martedì 26 luglio 2016

Liebster Award 2016



Buongiorno a tutti! Sono stata nominata da Amina Sabatini del blog My Day Worth per partecipare al contest Liebster Award 2016, un modo per far circolare idee e suggestioni dai blog che seguiamo e amiamo di più. 
Già nell'elenco di Amina ci sono almeno un paio di blog che anch'io, come lei, seguo con attenzione e apprezzo, quindi sarò costretta a non ripetermi. 
Ringraziando quindi l'amica senese per i riflettori che ha acceso su "Io e Pepe (e libri e altro)" assegnandomi questo premio, procedo a rispondere alle sue domande. 

Ecco le mie risposte alle sue domande:

1 Qual è l’ultimo libro che hai letto? Come lo hai scelto? 
L'ultimo libro letto è "Il cammmino della Comunità" di Adriano Olivetti e non l'ho scelto io, bensì TwLetteratura, che ne ha proposto qualche passo da commentare su Twitter e su Betwyll, l'app per i giochi letterari, in sperimentazione in versione beta. Distinguo tra le letture che faccio in autonomia e quelle che faccio seguendo i vari gruppi di lettura a cui mi sono affiliata. L'ultima scelta autonoma è stata "L'avversario" di Emanuele Carrère. 
2 Come è nato il tuo blog e come si è evoluto? 
"Io e pepe (e libri e altro)" è nato nel novembre del 2012 perchè avevo voglia di riempire uno spazio lasciato vuoto da una precedente esperienza su Second Life, in cui con un avatar gestivo incontri mensili durante i quali si parlava di libri. Chiusa la parentesi nei mondi virtuali, volevo continuare a parlare della mia grande passione, la lettura, e allo stesso tempo dare una collocazione ai brevi racconti che nel tempo avevo scritto e ogni tanto ancora scrivo. Nel tempo il blog ha aggiunto spazi, l'ultimo dei quali è dedicato agli amici scrittori che, di passaggio, mi regalano qualche loro inedito. 
3 Un evento importante della tua vita? 
Difficile scegliere! Direi che la nascita dei miei due figli ha rappresentato in assoluto l'evento più importante di una vita fatta comunque di incontri e momenti determinanti, che spesso hanno rappresentato vere e proprie svolte, nel bene e nel male. 
4 Perché alle persone piace il tuo blog? 
Bisognerebbe chiederlo ai miei 23 lettori fissi e a tutti quelli che ci capitano per caso. Io credo che il mio blog possa piacere perchè è ben scritto, formalmente ben curato. È la prima cosa a cui penso, butto giù velocemente i contenuti, che devono essere significativi e quindi li penso molto, e poi curo la forma linguistica in modo quasi maniacale, perché odio la sciatteria e leggo blog che viceversa, pur trattando di libri e quindi sono tenuti da lettori, sono pieni di errori di ortografia e morfosintassi, anche grossolani. Ci terrei a non essere annoverata tra questi! 
5 La tua frase motivazionale preferita? 
Non ne ho. Ma ho un motto, riportato anche nelle mie info su Facebook: "Ask me no questions and I'll tell you no lies" 
6 Il post del tuo blog a cui sei più affezionata? metti il link! 
"La cialledda di Mammà" nella sezione SapereSapori
7 L’ultimo viaggio, non per lavoro, che hai fatto? Come hai scelto la destinazione?
L'ultimo viaggio di piacere, non legato al lavoro, è stato nell'agosto 2015 a Bruges, in Belgio. La scelta era nell'aria da tempo, era un desiderio che avevo e coltivavo. Ci tornerò, prima o poi.
8 Il tuo piatto preferito da mangiare o da cucinare? se condividi qui la ricetta, tanto meglio!
Sono una buona forchetta, ho molti piatti tra i miei preferiti quindi ne citerò uno solo, quello che fin da bambina ho considerato speciale: gli gnocchi di patate, con il sugo di pomodoro fresco e il basilico. Semplicissimo: per le quantità vado a occhio, diciamo che metto a lessare un kg di patate nuove, una volta cotte le spello e le passo due volte allo schiacciapatate. Poi aggiungo un uovo e tanta farina 0 quanta se ne prendono, finchè non ottengo una palla non appiccosa che poi schiaccio sul piano di lavoro infarinato e taglio disegnando un reticolato di file orizzontali e verticali. Ottenuti tanti rettangolini, li prendo uno a uno e li passo sui rebbi di una forchetta o su un attrezzo fatto apposta per decorare gli gnocchi (ne ho uno, in plastica, ereditato da mia nonna, che me li disegna a rombi; in commercio ne esistono di legno, che disegnano delle righine) e li lascio riposare. Nel fattempo ho fatto il sugo di pomodori San Marzano. Metto a scaldare l'acqua in una pentola capace e, quando arriva a bollore, calo gli gnocchi, pochi per volta, li tiro su con una schiumarola e li lascio scolare ben bene prima di sistemarli nei piatti e condirli con il sugo fresco e abbondante caciorocotta (per chi non ha, come me, problemi con il lattosio) 

