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martedì 18 aprile 2017

"Orfani bianchi" di Antonio Manzini

Lame di luce tagliavano le tende di broccato, 
i quadri antichi alle pareti, i tappeti orientali a terra. 
Ebbe timore di camminarci sopra, di sporcarli. 
Si sentiva fuori luogo, un brufolo sulla schiena di Dio. 

Sarà che siamo tutti uguali, ma c’è qualcuno che è più uguale degli altri e qualcun altro che è sempre e comunque tagliato fuori, un’escrescenza fastidiosa, un inciampo nella società. Eppure, nella solitudine e nella povertà, queste persone cercano la forza per andare avanti, accettano lavori spesso umilianti, in attesa del riscatto, sperando di riprendersi la vita, anche se non sarà sfavillante come quella dei più fortunati, dei ricchi. 
A Mirta, giovane moldava trasferita a Roma a pulire prima androni e scale dei condomini e poi a fare da badante in una famiglia che di lei e di quelli come lei ha solo disprezzo, basta un lavoro dignitoso e sicuro che le consenta di mettere da parte un gruzzoletto e andarsi a riprendere Ilie, il suo bambino rimasto al paese con la nonna anziana. Un incidente tragico costringerà la donna a sistemare Ilie in un Internat, un orfanotrofio in Moldavia, in attesa che qualcosa cambi e con la speranza tenuta fervidamente accesa che il ricongiungimento con il figlio possa non tardare. 
Ilie non è orfano, no: ha la sua mamma lontana che manda i soldi e i giocattoli e i libri, e un padre che è sparito nel nulla quando lui è nato, ma deve stare lo stesso nell’orfanotrofio puzzolente di cavolo e disinfettante, insieme agli orfani veri, lui orfano “bianco”, uno di quelli che hanno i genitori troppo poveri per tenerli con sé. 
Messo da parte per ora Rocco Schiavone, Antonio Manzini ci regala un altro personaggio straordinario, Mirta Mitea, forte e disperata, determinata e coraggiosa, una mater dolorosa che ostinatamente è disposta a sopportare una quotidianità umiliante, avendo l’obiettivo di una rinascita possibile. Mirta crede nell’amicizia, nell’amore e nel lavoro e si scontra continuamente con un mondo che invece è cattivo e incomprensibile. 
Manzini racconta una storia molto triste, probabilmente non dissimile da tante altre vissute quotidianamente da donne che dall'est europeo arrivano in Italia in cerca di un lavoro che conceda loro una svolta: una storia di solitudine e di fatica, il cui epilogo arriva improvviso a colpire come un pugno allo stomaco. 
Alla voce della protagonista si contrappone il silenzio del figlio adolescente, rimasto in Moldavia: i silenzi degli adolescenti spesso dicono più delle parole, quello di Ilie sarà un silenzio che squarcerà il cielo instabile e precario, eppure denso di aspettative, di Mirta. 
Anche lontano dal personaggio che gli ha dato il successo, Manzini fornisce una bella prova narrativa che lo svincola dal vicequestore Schiavone, che quasi vive di vita propria. La prosa di Manzini la conosciamo: scorrevole e piana, stringata e ricca di dialoghi, descrittiva come una sceneggiatura che sia prossima a una messa in scena, prende il lettore e non lo abbandona finché le vicende narrate non si sciolgono, in qualunque modo. 

 
Photo HelenTambo on Instagram


Orfani bianchi 
Autore: Antonio Manzini 
Dati: 2016, 240 p., rilegato 
Editore: Chiarelettere (collana Narrazioni) 
Prezzo: € 16,00 
Giudizio su Goodreads: 5 stelline

mercoledì 3 agosto 2016

Ultima lettura: "7-7-2007" di Antonio Manzini

Sei dovunque, amore mio. 
Anche quando mi guardo allo specchio
e mi vedo e sono come ‘sto pennello. 
Freddo, senza vita, 
ma ogni ruga, amore mio, 
ogni capello bianco sei tu. 
Come faccio? 

