sabato 26 settembre 2015

Ultima lettura: "Sorella" di Marco Lodoli


Sorella

Autore: Lodoli Marco
Dati: 2008, 100 p., brossura; ePub con DRM 815,2 KB
Editore: Einaudi (collana I coralli)

È così breve la vita, Amaranta,
 sembra un giorno che prima è mattina e poi è sera,
piove, c’è il sole, fa caldo, fa freddo.
Che hai fatto, Amaranta mia, che hai fatto?

Questa è la storia di Amaranta, una donna che ha rinunciato a vivere da quando era giovanissima (appena sedici anni) e che per farlo ha scelto una via speciale, quella della monacazione senza vocazione. Nel caso di Amaranta farsi suora significa sfuggire alla vita (“Che la vivano gli altri, la vita, se ci tengono tanto, che si diano appuntamenti e baci e spinte, Io voglio avere il viso pallido delle suore, grani freddi tra le dita”), rinunciare agli altri, ché tanto le altre suore sono poco impegnative, loro sono felici e si accontentano dell’amore di Dio. Invece Amaranta no, non è felice dell’amore di Dio, perché forse non ci crede fino in fondo: insomma, il suo matrimonio con la Chiesa è solo un matrimonio di convenienza, quello che ti consente di uscire da una casa per infilarti in un’altra e nel suo caso le ha permesso di uscire da una vita che non voleva per entrare in un’altra che, piatta com’è, piena di abitudini e rituali anche incomprensibili ma sopportabili, alla fine è meglio delle incognite alle quali sarebbe andata incontro, facendosi vivere in mezzo alla gente.
Photo HelenTambo on Instagram

Per questo quando la madre superiora la destina a un incarico nuovo -occuparsi dei bambini dell’asilo-, Amaranta reagisce, per poi adeguarsi a malincuore, perché a lei i bambini non piacciono, non le piace la loro vitalità, non le piacciono le manine sporche, le domande insistenti, il chiasso, i capricci, le mamme apprensive. Tuttavia quel mondo bambino che lei rifiuta sarà la sua via di fuga, la possibilità di scoprirsi umana e capace di sensazioni sconvolgenti: il tramite per il cambiamento, profondo e definitivo, sarà Luca, un bambino misterioso e speciale che non parla mai ma che a lei si attacca e che le dice solo tre parole –sigaretta, ruba e uomo-, tre parole che sovvertiranno la vita di Amaranta, le sue priorità e i suoi valori.
A me questo libro ha tolto il fiato, mi ha travolto, assorbito i pensieri. Bellissimo e struggente. Un po’ per la storia, per il personaggio di Amaranta, così strano e difficile da comprendere. E poi sicuramente per la scrittura di Lodoli, che accoglie e sorprende. Gli scenari, l’ambiente, le persone che ruotano intorno a questa religiosa che tanto religiosa non è, tutto contribuisce a disegnare un quadro inquietante, dai toni cupi anche quando parla dei bambini che giocano, forse perché in realtà più che giocare questi bambini si azzuffano, sputano il cibo, rovesciano ceste di giocattoli. Tuttavia anche nei momenti più angoscianti della storia, si conserva un guizzo di colore (ad esempio lo smalto rosso che Amaranta mette alle unghie dei piedi, preparandosi a un possibile e temuto incontro con un uomo sconosciuto, anzi meglio, con un uomo qualunque), come una pennellata vivace in un quadro dai colori scuri, foschi.
Mi è piaciuto, molto. Mi è piaciuta l’insensatezza dei gesti di Amaranta, quel suo trovare senza cercare veramente. Come forse capita a tanti, che poi scoprono una strada senza averla mai desiderata.

sabato 19 settembre 2015

Ultima lettura: "Morto a 3/4" di Francesco Balletta


Morto a 3/4

Autore: Balletta Francesco
Dati: 2014, 315 p., rilegato
Editore: Bookme

Mentre muore,
soffocato da un ossicino di pollo incastrato in gola,
Domenico Campana, comandante della stazione
dei carabinieri di Pietra Cotta,
 pensa che, tutto sommato, poteva andargli peggio.