9 Sei mai uscita dal parrucchiere con un taglio o un colore di capelli che non avevi previsto? Dai, racconta! 
Sì, mi è successo. Ho capelli molto sottili, difficili da tenere in piega. Una volta feci una permanente che mi faceva sembrare una pecora, ricordo tanti pianti e un taglio drastico per eliminare tutti quei ricci crespi. 
10 Sei un tipo più sportivo o meditativo? nel caso di risposta affermativa, che tipo di sport o meditazione pratichi? 
Sono un tipo sportivo, pratico il nuoto e il fitwalking, che alterno alla corsa lenta. 
11 Hai il pollice verde? se sì, che piante hai in casa? 
Mi piacciono molto i fiori, non recisi, per cui coltivo nel mio giardino ortensie, lantane, roselline, ibiscus, ciclamini, tulipani, piante grasse di vario tipo, piante aromatiche (alloro, rosmarino, salvia, menta, peperoncini piccanti, basilico), ficus benjamin e chicas. Mi danno soddisfazione, ma non so se ho il pollice verde, credo che vengano su bene per caso. 

Regolamento Liebster Award 2016 

Prima di rivelare i nomi degli 11 blog da me individuati per l’assegnazione del premio, vi riporto le regole da seguire nel caso in cui decidiate di partecipare: 
– ringraziare il blog che ti ha nominato ed assegnato il premio, linkando il suo blog nel post; 
– inserire il “widget” o “gadget” del premio nel post; 
– rispondere alle domande che il blogger ti ha posto; 
– formulare 11 domande per gli 11 candidati che hai menzionato; 
– informare i blogger del premio assegnato; 
– indicare le regole. 

I miei 11 candidati al Liebster Award 2016 

Valentina Accardi di La Biblioteca di Babele, Rita Lopez di Rita Lopez. Storie e altro , Saverio Simonelli di  Inoltre, il blog Svolgimento, curato da Gianluca Meis, Roberta Lepri e Anna Wood, Elisa Occhipinti Gelsomino di Odor di Gelsomino, Erica di La Leggivendola, Elisa di La Lettrice Rampante, Cristina di Athenae Noctua Erika Pucci di Blutrasparente, Irene Daino di Librangoloacuto, Sonia De Risi di  Cuore d'inchiostro

Queste sono le 11 domande che ho pensato per loro 

1 Qual è il libro che stai leggendo? 
2 Quando hai pensato di aprire un blog e perché? 
3 Qual è il primo libro che ricordi di aver letto? 
4 C'è un libro in particolare a cui leghi dei ricordi speciali? 
5 La tua citazione preferita? 
6 Qual è il criterio con cui ordini la libreria di casa? 
7 Come consideri l'esperienza del tuo blog? 
8 Cosa ti piace fare, oltre a curare il tuo blog? 
9 Qual ' il tuo "luogo dell'anima", se ne hai uno? 
10 Hai esperienze di social reading? Se sì, quali? 
11 Che tipo di musica ascolti? Metti il link a un brano musicale che ti piace in modo particolare.

domenica 24 luglio 2016

La Genny (e una caduta malriuscita)



