sabato 5 marzo 2016

Ultima lettura: "Il deserto dei Tartari" di Dino Buzzati


Il deserto dei Tartari

Autore: Buzzati Dino
Dati: 1989; prima edizione Rizzoli Il Sofà delle Muse 1940; prima edizione Mondadori 1945
Editore: Mondadori (collana Oscar classici moderni)

Qualche cosa di diverso dovrà pur venire,
qualche cosa di veramente degno, da poter dire:
adesso, anche se è finita, pazienza.

“Il deserto dei Tartari” è un libro che da molti anni occupava uno spazio nella mia libreria senza che mi decidessi a leggerlo, nonostante sapessi che si trattava (si tratta, anzi) di un libro necessario, importante. Non a caso si trova al ventinovesimo posto della classifica dei 100 libri del secolo, stilata nel 1999 dalla catena di negozi francese Fnac, con il quotidiano parigino Le Monde.
Ad aggravare la mia posizione di ritardataria rispetto ad un romanzo tanto indispensabile, c’era il fatto che di Buzzati ho letto e apprezzato “Un amore”, molti racconti e alcune delle cronache più intense scritte per il Corriere della Sera negli anni in cui si occupava di nera (qui il suo racconto della strage di via San Gregorio, con una Rina Fort –assassina mai nominata- folle protagonista di un eccidio che nel 1949 sconvolse l’Italia).
Photo Elena Tamborrino

Si è dovuta tuttavia presentare la bella occasione della lettura collettiva con gli amici del salotto letterario che mensilmente frequento per farmi decidere che, per volontà altrui, il momento per leggere “Il deserto dei Tartari” era arrivato: e anche così ho atteso fino all’ultima settimana prima dell’appuntamento a casa degli amici Pietrina e Enzo, per finalmente prendere in mano questo volumetto dall’edizione vintage, consumato da letture che hanno preceduto la mia.
In una regione non identificabile, Giovanni Drogo, diventato tenente, viene assegnato alla Fortezza Bastiani, ultimo avamposto ai confini settentrionali del Regno, distante dalla capitale, da dove Drogo arriva a dorso del suo cavallo in un viaggio che sembra interminabile. La Fortezza si erge isolata su una sommità e domina la desolata pianura chiamata “deserto dei Tartari”, da dove in un tempo passato arrivavano i nemici ad attaccare: da anni però nessun pericolo la minaccia, la Fortezza ha perso d’importanza per il Comando militare di stanza nella capitale e lì ormai sembrano essere destinati giovani ufficiali che trascorrono lunghi periodi, fino a invecchiare in qualche caso, senza che accada nulla di importante, solo in attesa che il nemico si ripresenti sotto le mura. I più fortunati riescono dopo qualche anno ad andarsene, altri invece si vedono trascorrere la vita senza esserne protagonisti, indaffarati solo a ripetere gesti rituali che scandiscono le ormai sonnolente e insensate attività della Fortezza.
Drogo all’inizio manifesta la sua scontentezza, ma a un certo punto della sua vita rinuncerà a farsi ragione della sua giovinezza che se ne va e in qualche modo si accomoderà in una non vita, in un non luogo e in un tempo indefinibile che sono solamente la sintesi dell’inettitudine umana.
Quando però si pensa che l’esistenza di Drogo sia condannata a svanire nel silenzio e nella solitudine, spezzata solo dalle scarse conversazioni con il medico militare e qualche altro ufficiale con cui però il maggiore Drogo (sì, perché nel frattempo è avanzato di grado) non trova affinità, la Fortezza prende nuovo vigore perché accade l’insperato: il nemico è alle porte, i rinforzi arrivano dalla città, ma Drogo -ormai gravemente malato- non sarà protagonista della battaglia più importante, quella attesa per tutta una vita.
In mezzo, tra l’arrivo di Drogo presso la guarnigione della Fortezza Bastiani e l’amaro epilogo della sua esistenza spesa invano, si muovono personaggi indimenticabili (lo sfortunato tenente Angustina, il colonnello Ortiz, il maggiore Matti e il suo successore al comando della Fortezza, Simeoni, e ancora il medico della Fortezza, il sarto Prosdocimo, il tenente Morel e il maggiore Tronk). Un tentativo di ritorno in città vedrà Drogo –ormai incapace di vivere una vita diversa- tornare alle immutabili abitudini della Fortezza.
Questo romanzo, nella sua trama magistralmente intessuta da Buzzati, fatta di una scrittura intensa in cui si inseguono anafore, ellissi dense di significati non detti, similitudini ardite, è una grande metafora: dietro le attese interminabili e l’incapacità di farsi valere c’è la struggente rinuncia alla vita, che si riscatta alla fine, nella piena accettazione di un destino meno vigliacco di quello che poteva essere.
Photo Elena Tamborrino
Perché quindi tanta attesa per decidermi a leggere questo che non a torto si più considerare il capolavoro di Buzzati? Immagino che ci fossero dei pregiudizi legati a una frase che probabilmente ho sentito, non so più quando né da chi, e che suona più o meno come “è un libro in cui non succede niente”. La paura di annoiarmi e di restare delusa mi ha a torto frenato per troppi anni, ma oggi devo ammettere che questa lettura, fatta in un’età matura, mi ha fatto sicuramente cogliere un messaggio diverso da quello che avrei rintracciato nella vicenda di Giovanni Drogo se l’avessi letta quando ero più giovane.
Anche perché non è vero che in questo romanzo non accade nulla e conoscerne la trama, fino all’epilogo, non toglie nulla alla scoperta di una storia che segna profondamente il lettore: perché siamo tutti un po’ Giovanni Drogo, a volte incapaci di decidere, ma consapevoli di ciò che siamo.

2 commenti:

  1. Uno dei migliori libri che abbia letto. Impressionante come durante la lettura quasi sentissi le lancette dell'orologio della vita scandire il tempo implacabili. Ecco come lo definirei questo romanzo: implacabile.

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    1. Sono d'accordo con te. E penso che questo mio post non sia nemmeno esaustivo, perchè tanto altro avrei voluto/dovuto dire. Ad esempio che alla fine della storia, mi sono sentita davvero commossa e ho lasciato andar via Drogo davvero con il cuore stretto.
      Credo che sia un libro da leggere e anche regalare a persone a cui si vuole bene, perchè abbiano cura della loro vita.

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