Al maresciallo dei carabinieri Campana non basta fare una morte così assurda e banale, a nemmeno sessanta anni: un ossicino di pollo incastrato nella faringe. No, lui muore a tre quarti, gli resta un pezzo fuori dall’aldilà.
Questo rappresenta una mezza fregatura, perché mentre lui, per niente dispiaciuto della propria dipartita ma anzi sollevato -ché finalmente potrà godersi il riposo (eterno)-, valuta i vantaggi della nuova condizione, presto deve rendersi conto che per passare davvero a miglior vita deve prima finire un lavoretto nell’aldiquà. E deve finire quel lavoretto nell’aldiquà stando però nell’aldilà, sia pure per tre quarti. Il sistema di passaggio da questo mondo all’altro è una faccenda non esente da fastidiose lungaggini burocratiche: anche ciò che sembra facile, in realtà è complicato e così a Domenico Campana non resta che rassegnarsi e portare a termine le indagini sull’omicidio del Prof. Amaldi (professore di scienze che forse non a caso si chiama come uno degli autori più famosi di manuali di Fisica ad uso delle scuole?). Gli strumenti per finire l’inchiesta e assicurare alla giustizia i colpevoli saranno da una parte le sue doti naturali di investigatore di razza, dall’altro qualche piccolo (piccolo?) trucchetto che gli consente incursioni in incognito nel mondo dei vivi. Teletrasporto, immersioni nei sogni e negli incubi delle persone coinvolte nella vicenda, radioline che, opportunamente sintonizzate, consentono di intercettare pensieri e parole, un efficiente ufficio in grado di fornire alla velocità della luce qualunque documentazione su chiunque (e viene immediatamente da pensare a quanto tempo ci voglia, nella vita reale, per ottenere una qualsiasi carta bollata) sono le scorciatoie a cui Campana può far ricorso: mezzi e strumenti insomma non gli vengono risparmiati dall’affascinante capitano Clelia Manconi, titolare dell’ufficio di “dogana”, purché si arrivi alla soluzione del giallo. Dopodiché Domenico sarà libero di riposare per sempre. Forse.
Photo HelenTambo on Instagram
Si tratta quindi di un giallo, per la verità atipico, non fosse altro che per l’ambientazione e per gli effetti tragicomici di alcune situazioni. Ma oltre a questi aspetti, questo romanzo lieve e divertente si fa apprezzare per una certa profondità psicologica con cui si descrive la personalità di alcuni protagonisti, ad esempio degli adolescenti della scellerata gang che avrà un ruolo importante negli avvenimenti che precedono la morte del Prof. Amaldi, e in particolare della giovane Arianna.
La trovata non è nuova, la morte imperfetta è un topos letterario abbastanza frequentato (a partire dal mito di Orfeo e Euridice) anche nel cinema: a memoria, cito "La vita è meravigliosa" (1949) di Frank Capra, storia dell’aspirante suicida George e del suo angelo custode, Clarence, angelo di seconda classe che non ha ancora messo le ali, per meritare le quali deve compiere una buona azione. E poi ancora "Il paradiso può attendere" (1978) di e con Warren Beatty, anche questa una storia di morte provvisoria, e forse anche "Il corvo" (1994) di Alex Proyas. Tuttavia il romanzo dell’esordiente Balletta si distingue per freschezza e trovate narrative, oltre che per la simpatia che ispira il protagonista.
Una lettura leggera e piacevole che parte in sordina e si rivela incalzante soprattutto nella terza e ultima parte.

venerdì 11 settembre 2015

Streg... ata: "Tempo di uccidere" di Ennio Flaiano


Tempo di uccidere

Autore: Flaiano Ennio
Dati: 1947-1966, 271 p., brossura
Editore: Longanesi (1947;1966 collana Pocket)
Dati: 2000, 281 p., brossura
Editore: Rizzoli (collana La scala); ediz. successive BUR (2008-2013)

«L’ingegnere e l’indigena, caro dottore,
si uccidono scambievolmente
 e ciascuno col mezzo di cui dispone.
L’ingegnere uccide da uomo pratico
che non ha tempo per verificare un fenomeno
già sufficientemente controllato dall’esperienza,
 e senza chiedersi quali conseguenze porterà il suo atto.
L’indigena uccide come uccide la sua terra,
con tutto il tempo, del quale ha un concetto così sbagliato»