Photo da kijiji.it

Dalla cantina di zio Armando era emersa una bicicletta che in scala ridotta riproduceva una bici da corsa, di quelle con la canna. 
Era chiaramente una bicicletta da uomo e sarebbe diventata di Mauro, mio fratello, più piccolo di me di un anno. 
La chiamammo Velocina, forse anche perché i freni non andavano molto bene, e spesso e volentieri Mauro si schiantava contro qualche muretto.
Era una specie di ricompensa per consolarlo della delusione, perché io invece la bici l’avevo avuta nuova, e la mia era una Graziella.
O meglio, era un modello tipo Graziella.
Ed era di un improbabile fucsia, tanto per passare inosservata. 
Io che la bici la volevo sì, ma una Graziella come quella di Simona, bianca ed elegante.
E invece mi toccò una Genny, o come diavolo si chiamava. Rosa shocking. 
Ma sempre meglio della Velocina rossa e mezza arrugginita di Mauro. 

Intanto avevano costruito un palazzo nuovo vicino al nostro, ci andavamo a giocare quando ancora era un cantiere, raccoglievamo gli scarti delle piastrelle che servivano per rivestire i bagni, erano piccole come tasselli di mosaico e alcuni colori erano rari. 
Ce le scambiavamo, facevamo finta che fossero soldi.

Costruirono il garage sotterraneo, vi si accedeva da una rampa a scivolo.
Mauro si spiaccicava sul fondo della parete di fronte, io riuscivo a curvare e a fermarmi nel largo spiazzo che sarebbe servito per le macchine in sosta. 
Era un esercizio che facevamo da prima che costruissero quella palazzina, lanciarci in discesa, dove trovavamo una discesa. 
Quella per entrare con le macchine nel nostro cortile ad esempio, anche quella finiva in curva ed era sterrata. 
Esercizio pericoloso, ma eccitante, si prendeva velocità e dovevi essere bravo a curvare senza cadere sul brecciolino. 
Caddi, un giorno. E caddi male. 
Caddi piegando all’indentro il polso, pensando di pararmi, chissà perché non con il palmo della mano. Caddi e il polso me lo slogai. Già, me lo slogai e basta. 
Mentre a Simona una volta avevano messo il gesso e tutti ci scrivevano il nome con il pennarello e lei era diventata importante. 
Io no, nemmeno quello mi era riuscito, rompermi un braccio. 
Mi hanno messo una doccia, con la fascia. Senza gesso.
Nessuno poteva scriverci il nome o disegnare un fiore. 
©ElenaExLibrisTamborrino 

Soundtrack: Gli Alunni del Sole, "E mi manchi tanto"

NB: il racconto "La Genny (e una caduta malriuscita)" è già apparso su Svolgimento, che ringrazio per l'ospitalità. 

lunedì 18 luglio 2016

Ultima lettura: "Pedro Felipe" di Emanuele Tirelli

Il Polve non era il luogo che ricordavo, 
il sole e il caldo dovevano ancora raggiungerci 
e li aspettavo per iniziare a stare meglio 

