoccupati. Lontano da Auschwitz la vita di Vladek si fa piccola,
meschina, fatta di fiammiferi di legno da non sprecare, di tombolate a scrocco
negli alberghi vicino a casa e di atteggiamenti che sfiorano il razzismo verso
i neri, dei quali parla quasi come i nazisti parlavano degli ebrei; inoltre Vladek
ha sviluppato una forma di egoismo affettivo tipico di molti anziani, secondo
lui il figlio Artie dovrebbe rinunciare alla sua vita di sempre, per
trasferirsi da lui con la moglie Françoise.
Anche
la figura di Mala emerge dalle parole di Vladek in modo diverso da come la
vediamo: per il marito è avida, interessata all’eventuale eredità dopo la morte
del marito, a me è sembrata infelice, oppressa dalle manie di quest’uomo
nevrotico. Invece nei discorsi dello stesso Vladek la memoria della prima
moglie Anja è tenero: l'amore resiste al ricordo del dolore e anzi si è
rafforzato, perchè condividere l'orrore unisce oltre la morte.
In
“Maus” troviamo anche il metafumetto: Art Spiegelman disegna se stesso mentre riflette
sulla propria "inadeguatezza a ricostruire una realtà peggiore dei sogni
più reconditi", mettendo spesso il lettore a parte dei suoi pensieri
rispetto alle difficoltà nel raccogliere la testimonianza paterna, a volte
reticente (che fine hanno fatto i diari di Anja? Davvero sono andati persi?).
Particolarmente interessante è la nota della traduttrice italiana, Cristina Previtali: è importante conoscere il criterio seguito per rendere l'opera fedele quanto più possibile all'originale, che nel caso di “Maus” vede Vladek parlare fluentemente nella lingua materna nelle vignette che lo vedono protagonista dei flashback ambientati in terra natia, mentre nelle scene ambientate negli Stati Uniti dove è emigrato, parla un’interlingua frammentaria e incerta.
Particolarmente interessante è la nota della traduttrice italiana, Cristina Previtali: è importante conoscere il criterio seguito per rendere l'opera fedele quanto più possibile all'originale, che nel caso di “Maus” vede Vladek parlare fluentemente nella lingua materna nelle vignette che lo vedono protagonista dei flashback ambientati in terra natia, mentre nelle scene ambientate negli Stati Uniti dove è emigrato, parla un’interlingua frammentaria e incerta.
Art
Spiegelman può aver avuto tutte le insicurezze e il senso di inadeguatezza
rispetto alla realizzazione di un progetto tanto difficile quanto ambizioso
come è il racconto di un sopravvissuto ai campi di concentramento nazisti,
tanto più perché il coinvolgimento personale, autobiografico, era al massimo
livello: i risultati parlano da soli però, perché la sua opera ha ricevuto
apprezzamenti in tutto il mondo e ha vinto lo Special Award del Premio Pulitzer.
Per
limitarci a un giudizio e tralasciando gli altri riconoscimenti, alla
pubblicazione in Italia di “Maus”, Umberto Eco ha detto: «Maus è una storia splendida. Ti prende e non ti lascia più. Quando due
di questi topini parlano d'amore, ci si commuove, quando soffrono si piange. A
poco a poco si entra in questo linguaggio di vecchia famiglia dell'Europa
orientale, in questi piccoli discorsi fatti di sofferenze, umorismo, beghe
quotidiane, si è presi dal ritmo lento e incantatorio, e quando il libro è finito,
si attende il seguito con disperata nostalgia di essere stati esclusi da un
universo magico.»
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