Nel 1968 nasceva la collana “I grandi premi letterari italiani: I PREMI STREGA”, diretta da Maria Bellonci per il Club degli Editori. A questa collana, che mia madre collezionava, ho attinto per le mie prime letture giovanili. Due titoli su tutti, “Lessico Famigliare” di Natalia Ginzburg e “La ragazza di Bube” di Carlo Cassola, sono stati il mio primo incontro con la letteratura italiana contemporanea, che si è andato definendo e arricchendo nel tempo, continuando io a prendere i libri da quello scaffale della libreria di mamma, quello appunto degli Strega. Gran parte di quei volumi, letti o non letti, mi ha seguito una volta che ho lasciato la casa paterna. Ora li ho tutti con me, anche quelli che in un primo momento avevo lasciato dai miei; sistematicamente ho deciso di riprenderli, anche su input di due formidabili lettrici e amiche, che prima di me hanno deciso di cimentarsi nell’impresa, Simona Scravaglieri e Paola C. Sabatini.
Photo Elena Tamborrino
Si tratta di una collana molto bella e curata, che riproduce fedelmente le edizioni originali e i cui volumi sono introdotti dalla prefazione di critici letterari, molti dei quali componenti del gruppo degli «Amici della domenica» che fin dal 1944 si riunivano con i Bellonci e Guido Alberti, fondatori del premio, in quello che la stessa Maria Bellonci chiama ”spontaneo sodalizio”[1] . Proprio la prefazione di Maria Bellonci apre il volume di Ennio Flaiano, “Tempo di uccidere”, primo vincitore del primo Strega nel 1947.
La Bellonci riferisce della “leggenda amichevole” che vuole che Flaiano avesse scritto il suo primo e unico romanzo[2] a Milano, in un albergo non riscaldato, con il cappotto addosso e una coperta a coprirgli gambe, in pochissimo tempo. Si narra anche che la scrittura di questo romanzo fu incoraggiata da una conversazione che Flaiano ebbe con Longanesi, suo editore, che però rifiutò un primo titolo, “Coccodrillo”. E mai scelta fu più opportuna (ecco a cosa servono anche i bravi editori, non solo a finanziare le imprese letterarie), perché il titolo definitivo è quello che davvero rappresenta questa vicenda quasi allegorica, la storia di un rimorso che rincorre se stesso, l’evolversi di un timore –in realtà infondato- che innesca una spirale di azioni in cui il protagonista, un giovane tenente italiano di stanza in Etiopia durante l’inutile colonizzazione fascista, è quasi costretto dalle circostanze a prendere decisioni impulsive e a tratti contraddittorie.
Il punto di vista è interno, l’ufficiale racconta in prima persona la storia del suo congedo che si trasforma in fuga, dopo una prima azione delittuosa: l’angoscia e l’ossessione, lo sconforto e il senso di colpa dopo l’incontro con la bella Mariam e la sua uccisione accidentale, faranno compagnia al tenente per il resto della sua permanenza in Etiopia, fino all’epilogo inaspettato che scioglie le paure, ridimensiona la realtà, ma consegna la figura dell’ufficiale al giudizio inevitabile di inettitudine. Tutto è ormai accaduto, nulla si può cambiare, e rientra nel quadro crudele di una guerra che nella storia del tenente non entra mai direttamente, ma è lo sfondo in cui si inseriscono i tasselli di tutti i personaggi, in una posizione fatale e prestabilita.
Il tempo della storia è un tempo solo psicologico: la vicenda sembra avvolgersi su se stessa sia nello spazio che nella durata. A scandire la cronologia sono i moti dell’animo, le circostanze che nutrono la coscienza del protagonista e la fanno girare a vuoto. Gli ambienti descritti, quell’aria densa e pregna di quello che Flaiano chiama continuamente ‘fiato’, opprimente, di fiori maturi e un po’ sfatti, la luce accecante o filtrata dalla paglia dei capanni e dalle fronde e dai cespugli vicino al fiume, fanno da scenario, immobile ed eterno.
Alla fine della lettura, che mi ha appassionato strada facendo, man mano che le vicende si andavano complicando per il giovane protagonista, ho riconosciuto in Flaiano uno stile che non definirei unico: ho avuto modo di dire che ho letto Flaiano come ho letto anche Buzzati, come se fossero in qualche modo affini. E lo sono, credo.
Bella lettura, indispensabile per capire la distanza, non solo temporale, tra lo Strega di ieri e lo Strega di oggi, senza voler dare giudizi di valore.