La ricerca del passato, specie se risiede nei luoghi più che nelle persone, è un viaggio che riserva sorprese, insieme a corsi e ricorsi storici di cui non sempre si conosce la possibilità di ripetersi. 
Pedro Felipe Colella è il personaggio principale, nonché voce narrante, di questa storia che racconta del recupero di un passato felice, coincidente con l’infanzia, trascorso al Polve, un quartiere degradato (forse solo trascurato, dice Pedro) di una località della Costa Brava, in Spagna. 
Lì genitori di Pedro si erano trasferiti e avevano fatto nascere il loro unico figlio. Gli affari di Francesco e Adriana, titolari di un negozio di abbigliamento che all’apertura aveva riscosso un certo successo, cominciano a non andare bene; a ciò si aggiunge che le condizioni di salute della nonna materna di Pedro non sono buone e così la famiglia Colella si vede costretta a tornare a Milano. 
Questa scelta determina uno stato di profonda tristezza nel bambino, che si vede allontanare dai suoi compagni di scuola e dal quartiere che ha visto i suoi giochi di bambino. Non basteranno la vicinanza a Milano della zia Letizia e della cugina Marta, sua coetanea, per distrarre Pedro dalla promessa che ha fatto a se stesso, quella di tornare un giorno al Polve. 
Ci tornerà infatti, con Claudia, la ragazza di cui, crescendo, si è innamorato e che è figlia del Muchacho, il titolare di un bar frequentato dal giovane, a Milano: Muchacho ha un passato discutibile e misterioso, legato al Polve da dove si è dovuto allontanare, anche lui per rientrare a Milano. La storia del padre di Claudia investirà Pedro fin dai primi giorni di permanenza nel quartiere della sua fanciullezza, dove, nonostante la festosa accoglienza dei vecchi amici, sembra difficile organizzare la vita per la giovane coppia. 
Sono soprattutto le certezze che Pedro alimenta in se stesso, quelle che lo legano al luogo deputato ad accogliere il suo cuore, ad animare le azioni di questo ragazzo, nonostante molte cose non vadano nel verso auspicato. 
Non sempre ritroviamo ciò che cerchiamo, guardando all'indietro. I posti che portiamo dentro di noi diventano luoghi dell’anima, cristallizzati nel ricordo: se corrispondono a un’età perduta, specie se quella dell’innocenza, sarà altamente improbabile poterli ritrovare. Sarebbe bello poterli rivivere con nuove consapevolezze di sé e con la coscienza di chi è ormai cresciuto e ha un’altra vita da vivere, proiettata nel futuro. 
Emanuele Tirelli si mette dalla parte di Pedro e ne racconta convinzioni e illusioni, ingenuità e decisioni, entrando con lui nel Polve, nella comunità del quartiere. 
L’esordio narrativo di Tirelli è particolarmente felice: dalla sua, ha la forza del bel personaggio di Pedro, con le sue debolezze e le sue speranze, e una corona di comprimari che acquistano carattere e sono complementari in una storia che è soprattutto di amore verso le proprie radici. 
 
Photo HelenTambo on Instagram



Pedro Felipe  
Autore: Emanuele Tirelli 
Dati: 2014, 156 p., brossura 
Editore: Caracò (collana Singoli) 
Prezzo: € 12,00 
Giudizio su Goodreads: 3 stelline

lunedì 11 luglio 2016

#LeggoNobel: "Bellezza e tristezza" di Yasunari Kawabata

Il viola del tramonto svanì presto, 
e il cielo prese un colore gelido, di un azzurro grigiastro. 
La primavera alle soglie pareva retrocedere 
cedendo di nuovo il posto all'inverno. 
Da poco era calato il sole, 
lasciando un punto roseo nel cielo, dietro la foschia. 

