sabato 29 agosto 2015

Ultima lettura: "Era di maggio" di Antonio Manzini


Era di maggio

Autore: Manzini Antonio
Dati: 2015, 381 p., brossura
Editore: Sellerio (collana La memoria)

«Sono rughe quelle che vedo lì intorno?»
«No. Sono pieghe. Le rughe non hanno fatto in tempo»

Rocco Schiavone è tornato prima di quanto si potesse sperare. In questo stesso anno Antonio Manzini ci regala un’altra indagine del vicequestore più scontroso d’Italia, viziando così i lettori che si sono affezionati a Schiavone e a tutti i personaggi che lo circondano (i soliti agenti Deruta, D’Intino e Italo Ferron, l’ispettrice Caterina Rispoli e l’anatomopatologo Fumagalli, il giudice Baldi e il questore Costa).
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Questa nuova indagine in realtà prende le mosse da quella precedente ("Non è stagione"), della quale è naturale prosecuzione, mentre si innesta la nuova inchiesta che riguarda la morte di Adele, uccisa al posto di Schiavone presso il quale si era rifugiata dopo alcune incomprensioni con il suo compagno, Seba, amico fraterno dello stesso Rocco.
Schiavone ha dei nemici, persone che gliel’hanno giurata: sarà suo compito quello di risolvere queste questioni che sforano nel personale, cercando di tenere sotto controllo l’ansia di vendetta di Seba e degli amici che Rocco ha lasciato a Roma.
Come sempre la narrazione procede fluida, con un perfetto sistema di incastri degno del miglior poliziesco. I personaggi si evolvono, la rete personale di Rocco si sviluppa. Centrale nella caratterizzazione del protagonista è il suo modo di relazionarsi con le donne: prima di tutto Marina, la moglie morta con la quale Rocco mantiene un rapporto costante, fatto di immagini evanescenti e dialoghi silenziosi. Ma Marina è stanca, vorrebbe andare per la sua strada e lasciare che Rocco prenda la sua, ché ormai è tempo. E poi c’è Anna, con la quale l’uomo non riesce a stabilire una relazione, schiacciato tra le esigenze pressanti della donna e la sua insofferenza verso qualsiasi forma di stabilità sentimentale, ché spazio per l’amore nella vita di Rocco non c’è più (salvo inattesi sviluppi che lascio alla curiosità dei lettori).
Ho letto queste 381 pagine velocemente, la trama coinvolge e tiene alta la soglia dell’attenzione: l’Autore è sempre più strategicamente padrone di tempi serrati e azioni decise e puntuali, il tutto reso nel suo stile asciutto e privo di fronzoli a cui ha abituato i suoi lettori.
Adesso non ci resta che aspettare il ritorno di Rocco Schiavone, confidando nella vena ispiratrice di Antonio Manzini.


venerdì 21 agosto 2015

Sul comodino: "L'intestino felice" di Giulia Enders


L’intestino felice

Autore: Enders Giulia
Traduttore: Bertante Paola
Illustrazioni di: Enders Jill
Dati: 2015, 251 p., brossura
Editore: Sonzogno

Che imbarazzo, l’intestino!

