domenica 22 novembre 2015

Ultima lettura: "Anna" di Niccolò Ammaniti


Anna

Autore: Ammaniti Niccolò
Dati: 2015, 275 p., brossura
Editore: Einaudi (collana Stile Libero Big)


L’amore sai cos’è solo quando te lo levano.
L’amore è mancanza.

Anna Salemi è una ragazzina di tredici anni che vive vicino a Palermo. Siamo in un futuro non troppo lontano, nel 2020, e la Sicilia è annientata da un virus, la Rossa, che ha falcidiato tutti gli adulti. I sintomi della malattia sviluppata da questo virus sono inequivocabili: si manifesta con l’apparizione di chiazze rosse sulla pelle, difficoltà respiratorie e febbre altissima e ciò che si sa di sicuro è che non colpisce nessuno prima dei quattordici anni e perciò l’isola è ormai abitata solamente da bambini che si muovono in un paesaggio distopico, desolato, carbonizzato a causa dei frequenti incendi, arido, distrutto, sporco, crudele come solo accade quando i bisogni tornano ad essere quelli primordiali, quelli che ti ributtano indietro in una condizione quasi preistorica, dove la lotta è per la sopravvivenza, il cibo e, in questo caso, le medicine.
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Anna è rimasta sola con il fratellino Astor: per un po’ si sono fermati al Podere del gelso, dove vivevano con la mamma Maria Grazia, morta anche lei e conservata sul letto della sua camera dopo precise disposizioni lasciate alla primogenita, poi Anna capisce che deve muoversi da lì e andare verso Messina per passare lo Stretto, raggiungendo la Calabria e quel continente dove la Rossa sicuramente non c’è.
Anna attraverserà pericoli, dovrà prendere decisioni, mangerà (e farà mangiare ad Astor) quello che riuscirà a trovare nei negozi devastati e saccheggiati, nelle case semidistrutte e abbandonate: si tratterà per lo più di cibo scaduto, conservato male, ammuffito a volte, il che dimostrerà la forza di questi ragazzini, non solo psicologica ma anche fisica, visto che la loro resistenza sfiderà qualunque veleno saranno in grado di mettersi nello stomaco (e spesso di rigettare seduta stante). In questo percorso accidentato, Anna farà incontri importanti e cambierà, fino a diventare la donna che già si percepisce dalle prime pagine, da quando è intenta a consultare il quaderno delle Cose Importanti che sua madre, nell’imminenza della morte, ha preparato per aiutarla a affrontare le difficoltà pratiche che i figli avrebbero trovato nella loro vita senza adulti, fino a quando comincerà a cavarsela da sola, in completa autonomia. Per questo forse si può pensare a questo romanzo come a un romanzo di formazione.
“Anna” è un libro duro che all’inizio ho fatto fatica a leggere: le descrizioni dettagliate e crude delle lotte fisiche, della morte, della malattia mi rendevano difficile andare avanti, mi sembrava tutto troppo esasperato. A convincermi che dovevo proseguire sono stati due motivi: il primo è sicuramente l’Autore, di cui ho apprezzato sempre tutto, compresi gli aspetti splatter della sua scrittura; il secondo è la protagonista, Anna appunto, un personaggio fortissimo, indimenticabile, uno dei più belli di Ammaniti.
Ho avuto ragione a non scoraggiarmi, perché man mano che procedevo nella lettura, entrando sempre di più nella storia e partecipando alle vicende di Anna e di suo fratello, ho potuto soffermarmi sugli aspetti più caratteristici della scrittura di Ammaniti, come la sua capacità di rendere i pensieri e le parole dei bambini e degli adolescenti, quel suo regredire a livello del personaggio tanto da renderlo vivo e reale. Era stato così per “Io non ho paura” e “Io e te”: oggi, con questo nuovo romanzo, si aggiunge un altro importante tassello al mosaico della psicologia infantile e adolescenziale a cui Niccolò Ammaniti si dedica da tempo.
Alla fine del libro –cosa che mi è successa raramente e non mi capitava comunque da tanto tempo- ho pianto di commozione e non per come termina la storia, in realtà con un finale aperto, ma per tutto quello che ho trovato nelle pagine, per la forza e la bellezza di questa guerriera, Anna, che mi porterò sempre dentro.
Consiglio fortemente la lettura di questo romanzo: Anna vi entrerà nelle vene.

venerdì 13 novembre 2015

Ultima lettura: "E poi ci sono quei momenti che (Le Polaroid di un padre quasi perfetto)" di Nicola Feo


E poi ci sono quei momenti che (Le Polaroid di un padre quasi perfetto)

Autore: Feo Nicola
Dati: 2015, ebook, 98 p. su dispositivo Kindle
Editore: Zandegù

Io sono stato seduto su un masso a osservare le anatre,
ma a differenza di Holden Caulfield
non mi sono chiesto dove andassero d’inverno.