Siamo arrivati al quinto appuntamento con #LeggoNobel, il progetto di lettura condivisa degli scrittori che sono stati insigniti del premio Nobel per la letteratura. Si tratta di un’occasione per leggere e commentare insieme autori che forse difficilmente avremmo avvicinato nella nostra vita di lettori. 
Stavolta è toccato a Yasunari Kawabata (Saka, 1899-1972), cui il Nobel è stato assegnato nel 1968 “per la sua abilità narrativa, che esprime con grande sensibilità l'essenza del pensiero giapponese”. La stessa abilità narrativa e la stessa sensibilità accomunano Kawabata e Yukio Mishima, forse lo scrittore giapponese più tradotto e conosciuto nel mondo, uniti anche da profonda amicizia interrotta solo dal suicidio di Mishima. 
E proprio leggendo “Bellezza e tristezza” mi sono sentita avvolgere dalla stessa atmosfera torbida e tragica di “Trastulli di animali” (1961) di Mishima, che come il romanzo di Kawabata è soffuso di una luce idilliaca e immerso in una natura pura e semplice. 
Questo mi ha fatto pensare che, come gli scrittori russi sono “i Russi”, riconoscibili in tutto il panorama della narrativa europea tra fine Ottocento e inizi Novecento, come la letteratura americana della beat generation si riconosce perché c’è un filo rosso che lega tutte le opere così come quelle dei minimalisti statunitensi, come i sudamericani hanno i loro paesi colorati e profumati di caffè e cacao e l’indolenza della siesta o la passione della ribellione, così gli scrittori e i registi orientali, giapponesi in particolare, sono accomunati da uno stile unico: i loro colori, pastello e trasparenti, sono gli stessi per tutti e quando si infiammano, diventano rosso sangue. E il rosso del sangue, sui fiori di Phalaenopsis, spicca. 
La storia che racconta Kawabata in “Bellezza e tristezza” riguarda un ritorno, il rinnovo inutile di un incontro e del ricordo di un amore passato: il primo personaggio che incontriamo è Oki, lo scrittore che nel romanzo “La sedicenne” ha narrato la sua relazione con Otoko, che da quell’amore è uscita profondamente cambiata. È lei che l’uomo desidera rivedere, dopo che ventiquattro anni sono passati dalla loro forzata separazione e le passioni e i rancori sembrano sopiti. Il cambiamento di Otoko, diventata nel frattempo una famosa pittrice, è il risultato di una vita pazientemente ricostruita: questo non le impedisce di ricordare quella passione, per la quale lei ha pagato il prezzo più alto e di affrontare, con un distacco superiore, maturato in anni di autodisciplina, l’incontro con l’uomo che si è preso la sua giovinezza per sprecarla e consegnarla al pubblico senza nessuna attenzione per il dolore della ragazzina che Otoko era all’epoca del loro amore. 
La vicenda è ambientata tra Tokio e Kyoto, in epoca contemporanea. Tra le due città si muovono i protagonisti, Oki e Otoko, e i comprimari che svolgono tutti ruoli fondamentali nel paesaggio dei sentimenti disegnato dall’Autore: la moglie e il figlio dell’uomo e Keiko, bellissima allieva della pittrice. Sarà Keiko, legata a Otoko da un rapporto di amore saffico e di profonda ammirazione, il motore delle vicende che vedranno svelare la vera personalità della giovane, una specie di vampiro di linfa vitale, capace di piegare ai suoi capricci, alla sua passione e alla sua vendetta anche un ragazzo ingenuo e appassionato come Taichiro, il figlio di Oki. 
Le atmosfere sono rarefatte e i colori tenui per una storia che è fatta di sentimenti violenti che contrastano con altri ormai stanchi, fino a un epilogo forse prevedibile, proprio per le caratteristiche della narrazione orientale, non solo letteraria ma anche cinematografica –penso ad esempio a “L’impero dei sensi” (1976) del regista Nagisa Oshima- di cui dicevo prima. 
Il libro mi è piaciuto, forse perché mi ha fatto provare dei sentimenti verso i protagonisti, al di là della storia. Ho considerato Oki un inetto incapace di prendere decisioni in modo autonomo, ho sentito compassione per suo figlio Taichiro e per sua madre, una donna che ha soffocato il dolore di moglie delusa nella cura ossessiva della casa, ho provato ammirazione per la compostezza e la saggezza di Otoko, nonché antipatia per l’arrivista Keiko. 
Anche i temi trattati da Kawabata mi hanno attratto, proprio per il modo in cui lo scrittore ne parla: l’amore adulterino, l’omosessualità, la morte, anche nei passaggi più scabrosi sono affrontati dallo scrittore con somma delicatezza. 
Il prossimo appuntamento con Kawabata è con “La casa delle belle addormentate” (1961), per cercare di conoscere meglio questo scrittore dai paesaggi delicati e dalle passioni assolute. 

Photo HelenTambo on Instagram


Bellezza e tristezza 
Autore: Yasunari Kawabata 
Traduttore: Atsuko Suga 
Dati: 1985 e 1993, 171 p.; 2007, 176 p., brossura; ePub con DRM 823,1 KB 
Editore: Einaudi (collana Einaudi Tascabili Scrittori) 
Prezzo: € 10,50 (eBook € 6,99) 
Giudizio su Goodreads: 4 stelline

