giovedì 29 maggio 2014

Sul comodino: "Tempo di imparare" di Valeria Parrella


Tempo di imparare

Autore: Parrella Valeria
Dati: 2013, 130 p., rilegato
Editore: Einaudi (collana Supercoralli)

No, basta: è tempo di imparare a tenere le cose in equilibrio.
Sperare per poterti incoraggiare,
per determinarmi all’azione, e intanto non sperare troppo:
perché ogni passo non compiuto diventa una forra di dolore.

Vedi che sono solo centotrenta pagine e pensi che per leggerlo ti ci vorrà un fine settimana, a prendertela proprio calma. Niente di più sbagliato.
“Tempo di imparare” è un libro difficile, che leggi piano perché è complesso, sia per l’argomento, che Parrella tratta con estrema delicatezza ed armonia, quasi fosse un canto, sia per lo stile, sincopato, spezzato, prezioso senza essere lezioso, fatto di parole ricercate, anche auliche.
Photo HelenTambo on Instagram
È un lungo racconto in prima persona, quello di una giovane madre alla quale la vita ha consegnato un pacchetto regalo ‘diverso’ da quello che si aspettava, un pacchetto che inizia per H di handicap, quello in cui era contenuto Arturo, il suo bambino. L’handicap è uno svantaggio, nel campo dell’equitazione indica il punteggio che viene sottratto alla partenza dei cavalli troppo veloci: chissà come, è stato mutuato in campo medico per indicare la disabilità di una persona. Parrella misura lo svantaggio di Arturo nei settantotto giorni che separano lui e sua madre dalla prima visita neurologica disponibile all’ASL, quella che deve diagnosticare l’entità, la consistenza del suo essere diverso dagli altri bambini dell’asilo che frequenta. E tutto il tempo che la madre di Arturo misura è il tempo che le serve per imparare a essere cinica, ad affrontare gli ostacoli e superarli, a chiamare le cose con il loro nome e anche a giocare con le parole.
Sono appena a metà, vorrei riuscire a finirlo entro un paio di giorni, vorrei sapere che forma hanno il coraggio di questa madre e il temerarietà del suo bambino, il cui punto di vista è semplice, bidimensionale, elementare e pieno di ostacoli da superare come onde apparentemente insormontabili, in un mare impetuoso come quello della società e della burocrazia che gli ha assegnato il numero 104, quello della legge a tutela dei disabili, appunto.

domenica 25 maggio 2014

Ultima lettura: "La costola di Adamo" di Antonio Manzini


La costola di Adamo

Autore: Manzini Antonio
Dati: 2014, 278 p., brossura; ePub con DRM 953,1 KB
Editore: Sellerio (collana La memoria)

«Ma quand’è che si fa un paio di scarpe adatte?»
«Lo stesso giorno in cui tu ti farai i cazzi tuoi» rispose Rocco
con lo sguardo concentrato sul marciapiede inzaccherato di neve.

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Ho capito che è più facile spiegare perché un libro non ti è piaciuto, piuttosto che il contrario. Perché se una storia non ti piace, prima di tutto ti chiedi se è un problema tuo, poi ti chiedi il motivo e provi ad analizzare tutte le possibilità: è colpa dell’intreccio? Dei personaggi? È scritta male? È noiosa? Non era il momento giusto per leggerla? Invece se ti piace, ti piace e basta. O meglio, al massimo resti gradevolmente sorpreso del fatto che ancora una volta ti sei lasciato prendere da una storia scritta bene, interessante, con protagonisti che ti hanno affascinato e coinvolto in una vicenda, grazie alla quale ti sei dimenticato della tua vita reale per tutto il tempo impiegato a leggerla.
Potrei quindi smettere qui di scrivere queste brevi impressioni su “La costola di Adamo” di Antonio Manzini, perché questo romanzo è tutto quello che ho appena detto.
Manzini scrive bene, ha la dote importantissima di non dare nulla per scontato fino quasi alla fine della storia e in un poliziesco questo non è sempre detto, ci sono brutti romanzi gialli in cui il nome dell’assassino lo intuisci già alle prime battute: in questo caso, brancoli nel buio fino a p.240 e poi te ne restano meno di quaranta per capire che quello che stavi per intuire ti ha portato fuori strada. Basta questo per definire questo romanzo un giallo perfetto.
La trama è semplice: un caso di suicidio nasconde in realtà un omicidio, o almeno così sembra da subito a Rocco Schiavone, incaricato di indagare sulla morte di Ester Baudo. In realtà il caso si rivela più intricato di quanto non sembri e solo un colpo di genio intuitivo, determinato dal puro caso, porterà il burbero vicequestore a ricostruire l’accaduto. La vicenda si svolge nell’arco di una settimana ad Aosta, dove Schiavone si trova da sei mesi, dopo un trasferimento improvviso per motivi disciplinari: quali siano questi motivi, meglio si spiegano in questo romanzo, dove gli strascichi del suo ultimo ‘incarico’ romano si ritrovano qui, come una parentesi che nulla toglie alla vicenda principale, ma anzi servono a chiarire il personaggio del protagonista e a far sì che a lui il lettore si affezioni di più.
Per il resto si può dire che i personaggi, conosciuti in "Pista nera", sono qui meglio definiti: il vicequestore Rocco Schiavone continua ad avere i suoi modi non sempre legittimi di indagare, ma il suo carattere sembra qui meno spigoloso, pur mantenendo alcune insofferenze di fondo. Intorno a lui si muovono gli agenti Deruta, D’Intino, Scipioni e Ferron, con il quale ultimo Schiavone ha costruito un’intesa stretta e complice, l’ispettrice Caterina Rispoli e il questore Costa: leggiamo di loro e li riconosciamo, fisicamente e nei loro tic. E poi ci sono le donne: Marina, la moglie mai dimenticata e anzi sempre presente nella vita di Rocco, e Nora, qui sullo sfondo.
Non è un caso se Sellerio è, insieme ad Adelphi, una delle case editrici che preferisco: a parte l’eleganza della veste grafica, la cura dei particolari, il famoso blu che strega i suoi aficionados, secondo me da Sellerio hanno un gran fiuto per i talenti naturali… Questo per dire che fare l’editore oggi non è solo impiegare capitali, ma metterci professionalità e amore.