C'è un ragazzo padre e ci sono due Cuccioli d'uomo, i suoi figli.
C'è il fatto che per diventare padre (e madre) esiste la Natura che fa un certo corso (quella cosa delle api, dell'impollinazione, eccetera eccetera), per fare il padre (e la madre) invece ci vuole l'esperienza che ti fai sul campo, perché non esistono ricette, nessuno può spiegare come si fa.
E così, specie se resti solo come capita a Nicola, devi farti in due e affrontare giorno per giorno quello che la vita e i tuoi bambini ti presentano.

Questo papà, che forse è ancora un po’ figlio, raccoglie ventidue istantanee di vita, una per ogni occasione gli si presenti per conoscere meglio i suoi figli, per aggiustare il tiro, per prendere bene le misure e cercare di non sbagliare, adattandosi alle circostanze e a prezzo di qualche errore di valutazione. Le chiama Polaroid, come la macchina fotografica dalla quale quasi magicamente uscivano le immagini appena scattate, senza passare dalla camera oscura del fotografo. Sono fotografie che a distanza di tempo oggi possono apparire di uno strano colore giallastro, che le distingue dalle altre, che pure presentano i segni del tempo per un virare del colore, accentuato in una certa tonalità. Ciononostante chi le ha conosciute in qualche modo è rimasto affascinato da questo incantesimo che riusciva a consegnare in tempo reale la traduzione di un momento.
Nicola Feo traduce istanti in immagini fatte di parole e, accompagnandosi a quelle dei libri che ha amato -da Simenon a Philip Roth, da Franzen a Salinger, da Jennifer Egan a Manuel Vázquez Montalbán, da Saunders a Tolstoj, a McCarthy, a Baricco e tanti altri-, racconta i suoi momenti con i suoi bambini, “il Grande moro e il Piccolo biondo, il primo occhi scuri e fisico possente, il secondo occhi celesti e fisico dinoccolato”, che per certi versi somigliano a quei momenti di trascurabile felicità di cui qualche anno fa ci ha parlato Francesco Piccolo, quei momenti destinati ad essere ricordati quando sono passati, quei momenti in cui siamo stati felici senza accorgercene. Più che momenti felici (ma ci sono anche quelli), quelli di Nicola Feo sono momenti in cui il padre che è, che sta diventando strada facendo, raggiunge qualche piccola o grande consapevolezza.
Si tratta di un libro veloce, che si legge piacevolmente, una buona prova di opera prima.
E si sa che se la prima è buona, la responsabilità della seconda è enorme.


sabato 7 novembre 2015

#NidiDiRagno: ancora social reading con Italo Calvino e TwLetteratura


#NidiDiRagno: ancora social reading con Italo Calvino e TwLetteratura


Ora Pin è solo tra le tane dei ragni
e la notte è infinita intorno a lui
come il coro delle rane.