venerdì 8 luglio 2016

Ultima lettura: "Prima di dirti addio" di Piergiorgio Pulixi

Le lacrime più dolorose sono quelle 
che non riusciamo a piangere 

Ci sono due modi per leggere i romanzi della serie dell’ispettore Biagio Mazzeo di Piergiorgio Pulixi e io li ho provati entrambi. 
Puoi decidere per la full immersion e leggere in un paio di giorni qualcosa che va dal minimo di 282 pagine de “La notte delle pantere” al massimo di 439 de “Una brutta storia”, considerando le 285 di “Per sempre”, dimenticandosi di tutto e di tutti, chiudendo qualunque contatto con il mondo esterno (e per questo ci vuole un fine settimana, si può fare), oppure optare per una lettura centellinata, che ti faccia aspettare con ansia il momento in cui potrai dedicarti alla storia, sapendo però che ti fermerai volutamente per rimandare la tua dose di adrenalina a un momento successivo e a un altro ancora. 
Ho letto i primi tre volumi della saga di Mazzeo in tempi record, ma stavolta ho fatto la scelta della lettura distillata, salvo farmi prendere nell’ultimo giorno in cui ho macinato oltre cento pagine senza accorgermene… come dire, mi sono lasciata andare e il mio autocontrollo mi ha fatto ciao con la manina. 
 Il motivo per cui avrei voluto prolungare al massimo la lettura risiede nel fatto che sapevo che questa sarebbe stata l’ultima avventura di Biagio Mazzeo, un eroe negativo, maledetto e corrotto, per il quale però non si riesce a non provare che sentimenti di attrazione fatale. Questa quindi è l’ultima storia della Famiglia, del clan di colleghi che quest’uomo risoluto, forte, coraggioso, ha riunito attorno a sé alla conquista della Giungla, in un’escalation di violenza e paura, di intrighi e passioni assolute. Stavolta Mazzeo è solo, i compagni cominciano a nutrire dubbi su di lui e sulle sue scelte, tranne Giorgio Varga, il gigante albino che nonostante tutto gli resta fedele: gli inganni, i sospetti e i tradimenti sono ingredienti che devastano gli equilibri e che lasciano Biagio ad affrontare in solitudine -e con le proprie forze ormai esauste- gli esponenti della ‘ndrangheta con i quali si è invischiato per rincorrere una vendetta personale contro Vatsala Demidova, la donna del capo mafioso ceceno Sergej Ivankov, suo vero assillo. 
I conti devono tornare alla fine, Biagio deve chiudere la partita, con la disperazione per tutto ciò che ha perso, anche se memoria e rimorsi faranno sempre parte di lui e non gli daranno mai pace: i ricordi delle persone amate continueranno ad affacciarsi alla sua coscienza, alimentando rabbia e dolore. Come ho già scritto su Goodreads, assegnando il massimo possibile delle stelline per un giudizio entusiasta, ho sentito anche stavolta adrenalina pura e in più, in quest’ultimo atto, voglia di prendere Biagio Mazzeo e portarlo via dalla Giungla, in un posto tranquillo dove trovare finalmente pace. Mazzeo è uno dei pochi personaggi incontrati nella mia vita di lettrice a coinvolgermi fino al punto di partecipare alle sue vicende e volerne cambiare il corso. 

Photo HelenTambo on Instagram




Prima di dirti addio 
Autore: Piergiorgio Pulixi 
Dati: 2016, 300 p., brossura; ePub con DRM 1,1 MB 
Editore: e/o (collana Sabot/age) 
Prezzo: € 18,00 (eBook € 9,99) 
Giudizio su Goodreads: 5 stelline

lunedì 4 luglio 2016

"La mia eredità" di Lorenzo De Donno


Photo Lorenzo De Donno

Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il suo coltello svizzero richiudibile. Cercò l'intacca giusta e, spingendo con l'unghia spessa del pollice, ne estrasse la lama più lunga, assecondando lo scatto della molla interna. L'acciaio brillante fece balenare, per un attimo, il riflesso della luce del sole. Quel coltello era l'oggetto al quale teneva di più, insieme al suo orologio e al rasoio “con la sicurezza”, che si apriva e richiudeva svitando e avvitando una rotellina alla base dell'impugnatura. 

 - Questo, un giorno, sarà tuo...- Mi aveva detto una volta, indicandomi il suo bel rasoio d'argento, mentre si faceva la barba seduto al tavolo da pranzo. - Sarà tuo, insieme al coltello svizzero e al mio orologio da taschino-. 