[1] Maria Bellonci, peraltro, per la collana del Club degli Editori, pubblicò un volume in edizione esclusiva, “Come un racconto gli anni del Premio Strega”, che credo si possa considerare assai prezioso sia perché appunto racconta la storia del premio dalla sua fondazione al 1968 dalla voce di uno dei fondatori, e poi per l’appendice che raccoglie una memoria di Arrigo benedetti su dove e come è nato il Premio Strega, il testo dell’annuncio dello stesso premio, firmato da Maria Bellonci e pubblicato su “La Fiera letteria” del 27 febbraio 1947, e il regolamento.
[2] Ennio Flaiano fu sceneggiatore, scrittore, giornalista, umorista, critico cinematografico e drammaturgo italiano: le sue opere di narrativa si sono strutturate in forma di racconti, “Tempo di uccidere” rimase il suo unico romanzo.

giovedì 3 settembre 2015

Ultima lettura: "L'allegria degli angoli" di Marco Presta


L’allegria degli angoli

Autore   : Presta Marco
Dati: 2015, 255 p., brossura
Editore: Einaudi (collana I coralli)

La sofferenza è una grande innovatrice,
ci cambia più di quanto riesca a fare la felicità,
che però ha un ufficio stampa migliore.

Questa è la storia di un giovane come tanti, oggi: Lorenzo è un geometra disoccupato che si barcamena tra lavoretti precari, il cui culmine è rappresentato dalla fase ‘artista di strada’ nelle vesti della statua vivente di un Faraone che di tanto in tanto improvvisa balletti improbabili, su una pedana nei pressi del Gran Caffè, crocevia di varia umanità e possibile trampolino per un futuro sentimentale che si chiama Claudia ed è la figlia del proprietario del bar.
Photo HelenTambo on Instagram

Vive con la madre, la signora Michelina, vedova apprensiva che osserva il figlio con amorevole sollecitudine, e può contare sulla presenza di pochi fidati amici, dall’esistenza precaria come la sua, anche se per motivi diversi: Massimo, Giorgio, il monumentale amico appena lasciato dalla moglie Stella, la saggia Catia e Fabio "Il Tranquillizzatore", forse l’unico che ha una solidità lavorativa e sentimentale dall’alto della quale può dispensare consolazione e consigli.
Il nucleo fondamentale dei problemi di Lorenzo è la mancanza di un lavoro vero, che gli renda dignità e libertà, perché solo l’indipendenza economica ti fa libero di scegliere la vita che vuoi, almeno per ciò che puoi scegliere. Il senso di frustrazione pervade le giornate di Lorenzo, che pure sembra vivere i suoi giorni con un sano senso di autoironia, che probabilmente è quello che lo fa continuare a sperare in una svolta. Le sue principali preoccupazioni riguardano mamma Michelina, che lui non vorrebbe vedere delusa, e il suo amor proprio, ferito dal senso di inadeguatezza che lo accompagna durante la sua ricerca di un’occupazione adeguata alle sue pur modeste aspirazioni.
L’argomento è attuale e spinoso, in periodi di crisi economica come questo il problema della disoccupazione giovanile è all’ordine del giorno e il protagonista di questo romanzo ha già superato i trent’anni, rischia di diventare in poco tempo un disoccupato non proprio giovane; tuttavia il tono con cui Marco Presta racconta le disavventure urbane di Lorenzo è lieve, pur toccando le corde della riflessione profonda. Sottesa alle vicende di questo geometra (mancato letterato secondo le attitudini in lui intraviste dal professor Orienti, suo insegnante di Lettere alle scuole medie), c’è una sensazione di moderato ottimismo che si svela soprattutto nel finale aperto, che lascia prevedere ulteriori sviluppi in positivo.
È un libro gradevole, che si legge con il sorriso, grazie anche a una prosa fluida e agli accenti ironici che punteggiano il racconto.

PS. Mi fa piacere tornare a parlare di Marco Presta: con il suo precedente romanzo, "Il piantagrane" è iniziata l'avventura del mio blog.