Giulia Enders è una giovane dottoranda di ricerca in Biologia medica presso l’Istituto di Microbiologia e Igiene ospedaliera a Francoforte sul Reno. Sembra molto più giovane dei suoi 25 anni ed è sorprendente scoprire quali traguardi formativi ha già raggiunto alla sua età. Ai suoi successi negli studi si aggiunge oggi la straordinaria affermazione letteraria che sta ottenendo grazie al suo saggio sulla salute dell’intestino, tra i best seller in Germania nel 2014, “L’intestino felice”.
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Già il titolo è accattivante, almeno per me che da sempre sono convinta che il buon funzionamento del nostro apparato digestivo sia garanzia di buonumore o almeno serenità. D’altronde lo dicevano anche gli antichi medici della Scuola salernitana: defecatio matutina bona est quam medicina e tutte quelle che si succedono nella giornata non hanno lo stesso valore.
Insomma, sedersi (correttamente – e l’Autrice ci spiega come-) in ‘trono’ appena svegli è un gran bel modo di iniziare la giornata, liberi dalle scorie e ‘sicuri da ogni turbamento’.
Enders, con questo saggio divulgativo che si legge piacevolmente perché è anche molto divertente, infrange finalmente un tabù quasi sacro: parlare di cacca si può, sapere cosa succede nel nostro organismo quando mangiamo, conoscere il viaggio che il cibo affronta lungo i chilometri dell’apparato digerente e gli incontri che fa (organi, enzimi, batteri), imparare a riconoscere i segnali del nostro benessere o del nostro malessere, a partire da ciò che troviamo depositato sul fondo della tazza (dobbiamo guardarla, la nostra cacca!).
L’Autrice ci porta a scoprire che l’intestino, organo da sempre oggetto di imbarazzi e di reticenze, “ha fascino da vendere”, ha una sua sensibilità ed è responsabile di una serie di processi di cui l’evacuazione è solo l’atto finale: il buon funzionamento del canale intestinale è indispensabile per avere una buona, se non ottima, qualità della vita.
Non è un caso, d’altra parte, che chi soffre di stipsi (o viceversa di frequenti fenomeni diarroici) è spesso una persona nervosa, irritabile.
Per imparare a controllare il buon funzionamento del nostro intestino, fare in modo che lui sia felice e -con lui- che lo siamo anche noi, è necessario possedere alcune informazioni di base che riguardano la sua morfologia, i vantaggi di un certo tipo di alimentazione che privilegi ad esempio l’assunzione di cibi integrali, i problemi derivanti da intolleranze, allergie e incompatibilità con alcune sostanze come il lattosio, fruttosio e il glutine, i comportamenti del nostro apparato digerente legati al sistema nervoso che regola il funzionamento dell’intestino, come interagiscono tra loro cervello e intestino, il mondo dei microbi in cui l’essere umano si considera come un ecosistema.
Alcune pagine in particolare meritano una lettura attenta: Una piccola lettura sulle feci, che è un vero e proprio memorandum sull’aspetto del prodotto dell’evacuazione (componenti, colore, consistenza), accompagnato dalle illustrazioni di Jill, la sorella di Giulia. Qui l’Autrice si toglie il peso di trattare l’argomento più spinoso e imbarazzante di tutto il trattato e lo fa in modo divertente e allo stesso tempo scientifico (ad esempio, lo sapevate che esiste una scala delle feci che classifica sette tipologie di consistenza, che indicano in modo preciso la velocità o la lentezza con cui il nostro intestino trasporta gli scarti del nostro metabolismo?).
Un altro capitolo interessante, tra quelli iniziali, tratta il tema della comunicazione tra sfintere interno, “rappresentante del nostro mondo interno inconsapevole” di cui è importante il benessere, e lo sfintere esterno, che è un “collaboratore fidato della nostra coscienza”: questi due muscoli di contenzione devono intendersi tra di loro e insieme devono trovare un accordo con il cervello. La collaborazione tra questi elementi consente di non farci fare brutte figure quando non vorremmo mai, ad esempio mandando un “campione di prova”, ovvero una puzzetta, nel bel mezzo di una conversazione nel salotto di zia Berta (pp.22-25): sarà lo sfintere esterno a comunicare a quello interno che non è il momento giusto per far uscire nulla, bisogna pazientare. Poi succede anche che siano altre parti del nostro corpo a produrre rumori che possono sembrare ciò che non sono, mettendoci ugualmente in imbarazzo, doppiamente in imbarazzo anzi, perché dovremmo cercare di scusarci o giustificarci per qualcosa che è diverso da ciò che sembra: che fatica!
Al momento questo libro è sul mio comodino, lo finirò nei prossimi giorni. Ma confesso un entusiasmo per il modo brioso di questa brillante studiosa che mi fa promuovere il suo saggio prima ancora di averne conclusa la lettura, che –sono certa- ha ancora molto da svelarmi.
Raccomando “L’intestino felice”: se impariamo a guardarci dentro -e non solo rispetto alla nostra parte emotiva- possiamo garantirci una buona salute e anche una buona dose di allegria quotidiana.
Come cantava Roberto Benigni ne "L'inno del corpo sciolto":
C'han detto vili
brutti e schifosi
ma son soltanto degli stitici gelosi
ma il corpo è lieto
lo sguardo è puro
noi siamo quelli che han cacato di sicuro.

venerdì 14 agosto 2015

Ultima lettura: "Chi manda le onde" di Fabio Genovesi


Chi manda le onde

Autore: Genovesi Fabio
Dati: 2015, 391 p., brossura; ePub 589,2 KB
Editore: Mondadori (collana Scrittori italiani e stranieri)

Le onde arrivano piano e si spalmano sulla sabbia,
e prima di tornare indietro lasciano qualcosa,
lasciano sulla riva i loro regali.