Ci sono libri che diventano i tuoi libri, quelli che da un certo momento in avanti ti accompagneranno per tutta l’esistenza, quelli che ti porterai sempre dietro, di trasloco in trasloco, di casa in casa, di vita in vita.
Allo stesso modo ci sono scrittori che diventano i tuoi preferiti, forse anche per caso, perché hai incontrato sul tuo cammino di formazione quelli e non altri, che potevano diventare anche loro i tuoi preferiti e che probabilmente resteranno occasioni perse.
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Diventano i tuoi preferiti magari per combinazione, ma poi per scelta, perché li cerchi, continui a leggerli, alla fine sai quasi tutto di loro e delle loro opere, di quello che dicevano, di quello che pensavano. E non a caso parlo di loro al passato, perché possiamo avere certamente tra i nostri autori preferiti anche scrittori contemporanei viventi, ma quando penso alla mia formazione in particolare, io penso a una certa letteratura, condensata soprattutto tra gli anni Quaranta e Sessanta del secolo scorso, con una specifica concentrazione sul Neorealismo. Per farla breve, ognuno ha le sue fissazioni e io sono un po’ fissata con Vittorini, Pavese, Fenoglio, Moravia, Cassola, Pratolini, Calvino e così via, solo per citare qualche nome tra i tanti possibili.
La scuola ha avuto in questo un ruolo decisivo, almeno nel mio caso: più volte ho avuto modo di dirlo, più volte mi sono dichiarata studentessa fortunata che ha fatto incontri fortunati con insegnanti eccezionali, che hanno rafforzato una naturale passione per la lettura, nata in famiglia prima che altrove, favorendo la conoscenza di autori importanti da inseguire, leggere e fare propri, in solitudine.
Italo Calvino è senza dubbio uno dei miei scrittori preferiti; vorrei dire che è il mio preferito, se non temessi di far torto ad altri che più o meno allo stesso modo mi appartengono. Ma con Calvino è nata subito un’intesa che si è giocata molto sulla possibilità di fantasticare indotta dalla lettura della trilogia de “I nostri antenati”, alle scuole medie: “Il barone rampante” è stato il primo romanzo di Calvino che ho letto a scuola, per l’ora di narrativa (si fa ancora alle medie?), e poi da sola ho completato la trilogia con “Il visconte dimezzato” e “Il cavaliere inesistente” perché ormai la febbre mi era venuta. Ripensavo a quello stralunato di Marcovaldo di cui mi avevano letto qualche racconto alle elementari e ritrovavo i nomi di ispirazione medievale e le situazioni surreali che tanto mi avevano colpito da ragazzina: da adulta le avrei trovate ancora nelle descrizioni che Marco Polo fa delle città invisibili, incontrate nei viaggi attraverso l’immenso impero di Kublai Kan. 
A diciassette anni leggo per la prima volta, e su consiglio della mia insegnante di Italiano, “Il sentiero dei nidi di ragno”, il primo romanzo di Italo Calvino, scritto e pubblicato nel 1947, quasi all’indomani della Liberazione, a bocce ferme ma non troppo rispetto a quella stagione politica e culturale tanto carica di significati. Quella fu un’epoca fervida di scrittori che volevano e sentivano di dover raccontare quello che avevano visto e vissuto: Maria Bellonci, nella Prefazione a "Tempo di uccidere"  di Ennio Flaiano, vincitore del primo Premio Strega proprio nel 1947, dice che quell’anno fu “buono per i libri e anche per gli scrittori; sebbene questi ultimi se ne siano accorti solo più tardi”. In effetti quello fu l’anno in cui sugli scaffali delle librerie si trovava “La romana” di Alberto Moravia accanto a “Il compagno” di Cesare Pavese, a “Malaria di guerra” di Enrico Pea, a “Cronache di poveri amanti” di Vasco Pratolini. E appena due anni prima, a due mesi dal 25 aprile, era uscito “Uomini e no” di Elio Vittorini, mentre due anni dopo Renata Viganò avrebbe pubblicato “L’Agnese va a morire”. Tutti volevano scrivere la guerra, la Resistenza, la vita nelle città e sulle montagne, il mercato nero, le miserie umane, gli atti eroici e le vigliaccherie, il dolore e la speranza. Calvino lo fece in modo diverso dagli altri, con una scelta che poneva il suo romanzo a margine della Storia: per non sentirsi in soggezione avrebbe affrontato il tema “di scorcio”, attraverso gli occhi di un bambino che gioca a fare il grande, in un gioco più grande di lui. E probabilmente questa è stata la cifra caratteristica di un romanzo immortale che può parlare a tutti, ai più piccoli come ai grandi, in una dimensione che Pavese per primo definì ‘fiabesca’, come d’altronde è quasi tutta la produzione di Calvino.
Sono sicura che in quello che ho scritto finora molti lettori si ritroveranno, perché Italo Calvino per molti della mia generazione è stato colonna portante nel processo di costruzione del proprio sapere.
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Oggi, a distanza di oltre trenta anni e dopo averlo sfogliato e risfogliato nel corso del tempo, riprendo la lettura de “Il sentiero dei nidi di ragno” e lo faccio con i miei alunni prima di tutto, con la speranza e la curiosità di vedere che effetto farà su di loro, dopo che abbiamo cominciato un percorso sulla letteratura neorealista che ci ha già visto leggere nelle scorse settimane "L'Agnese va a morire" di Renata Viganò. E lo faccio con la comunità di TwLetteratura, che ha accolto con entusiasmo la mia proposta e mi ha offerto tutto il supporto organizzativo per il lancio della riscrittura di #NidiDiRagno, che spero coinvolgerà molti utenti di Twitter e molte scuole, in una rete grandissima senza obblighi formali né protocolli da seguire, se non il rispetto di un calendario e delle poche e semplici regole del gioco, che trovate qui.
Sarà il rinnovarsi dell’incontro con Pin e Cugino e del Comandante Kim. Un incontro che si rinnova e che mi trova emozionata, in attesa di scoprire cosa troverò ancora tra le righe di questo romanzo, nelle parole dei suoi protagonisti, nel paesaggio che Calvino aveva a sua disposizione, perché era fatto dei suoi luoghi, e che aveva bisogno di popolare con figure epiche tra Storia e storie.
Appuntamento quindi a lunedì 9 novembre con #NidiDiRagno.