venerdì 9 maggio 2014

Sul comodino: "Pista nera" di Antonio Manzini


Pista nera

Autore: Manzini Antonio
Dati: 2013, 278 p., brossura; ePub con DRM 954,2 KB
Editore: Sellerio (collana La memoria)

« Dottore, le avevo detto che si doveva comprare un paio di scarpe adatte».
« Pierron, non mi rompere il cazzo.
Io quelle betoniere che portate ai piedi non me le metto manco morto».

 
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Il vicequestore Rocco Schiavone è quanto di più politicamente scorretto si possa immaginare, quasi un ossimoro vivente: disonesto tutore dell’ordine, fedele traditore. A questo, se non bastasse, aggiungiamo un pessimo carattere, una rudezza irritante, una scarsa considerazione di tutto ciò che lo circonda, una presunzione insopportabile. Eppure… Eppure ti acchiappa in una maniera incredibile, te lo immagini, sai che è sicuramente piacente pur facendo di tutto per non sembrarlo e questo infastidisce perché, combinando fascino a cinismo e sarcasmo, sai che di avere a che fare con un personaggio che possiede un’arma di seduzione micidiale. Ti irritano i suoi modi bruschi, ma sei lì aggrappato alle pagine che lo raccontano, incapace di mandarlo al diavolo, come si meriterebbe se lo conoscessi in carne e ossa (ma tanto lo sai che invece…).
Dalle pagine lette finora, di Schiavone ho capito che:
·      è stato da poco trasferito ad Aosta da Roma, dove deve aver combinato qualcosa di molto grosso e molto brutto, quindi il trasferimento è stato un inevitabile provvedimento disciplinare;
·      ha una moglie, Marina, che lo ha seguito: con lei ha fatto progetti, sa che la sua vita futura, in un buon ritiro di campagna magari in Provenza, è con lei, però la tradisce sistematicamente, apparentemente senza grandi scrupoli di coscienza (la categoria di uomo definita da Maria Laura Rodotà -e prima di lei da Guia Soncini- GB, Grande Bastardo);
·      ha metodi e procedure da outsider, gestisce malamente e con insofferenza i rapporti con i superiori (un tratto comune a diversi poliziotti della letteratura, basti pensare al Montalbano di Camilleri, al Bordelli di Vichi o a Igor Attila di Foschi), si relaziona in modo costruttivo solo con chi è più o meno come lui (al momento direi solo con l’anatomopatologo livornese che lo affianca nelle indagini e che è burbero almeno quanto lui).
In questo romanzo, in cui Schiavone esordisce per poi diventare il protagonista di un’altra storia che Manzini racconta in “La costola di Adamo” (oltre che di racconti apparsi sempre per Sellerio nelle raccolte poliziesche “Capodanno in giallo”, “Ferragosto in giallo”, “Regalo di Natale” e “Carnevale in giallo”), il vicequestore si trova alle prese con il rinvenimento di un cadavere letteralmente maciullato dal passaggio di un gatto delle nevi su una pista di sci. A far capire che non si tratta di un incidente ma di un omicidio è un raccapricciante segno rilevato sulla scena. La vittima è Leone Miccichè, un catanese venuto tra i ghiacciai a gestire un rifugio alpino insieme alla moglie Luisa.
Non è solo il personaggio di Schiavone, disegnato dall’Autore con molta abilità descrittiva non tanto nel suo aspetto fisico quanto nelle pieghe più recondite della sua personalità, ma è anche la storia ad affascinare: intriga, chiede, propone, coinvolge. Cominciato ieri in viaggio, non credo che riuscirò a mollarlo finché non lo avrò finito, entro stasera.

NB: avanzando nella lettura comincio a capire qualcosa di molto importante. Manzini è bravissimo a far credere ciò che non è. Mi sa che sarò costretta a riabilitare Schiavone e il suo modo di relazionarsi con le donne, la sua donna, i sentimenti.  
NBbis: ho capito. A un terzo scarso dalla fine, ho capito che Rocco Schiavone è vedovo (lo so è spoiler, ma è solo per delineare il personaggio, nulla che infici la sorpresa della soluzione del giallo), ad accompagnarlo ad Aosta è solo il ricordo di Marina. Rocco riabilitato completamente. Manzini geniale.