Perché, Corinne, non mi rispondi mai.
Che senso ha, se non mi ascolti,
continuare a parlarti?
Invitarti al ballo dei miei vestiti,
e poi ballare sola, con gli attaccapanni?
Tanti punti in
questo romanzo di Elvira Seminara fanno sentire la solitudine della
protagonista, Eleonora, ma tra tutti ho scelto questo, che raccoglie le domande
accorate di una madre alla figlia, alla quale sta scrivendo l’inventario dei
suoi vestiti, che altro non è che il bilancio di una vita che si consegna a chi
verrà dopo.
La morte del marito rappresenta per Eleonora lo strappo dalla figlia
Corinne: l’incomunicabilità tra le due donne costringe la madre a lasciare
Firenze per rifugiarsi a Parigi, dove si muove con familiarità e dove cercherà
di mettere ordine tra i pensieri, raccogliendo brandelli di ricordi, seguendo
le vite degli altri, gli inquilini del palazzo in cui è andata a vivere. Nella
casa che sta lasciando, sul tavolo di cucina, restano tre fogli destinati a
Corinne, in cui Eleonora descrive il contenuto del suo armadio di abiti smessi,
distinto in categorie, con la raccomandazione di averne cura, perché tra quei
vestiti la figlia troverà la strada e le risposte di una vita.
Nell’armadio di Eleonora ci sono così vestiti accoglienti, vestiti rossi
forsennati, quelli che t’intristiscono, che aumentano di peso, che ingrassano
(”però si vede sotto che sei magra”),
vestiti nati sbagliati, vestiti compassionevoli, vestiti grati, vestiti che ti
saltano addosso, vestiti impropri (“che
non vedi l’ora di strapparti di dosso e fare riposare”): l’elenco è
lunghissimo, corre lungo 62 brevi capitoli, in cui le stoffe si mischiano ai
rancori, alle sorprese, alle parole, ai gesti consueti e a quelli nuovi, ai
dolori e alla rassegnazione, all’impeto e al frastuono dell’umanità intorno
alla protagonista, voce narrante.
Gli indumenti si
materializzano e non sono solo tessuto, si personificano, hanno un carattere,
un aspetto che li fa ‘abitare’ da noi, diventano complementari alle nostre
esistenze e ci fanno stare al mondo in qualche modo, anche rispetto agli altri.
Gli abiti non sono su di noi, ma sono con noi, prendono vita insieme ai nostri
passi e alle nostre voci, alle braccia che ci stringeranno, ai cibi che
mangeremo (e che qualche volta li macchieranno), ai caffè che prenderemo. E non
è un caso se uso il plurale: l’armadio di Eleonora è il nostro armadio,
impossibile non riconoscere anche i nostri sentimenti nascosti tra colori
(scuri, chiari, sfacciati, vivaci, cangianti, slavati, pallidi) e stoffe
(morbide, tese, ruvide, naturali, delicate).
La passione che
trasuda dai vestiti di Eleonora, il loro essere vivi nonostante siano ormai
smessi, la voce della protagonista, così vicina alla nostra, trasmettono l’idea
forte che la solitudine non ci trova mai veramente soli, perché siamo soli in
mezzo agli amori finiti, ai vicini di casa le cui vite sfiorano la nostra e
verso le quali abbiamo curiosità, ai figli che si allontanano eppure sono
sempre nei pensieri.
All’inizio confesso di aver fatto un po’ di fatica a entrare nell’armadio di Eleonora, a comprendere la forma della sua storia attraverso le pieghe dei suoi abiti; poi però la lettura si è fatta fluida e coinvolgente, tanto da far perdonare all’Autrice uno scivolone storico che riguarda baronessa di Carini, vissuta intorno alla metà del 1500, che lei ricorda murata viva e che invece fu assassinata dal padre che l’aveva colta in flagranza di adulterio, dando vita a una storia leggendaria che fa parte del patrimonio dei cantastorie siciliani. Poco male, anche se si poteva evitare (e questo piccolo incidente mi ha fatto pensare che forse gli editor di Einaudi sono troppo giovani per aver visto il famoso sceneggiato televisivo Rai del 1975, “L'amaro caso della baronessa di Carini”, di Daniele D'Anza, con Ugo Pagliai e Janet Agren).
Giudizio su Goodreads di cinque stelline, meritatissime.
All’inizio confesso di aver fatto un po’ di fatica a entrare nell’armadio di Eleonora, a comprendere la forma della sua storia attraverso le pieghe dei suoi abiti; poi però la lettura si è fatta fluida e coinvolgente, tanto da far perdonare all’Autrice uno scivolone storico che riguarda baronessa di Carini, vissuta intorno alla metà del 1500, che lei ricorda murata viva e che invece fu assassinata dal padre che l’aveva colta in flagranza di adulterio, dando vita a una storia leggendaria che fa parte del patrimonio dei cantastorie siciliani. Poco male, anche se si poteva evitare (e questo piccolo incidente mi ha fatto pensare che forse gli editor di Einaudi sono troppo giovani per aver visto il famoso sceneggiato televisivo Rai del 1975, “L'amaro caso della baronessa di Carini”, di Daniele D'Anza, con Ugo Pagliai e Janet Agren).
Giudizio su Goodreads di cinque stelline, meritatissime.
Atlante degli abiti smessi
Autore: Elvira Seminara
Dati: 2015, 179 p., brossura; ebook ePub con DRM 1,0 MB
Editore: Einaudi (collana i coralli);
Prezzo: € 17,00 (eBook € 8,99)
Giudizio su Goodreads: 5 stelline
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