Non so distinguere la destra e la sinistra. In senso fisico,
intendo.
Se mi chiedete un’indicazione stradale vado nel pallone, il più
delle volte mando gli incauti che lo fanno dalla parte opposta a quella dove
devono andare, poi me ne accorgo e vorrei inseguirli per dire loro “Scusate, mi
sono sbagliata, è per di qua”, ma è sempre troppo tardi, hanno svoltato dove
non dovevano e si perderanno e saranno costretti a chiedere altre informazioni
e penseranno “Ma che cretina doveva capitarci, manco sa la destra e la
sinistra”.
Se ho una frazione di secondo per riflettere, cerco di
orientarmi e uso il mio indice destro, percorso da una cicatrice che era brutta
quando era fresca moltissimi anni fa, ma ora lo è meno perché quasi non si
vede, solo io la sento sotto il polpastrello del pollice, quando la cerco. Un
brutto taglio da piccola, avevo forse sette anni, il sangue che non smetteva di
uscire a fiotti dalla ferita che non c’era verso si potesse rimarginare da
sola, la corsa al Pronto Soccorso e un punto di sutura in senso perpendicolare
alla ferita: uno solo, il dito era molto piccolo. Ricordo solo strilli e
pianti, i miei ovviamente.
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Photo HelenTambo on Instagram |
Forse da allora ho smesso di preoccuparmi di imparare a
distinguere destra e sinistra, avevo la mia ferita a ricordarmi la differenza.
Provate allora a chiedermi un’indicazione stradale, datemi
un attimo di tempo per organizzarmi e osservate il mio movimento istintivo:
pollice su indice destro, mi starò rassicurando che la cicatrice è lì e che quella
è la destra. Vi manderò facilmente lo stesso nella direzione sbagliata, ma il
mio tentativo lo avrò fatto comunque.
In questa vita social dove le persone invece che guardarsi
reciprocamente negli occhi assecondano sguardi rivolti a chissà chi, sorridono
al vuoto aggrinzendo le labbra in un bacio destinato all’aria o atteggiandole in
un broncio pateticamente sexy, oppure si concentrano sul proprio ombelico,
reale e metaforico- quando non resta molto da esibire in foto, ci si comincia a
guardare addosso e si cerca cosa c’è ancora di presentabile.
Così, dopo lungo pensare, ho deciso di presentarvi il mio
dito: certo, ci vogliono costanza, dedizione, disciplina, fermezza e forza di
volontà per togliersi il vizio adolescente di rosicchiare le unghie e sfoggiare
oggi ovali quasi perfetti, non ricostruiti ad arte da sapienti mani di
estetista. L’onicofagia è un disturbo compulsivo comportamentale che può
portare a danni terribili… cercate su Wikipedia.
Certo, se si pensa all’indice forse molti visualizzano quelli
che, fermi al semaforo, si dedicano nell’attesa a scrupolosi scavi della
propria narice, ma è altro che io penso istintivamente, pensando sempre al mio
indice e alla cicatrice, che ne è segno particolare: questo è il dito che mi
serve per impugnare, con il pollice e il medio, la penna e per digitare sulla
tastiera del computer o muovermi sulla schermata del mio smartphone, anche
questo un modo di orientarsi.
Mi è servito per indicare ai miei figli dove guardare e cosa
–non le persone, quelle no, la mia mamma me lo diceva sempre “Non indicare le
persone con il dito!”-, per insegnare loro dove dirigersi.
Ha indicato a loro e indica a me stessa: mi piace, si chiama
indice come quella parte di certi libri, che reca -alla fine o all’inizio-
l’elenco dei capitoli, con le pagine corrispondenti, e mi serve quindi per
orientarmi, come il mio dito che sa la destra e la sinistra.
Non è un dito, è la mia bussola.