Questa recensione sarà tutta sgangherata, già lo so. Perché è grande l’entusiasmo che pagina dopo pagina mi ha preso per questa narrazione fresca, in cui si alternano commedia e tragedia, grottesco e tenerezza, surrealismo e poesia, quindi il rischio è che quello stesso trasporto che mi ha accompagnato durante la lettura, mi faccia procedere in modo confuso, nella foga di dire tutto quello che ho pensato della storia, dei personaggi, dell’ambientazione, dello stile, del linguaggio, delle somiglianze, rischiando magari di dimenticare qualcosa.
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Cercherò di procedere con ordine, partendo dai protagonisti, tra i quali è difficile individuare quello che spicca sugli altri, poiché ciascuno a suo modo ha una specializzazione nella storia, che lo fa diventare necessario. Bisognerà quindi considerare la rete sociale che li lega.
Serena (la mamma bellissima e disinteressata di quella sua stessa bellezza che la rende irresistibile), Luna e Luca, sono un nucleo familiare atipico: manca il papà (ma questo non è indispensabile) e le circostanze in cui i figli sono stati concepiti danno alla loro vita e a quella di Serena un’aura quasi magica. Gli stessi ragazzi sono magici: Luna è albina e di questo suo essere speciale fa quasi un vantaggio che la mette al di sopra dell’omogeneità dei suoi coetanei, considerando anche che si tratta di una bambina di bella intelligenza, curiosa e vivace ; Luca è bellissimo come sua madre e come lei è favoloso, tutto ciò che tocca si tramuta in dono, in ricchezza (non materiale), in eccezione.
Sandro è un quarantenne che si arrangia come può per sopravvivere, prototipo dello sfigato: musicista non eccelso (ma dà lezioni di chitarra ad allievi che immancabilmente si dimostrano in tempi brevi ben più dotati di lui), catechista all’occorrenza, supplente di inglese quando capita (ad esempio nella classe di Luca, che lo incanterà come anni prima aveva fatto Serena, quando frequentavano lo stesso liceo e lei non se lo filava manco da lontano). Soprattutto Sandro è amico di Marino e di Rambo, due soggetti che superano qualunque fantasia di lettore e che mi hanno fatto pensare a certi personaggi e ad alcune situazioni incontrati nei romanzi di Niccolò Ammaniti (soprattutto i primi), alla cui lezione secondo me Genovesi in qualche modo ha fatto riferimento, per alcuni aspetti delle vicende narrate e nel disegnare la natura dei protagonisti.
Zot è un bambino che viene da Chernobyl: va a scuola con Luna e in quanto -come lei- ‘diverso’ (lei perché albina, lui perché straniero e povero) è vittima di atti di bullismo tanto sciocchi quanto crudeli; tuttavia non perde mai la sua calma e la sua piccola saggezza, di cui dispensa pillole in un italiano desueto, arcaico e ricercato, che ha imparato chissà come e da chi, visto che trascorre il suo tempo con Ferro, un ex bagnino in pensione a cui la figlia lo ha consegnato dopo averlo chiesto in affido, per poi sparire, e il cui eloquio è particolarmente ‘colorito’. In breve tempo Zot e Ferro entreranno a far parte, anche se marginalmente, della famiglia di Serena, che è una famiglia che accoglie e che si accoglie.
La storia si svolge a Forte dei Marmi: il mare è elemento indispensabile nella vita di Serena e dei suoi figli (Luna va ogni giorno in cerca dei regali che le onde lasciano sulla battigia; Luca è un appassionato di surf; tutti insieme, ogni martedì -dopo la scuola, come un rito al quale si aggiungerà anche Zot-vanno sulla spiaggia e si stendono sulla sabbia, mangiando la pizza) e avrà un ruolo determinante nello svolgersi delle vicende.
Le storie dei vari protagonisti si dipanano parallelamente e ogni tanto si incrociano, ma il nucleo portante di tutto il romanzo è l’onda anomala che travolge la vita di Serena: da questo punto in avanti, il personaggio di questa giovane donna indomita e battagliera, determinata e forte, ti entra nel sangue e nei pensieri, tanto da non riuscire più a staccarti dalla sua storia e dalle persone che la circondano e che partecipano ciascuno a suo modo al suo cambiamento, alle sue emozioni e al suo dolore, intimo e pudico, ma allo stesso tempo pieno di rabbia incontenibile (“A cosa serve conoscere il destino e le cose che ti vengono incontro, se poi quelle brutte non le puoi scansare e quelle belle, anche se le abbracci forte, scivolano via nel vortice del passato?”).
Lo stile di Fabio Genovesi è fluido, spigliato: durante la lettura si alternano momenti di ilarità pura (soprattutto per i dialoghi, divertenti, surreali, conditi di una toscanità irresistibile) e di forte commozione; il passaggio tra stati d’animo così contrastanti avviene in modo naturale, perché è proprio così, “si piange e si ride, credo, come sempre nella vita”, come ha scritto lo stesso Genovesi in una conversazione via Twitter, nei giorni in cui leggevo il suo romanzo.
 