Lui l'aveva sempre fatta così, la barba, anche quando il progresso gli aveva portato in casa l'acqua corrente, e poi quella calda: con il catino appoggiato sul tavolo della cucina, apparecchiato con un asciugamano di lino spesso, tessuto al telaio, e un piccolo specchio rotondo, posto di lato. Intingeva il pennello nell'acqua, poi lo roteava nella ciotolina del sapone fino a quando non si sviluppava una schiuma densa, con la quale spennellava e massaggiava il viso per lunghi minuti. Poi si radeva con altrettanta lentezza, per non tagliarsi, chinandosi sul piccolo specchio per controllare, sciacquando di tanto in tanto il rasoio nel catino. Era l'unico momento in cui potevo vederlo fare delle smorfie. Per il resto della giornata rimaneva serio, come lo era anche nel giorno del suo matrimonio, raffigurato nella foto color seppia che era appesa al muro, montata in una cornice di noce chiaro e filtrata da un vetro dallo spessore irregolare. 

Quei tre oggetti rappresentavano il suo testamento, un testamento “virile” che non aveva potuto fare al figlio maschio, del quale porto lo stesso nome, morto tragicamente all'età di 10 anni. Pur essendo io ancora più piccolo di quello zio mai conosciuto, lui aveva sentito l' urgenza (forse prima di diventare troppo vecchio) di trasferirmi subito qualcosa, anche solo l'idea – perché ne fossimo convinti entrambi - che io rappresentavo la sua discendenza, anche se non portavo il suo cognome. Mi era piaciuta quella “promessa” che, valutata secondo i miei parametri di bambino, si traduceva nel fatto che il nonno mi avrebbe, prima o poi, regalato il suo coltello con il manico rosso. Il rasoio e l'orologio a cipolla mi lasciavano, all'epoca, francamente indifferente. Non avevo ancora gli strumenti per capirne il valore simbolico. 

Frugò nel fogliame lucido e verdissimo, schivando le spine aguzze ed interrompendo il frinire ossessivo di una cicala, mentre le altre continuarono, come un'eco che rimbalzava da un albero all'altro. Afferrò un piccolo limone tondeggiante e lo strappò dal picciolo, ruotando il polso. - Ecco – mi disse – sapevo che c'era, anche se siamo fuori stagione, fiorisce e fruttifica tutto l'anno. Questa pianta prende l'acqua in abbondanza perché ha buttato le radici nella cisterna lesionata che sta di lato-. 

Quel piccolo albero di limone cresceva a ridosso di una casupola disabitata, lontano dall'agrumeto, insieme a due cipressi, quasi coperto dalle fronde invadenti di un vecchio noce, nel campo che confinava con il nostro orto. L'affittuario che lo conduceva era buon amico del nonno e avevamo il permesso, peraltro reciproco, di scavalcare il muro a secco che divideva le due proprietà, nel punto ove era stato aperto nu quataru. Bastava fare attenzione al vecchio scurzune, un serpente nero senza coda, che diventava aggressivo e soffiava solo se si trovava messo alle strette, se non gli si lasciava una via di fuga. 

Controllò che il frutto non fosse guasto, allontanandoselo un po' dagli occhi azzurri, ormai presbiti, e lo strofinò fra le mani per ripulirlo da qualche residuo di polvere. Poi lo tagliò a metà e da ogni parte ne ricavò una fetta, buttando via le calotte di “pane” spugnoso, prive di polpa. Si portò una delle fette alle labbra, la assaggiò e poi la mangiò con gusto senza far trasparire alcuna smorfia. 

-Tieni - mi disse, porgendomi l'altro pezzo di limone - Mangia tutto insieme, scorza e polpa! - 

Esitai, immaginavo già il succo acidulo aggredirmi la lingua e scendermi nella gola, anzi ne ebbi la percezione, come se avessi già addentato quella fetta spessa. Tante volte avevo succhiato il limone, per gioco o per sfida, ma non sarei riuscito a mangiarne. Lui mi guardò contrariato e rifece il movimento di porgermi la fetta, la sua espressione decisa non mi dava scampo. Chiusi gli occhi e morsi. La sorpresa fu scoprire che era un limone dolce, dolcissimo, dal profumo intenso e il sapore delicato. Mangiarne la polpa così dolce insieme alla buccia, che rimaneva acre, mi sembrò una forzatura, strana ed incomprensibile. 

- Se chiama lima, sciamu... camina! -. Pulì il coltello con il fazzoletto e fece rientrare la lama lunga nel manico rosso, avviandosi verso il varco del muretto. 

©LorenzoDeDonno
Soundtrack: Anima Lunae, "Lu tiempu delle cirase"