Autore : Palmieri Benedetta
Dati: 2011, 140 p., brossura
Editore: Feltrinelli (collana
I narratori)
“Vorrei
lasciare a chi amo, perché non vadano sprecati, gli anni tra l’età in cui
morirò e quella ritenuta media per un uomo della mia epoca.”
Queste le parole tratte da “Testamento” uno dei racconti più
delicati di questa raccolta di Benedetta Palmieri, Funeracconti. Il tema sicuramente stimola la curiosità: parlare di
morte e in modo più circoscritto di funerali, con tutto quello che ruota
intorno ad un evento funebre, alternando toni leggeri e delicati, divertenti e
divertiti, è impresa non facile. C’è sempre un po’ di pudore nel trattare certi
argomenti, come se il culto dei morti, di là dalle valenze etnografiche
dispiegate nella saggistica, fosse un tabù, di cui non discorrere lievemente. Invece
Benedetta Palmieri ci riesce, regalandoci dieci brevi racconti legati da un
doppio filo conduttore. Da una parte, alternata ai racconti stessi, la
narrazione del dopo-morte di una moglie dal punto di vista di un marito, con
tutte le cautele verso le figlie, lo svelamento di una esistenza in comune, i
possibili segreti in vita, il modo di vivere il lutto, in solitudine e in
attesa di seguire la consorte; dall’altra parte, il personaggio di Maria
Addolorata, grande imprenditrice napoletana di pompe funebri, che attraversa
diversi racconti. Maria Addolorata, protagonista del racconto omonimo, innovatrice
e inventrice dei funerali più raffinati o più pacchiani secondo i gusti dei
clienti vivi (i parenti dei defunti), ma soprattutto morti, viene a mancare (tipico
esempio di eufemismo funebre) ultranovantenne e le sue ceneri sono conservate
in un’urna a forma di piccola bara portaceneri, incastonata in una nicchia, custodita
dai figli eredi della sua impresa e del suo impero economico, nell’agenzia di
pompe funebri di famiglia. E torna in altri racconti, nelle parole di altri imprenditori
che la considerano un modello: la Palmieri descrive le trovate progressiste di
Maria Addolorata (come le bare colorate con striature di rosa e arancio), il
suo fisico imponente, strabordante e conturbante anche nella maturità, i suoi
capelli color nero inverosimile, tenuti su da un’impalcatura che la fa sembrare
Moira Orfei, la sua parlata schietta e le sue decisioni sbrigative. Lo fa con
un tono ironico e spiritoso, accompagnando i lettori alla scoperta di un mondo
che a tratti è realistico, a volte leggero, più spesso è surreale: Guadagno
Percelli fa il funerale ai fiori recisi, Gaetà è il giovane imprenditore funebre
che colleziona modellini di carri mortuari e la cui figlia, Giada, ha detto
come prima parola della sua vita ‘motte’ invece che ‘mamma’ o ‘papà’. Vito
Quadraro, il protagonista di “Quarantotto”, è il trapassato che aspetta il suo
funerale e racconta cosa succede dall’altra parte; la dama di condoglianze è
un’accompagnatrice del dolore altrui, quella che dona conforto finché sente che
il suo ufficio non è più necessario, nel momento in cui in una casa investita
da un lutto svanisce definitivamente l’odore della persona persa.
Indimenticabili sono tutti i personaggi tratteggiati dalla Palmieri, che adatta
anche la lingua alle situazioni narrate: Napoli c’è e non solo nell’agenzia di
pompe funebri di Maria Addolorata. Leggendo questi racconti si sorride, spesso
si ride, a volte ci si chiude in un pensiero lieve e profondo allo stesso
tempo.
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