giovedì 21 febbraio 2013

Un microracconto in #60parole

Voltati
Passeggiamo lentamente su questo viale alberato, di quanto mi stai avanti? Di quanti passi, di quante parole, di quanti pensieri mi precedi? E pensi davvero di essere così tanto avanti a me, di avermi lasciato alle spalle senza quasi accorgertene, pensando già a dove andrai senza me? Voltati e guardami, perché sono io quella che ti affiancherà e ti supererà.

Questo racconto ha vinto il concorso indetto da libri libri libri
 Appare qui

giovedì 14 febbraio 2013

Ultima lettura: "I funeracconti" di Benedetta Palmieri

I funeracconti

Autore   : Palmieri Benedetta
Dati: 2011, 140 p., brossura
Editore: Feltrinelli (collana I narratori)
            

“Vorrei lasciare a chi amo, perché non vadano sprecati, gli anni tra l’età in cui morirò e quella ritenuta media per un uomo della mia epoca.”

 Queste le parole tratte da “Testamento” uno dei racconti più delicati di questa raccolta di Benedetta Palmieri, Funeracconti. Il tema sicuramente stimola la curiosità: parlare di morte e in modo più circoscritto di funerali, con tutto quello che ruota intorno ad un evento funebre, alternando toni leggeri e delicati, divertenti e divertiti, è impresa non facile. C’è sempre un po’ di pudore nel trattare certi argomenti, come se il culto dei morti, di là dalle valenze etnografiche dispiegate nella saggistica, fosse un tabù, di cui non discorrere lievemente. Invece Benedetta Palmieri ci riesce, regalandoci dieci brevi racconti legati da un doppio filo conduttore. Da una parte, alternata ai racconti stessi, la narrazione del dopo-morte di una moglie dal punto di vista di un marito, con tutte le cautele verso le figlie, lo svelamento di una esistenza in comune, i possibili segreti in vita, il modo di vivere il lutto, in solitudine e in attesa di seguire la consorte; dall’altra parte, il personaggio di Maria Addolorata, grande imprenditrice napoletana di pompe funebri, che attraversa diversi racconti. Maria Addolorata, protagonista del racconto omonimo, innovatrice e inventrice dei funerali più raffinati o più pacchiani secondo i gusti dei clienti vivi (i parenti dei defunti), ma soprattutto morti, viene a mancare (tipico esempio di eufemismo funebre) ultranovantenne e le sue ceneri sono conservate in un’urna a forma di piccola bara portaceneri, incastonata in una nicchia, custodita dai figli eredi della sua impresa e del suo impero economico, nell’agenzia di pompe funebri di famiglia. E torna in altri racconti, nelle parole di altri imprenditori che la considerano un modello: la Palmieri descrive le trovate progressiste di Maria Addolorata (come le bare colorate con striature di rosa e arancio), il suo fisico imponente, strabordante e conturbante anche nella maturità, i suoi capelli color nero inverosimile, tenuti su da un’impalcatura che la fa sembrare Moira Orfei, la sua parlata schietta e le sue decisioni sbrigative. Lo fa con un tono ironico e spiritoso, accompagnando i lettori alla scoperta di un mondo che a tratti è realistico, a volte leggero, più spesso è surreale: Guadagno Percelli fa il funerale ai fiori recisi, Gaetà è il giovane imprenditore funebre che colleziona modellini di carri mortuari e la cui figlia, Giada, ha detto come prima parola della sua vita ‘motte’ invece che ‘mamma’ o ‘papà’. Vito Quadraro, il protagonista di “Quarantotto”, è il trapassato che aspetta il suo funerale e racconta cosa succede dall’altra parte; la dama di condoglianze è un’accompagnatrice del dolore altrui, quella che dona conforto finché sente che il suo ufficio non è più necessario, nel momento in cui in una casa investita da un lutto svanisce definitivamente l’odore della persona persa. Indimenticabili sono tutti i personaggi tratteggiati dalla Palmieri, che adatta anche la lingua alle situazioni narrate: Napoli c’è e non solo nell’agenzia di pompe funebri di Maria Addolorata. Leggendo questi racconti si sorride, spesso si ride, a volte ci si chiude in un pensiero lieve e profondo allo stesso tempo.

mercoledì 13 febbraio 2013

Questo a Laki lo devo


Andammo a prenderlo un pomeriggio di febbraio di undici anni fa. Faceva parte di una cucciolata piuttosto variopinta, nata il 17 dicembre del 2010, in mezzo alla neve, fatto eccezionale da queste parti. Ti chiedevi come fosse stato possibile che una mamma cane avesse partorito sette o otto cuccioli quasi tutti diversi, miscugli di chissà quali accoppiamenti disinvolti. Lui somigliava a sua madre, erano almeno tre che le somigliavano: bianchi con qualche chiazza nera, una femmina completamente bianca, tutti con lo stesso musetto e lo stesso sguardo.
Fu subito Laki, lo mettemmo in un cartone, nel portabagagli della macchina, e lo portammo a casa, totalmente inesperti di come si trattasse un cane che entrava a far parte della famiglia. In realtà fu facile abituarsi a lui. Sedeva eretto, con una regalità che era quasi buffa, come se volesse fare il grande, darsi un tono. Negli anni è cresciuto e ha cambiato il suo modo di stare con noi e con gli altri: correva felice nelle campagne circostanti la casa dove trascorrevamo le vacanze estive, ci veniva incontro appena ci vedeva, scodinzolava grato quando lo portavi a spasso.
Può essere mai che un cane sorrida? E perché no? Secondo me, secondo noi, Laki sorrideva. Non era una smorfia del muso, non meglio identificata: allargava e stirava fino alle orecchie le… labbra? Non so, direi labbra, se i cani le hanno. Comunque, le distendeva in qualcosa che era sicuramente un sorriso, anche perché gli ridevano gli occhi. E non ditemi che non è possibile, che era un’impressione, perché era proprio così, invece. Sorrideva e rideva.
Ultimamente di meno, non so se perché già cominciava a non stare bene, o perché aveva avvertito che in casa era arrivato Pepe, il gatto-batuffolo di pochi mesi, che, letteralmente piovuto in giardino, lanciato da chissà chi oltre la siepe, si è insediato in casa da più di un anno. Non so se Laki avesse la percezione che il nostro affetto lo doveva dividere con il micio, diventato subito una specie di principino. Mi piace pensare che no, che non gli interessava che il nostro amore potesse essere diviso tra lui e Pepe: a lui importava solo manifestarci incondizionatamente il suo amore, quanto e come lo ricambiassimo, poca importanza aveva.
Di una persona puoi innamorarti e puoi pensare di poterla amare per sempre, anche se lei non prova gli stessi sentimenti nei tuoi riguardi. “Il mio amore basta per due, ti amo anche se non mi ami, mi amerai prima o poi”: sì, va bene per un po’. Poi ti stanchi di non essere contraccambiato e il tuo amore muta, fino ad ammutolirsi. Un cane ti ama e basta, non pone condizioni, non pretende che tu lo ricambi, tutto dona e nulla chiede.
Laki se n’è andato silenziosamente e dignitosamente, guardandoci con quegli occhi grandi che sembravano dire “Scusate se vi do questo fastidio”.

Dormi, sei stato un grande cane
adesso dormi, hai fatto tutto bene:
ora è il turno mio, resto sveglio io
.
(Roberto Vecchioni, Paco)

NB. Questo contributo è apparso già nel blog di Saverio Simonelli Inoltre: grazie a Saverio per la squisita ospitalità.