Il fatto che proprio mentre terminavo la lettura di “Chi manda le onde” mi trovassi in Versilia, mi ha fatto pensare con forza a Luna che cammina sul bagnasciuga in cerca dei regali che il mare ogni giorno manda a chi sa apprezzarli (cioè a lei), alle onde su cui Luca vola, sfidando la forza di gravità e le leggi dell’equilibrio, a Serena che davanti a quel mare è nata e che non può pensare di essere tradita proprio dall’elemento che più ama, dopo i suoi figli.
Ho letto questo libro centellinandone le pagine per allontanare quanto più possibile il momento in cui me ne sarei distaccata, combattuta allo stesso tempo perché volevo leggere ancora e ancora, per sapere cosa mi avrebbero riservato le pagine strada facendo. Non contenta, dopo averlo letto in ebook, l’ho acquistato anche cartaceo, perché mi piace che questo libro sia parte fisica della mia biblioteca personale. Ancora non soddisfatta, l’ho consigliato e regalato.
Adesso credo che Fabio Genovesi abbia delle grandi responsabilità verso i suoi lettori.

giovedì 6 agosto 2015

Ultima lettura: "Sembrava una felicità" di Jenny Offill


Sembrava una felicità

Autore: Offill Jenny
Traduttore: Novajra Francesca
Dati: 2015, 162 p., brossura; ePub 403,1 KB
Editore: NN Editore (collana La stagione)

Perché hai rovinato la mia cosa preferita?

“I buddisti dicono che si può conquistare la saggezza con la comprensione delle tre caratteristiche: la prima è l’assenza del sé, la seconda è l’impermanenza delle cose, la terza è la natura insoddisfacente dell’esperienza comune.”
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In queste righe forse c’è tutta l’essenza di “Sembrava una felicità”, romanzo di Jenny Offill per la neonata casa editrice NN. Un romanzo che racconta una storia comune, quella di un’infelicità repressa, che cerca continuamente una via d’uscita senza trovarla veramente, perché la vita è fatta così, più di insuccessi che di veri successi. Nei sentimenti questo è ancora più evidente e la protagonista, che all’inizio e alla fine parla in prima persona -ma nella gran parte della narrazione in terza persona è “la Moglie”-, lo delinea chiaramente in un flusso di coscienza interrotto solo da citazioni che vanno da Rilke a Dickinson, da Singer a Orazio, da Coleridge a Martin Lutero, da Kant a Darwin e molti altri ancora, tra prosa e poesia, filosofia e psicologia e scienza e economia domestica, come se tra gli autori del passato si potessero trovare le risposte.
Intanto non c’è nulla che resti davvero per sempre o almeno nella maniera perfetta che, per convenzione sociale nel caso del matrimonio, ci si aspetta; e siamo destinati a essere insoddisfatti anche quando pensiamo di agire per il nostro bene, legandoci a un’altra persona.
Questa quindi è la storia di una Moglie che divide faticosamente le sue giornate tra una Figlia piccola e un Marito; non ha forse una spiccata propensione verso la famiglia, tuttavia questa a un certo punto della sua vita è diventata centrale, in un ‘teatro dei sentimenti’ che resteranno feriti dalle incertezze, dagli incidenti, dai dubbi e dalle delusioni.
Il racconto è una vivace analisi, a tratti anche ironica, dei sentimenti che la protagonista prova nei confronti del Marito, della Ragazza con la quale lui la tradisce, dell’idea stessa dell’adulterio, in senso assoluto.
Particolarmente interessante è la nota del traduttore, in appendice: in poche pagine Francesca Navajra spiega -meglio di come potrebbe farlo chiunque- lo stile della Offill, che nella traduzione ha cercato di rispettare, nell’apparente immediatezza dei pensieri che fluiscono in libertà tra detto e non detto. La Navajra definisce questo romanzo uno ‘zibaldone di pensieri’, in cui è stato laborioso rendere la frugalità della forma originale.
Intenso e frammentario, questo romanzo è un colpo alla coscienza di coppia, mette malinconia ma invita alla riflessione in ogni pagina, in ogni immagine che la protagonista offre allo sguardo del lettore, che tende così a riconoscere situazioni e a interrogarsi sul proprio vissuto.
Alla fine della lettura, quello che pensi è che il matrimonio sia un contratto sociale che nulla ha a che fare con la natura umana, nonostante le parole del rabbino: “Tre cose hanno il sapore del mondo che verrà: il sabato, il sole e l’amore coniugale.”