Dice: «Ma come, ti è piaciuto e piangi?». Sì, piango. Embè? Anzi, per i puristi, ebbene? 
Quando un libro mi fa piangere per i sentimenti che mi ha trasmesso, io sono contenta e mi spiace se le lacrime arrivano alla fine, perché significa che finisco lì di emozionarmi. 
E ogni volta che leggo un romanzo che m’impressiona, mi tocca forte, mi scava e mi toglie respiro e sonno, io ringrazio dentro di me il suo autore. 
Nel caso specifico ad appassionare è la storia sì, un lungo flashback che finalmente racconta e fa luce sulla morte di Marina, la moglie del vicequestore romano Rocco Schiavone, ma è anche e soprattutto la grande capacità di Antonio Manzini di entrare nei vestiti di un personaggio, di assumerne l’odore e il sudore, di spiegare i suoi pensieri e le sensazioni, di ricostruirne le parole che dettano dentro. 
Rocco Schiavone è qui più compiuto, forse anche più fragile, più solo, più travagliato e più consapevolmente, intimamente rassegnato. 
Il romanzo inizia con il colloquio che Schiavone deve sostenere con gli inquirenti che si occupano del caso di rue Piave, dove nell’appartamento del poliziotto è stata uccisa Adele, la donna del suo amico Sebastiano. Qualcuno voleva far fuori Rocco, cercavano lui e hanno trovato lei, caduta innocente. L’uomo adesso deve chiarire la sua posizione, i suoi rapporti con gli amici di una vita, quella precedente a Roma prima del trasferimento d’ufficio ad Aosta, i giochetti non sempre legalmente puliti, i traffici e i modi non sempre ortodossi di agire professionalmente. 
Da qui parte il fiume in piena del racconto di Rocco, un lungo flashback che culminerà proprio con la morte della moglie, quel giorno di luglio di sei anni prima: il vicequestore ricostruisce le indagini su un traffico di droga smantellato, dopo l’omicidio di due ventenni che si erano messi in un gioco più grande di loro. Inframezzata alla storia delle indagini di Rocco e della sua squadra, c’è lei, Marina: viva, impegnata, sorridente, colorata, sfidante, impegnativa, innamorata di un uomo certamente imperfetto, anzi con ‘difetti’ più che discutibili, ma comunque decisa a stargli accanto (dove sta l’uomo perfetto, d’altronde?), amica sentimentalmente complice, amante e vera compagna di vita. 
Di Marina nelle scorse avventure di Rocco noi lettori affezionati ci siamo dovuti accontentare del fantasma, che con Rocco giocava alle parole difficili, agli indovinelli, alle penombre che svelano e nascondono il dolore di un’assenza che è più di una presenza. Qui, adesso, finalmente lo vediamo questo amore, che non è solo memoria, ma è desiderio vivo e voglia di ridere e mangiare insieme, di scegliere un gelato o un posto dove trascorrere una vacanza. Questo mi è piaciuto su tutto, di questo romanzo: il racconto di un amore vero, come ne esistono e come a volte si ha paura anche di dirsi, pensando a chissà quale stupida debolezza, come se l’amore fosse un difetto della vita e non invece la vita stessa, quella che prepotente ci aggancia anche oltre la morte. 
Non resta che aspettare il prossimo atto. E non resta che vedere come Marco Giallini renderà sullo schermo Rocco Schiavone. A Filippo Timi è riuscito benissimo con Massimo, il ‘barrista’ della serie del BarLume di Marco Malvaldi (nonostante le discutibili scelte degli sceneggiatori sulla gestione di alcuni personaggi), a Luca Zingaretti e il suo Montalbano, manco a dirlo. Ora la palla passa all'attore romano che, diciamolo, a Schiavone somiglia davvero. 
A Manzini va il merito di saper tenere il ritmo, di reggere i fili della narrazione senza sbavature o incertezze: speriamo che la trasposizione cinematografica delle storie del ‘suo’ eroe di carta non snaturi il personaggio, a favore delle sole trame. 
Intanto, buona lettura agli amici di Rocco Schiavone. 




7-7-2007 
Autore: Antonio Manzini 
Dati: 2016, 369 p., brossura; ePub con DRM 1 MB 
Editore: Sellerio (collana La memoria) 
Prezzo: € 14,00 (eBook € 9,99) 
Giudizio su Goodreads: 5 stelline 
(ma anche 6, o 7, oppure di più, fate voi)


 

sabato 29 agosto 2015

Ultima lettura: "Era di maggio" di Antonio Manzini


Era di maggio

Autore: Manzini Antonio
Dati: 2015, 381 p., brossura
Editore: Sellerio (collana La memoria)

«Sono rughe quelle che vedo lì intorno?»
«No. Sono pieghe. Le rughe non hanno fatto in tempo»

Rocco Schiavone è tornato prima di quanto si potesse sperare. In questo stesso anno Antonio Manzini ci regala un’altra indagine del vicequestore più scontroso d’Italia, viziando così i lettori che si sono affezionati a Schiavone e a tutti i personaggi che lo circondano (i soliti agenti Deruta, D’Intino e Italo Ferron, l’ispettrice Caterina Rispoli e l’anatomopatologo Fumagalli, il giudice Baldi e il questore Costa).
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Questa nuova indagine in realtà prende le mosse da quella precedente ("Non è stagione"), della quale è naturale prosecuzione, mentre si innesta la nuova inchiesta che riguarda la morte di Adele, uccisa al posto di Schiavone presso il quale si era rifugiata dopo alcune incomprensioni con il suo compagno, Seba, amico fraterno dello stesso Rocco.
Schiavone ha dei nemici, persone che gliel’hanno giurata: sarà suo compito quello di risolvere queste questioni che sforano nel personale, cercando di tenere sotto controllo l’ansia di vendetta di Seba e degli amici che Rocco ha lasciato a Roma.
Come sempre la narrazione procede fluida, con un perfetto sistema di incastri degno del miglior poliziesco. I personaggi si evolvono, la rete personale di Rocco si sviluppa. Centrale nella caratterizzazione del protagonista è il suo modo di relazionarsi con le donne: prima di tutto Marina, la moglie morta con la quale Rocco mantiene un rapporto costante, fatto di immagini evanescenti e dialoghi silenziosi. Ma Marina è stanca, vorrebbe andare per la sua strada e lasciare che Rocco prenda la sua, ché ormai è tempo. E poi c’è Anna, con la quale l’uomo non riesce a stabilire una relazione, schiacciato tra le esigenze pressanti della donna e la sua insofferenza verso qualsiasi forma di stabilità sentimentale, ché spazio per l’amore nella vita di Rocco non c’è più (salvo inattesi sviluppi che lascio alla curiosità dei lettori).
Ho letto queste 381 pagine velocemente, la trama coinvolge e tiene alta la soglia dell’attenzione: l’Autore è sempre più strategicamente padrone di tempi serrati e azioni decise e puntuali, il tutto reso nel suo stile asciutto e privo di fronzoli a cui ha abituato i suoi lettori.
Adesso non ci resta che aspettare il ritorno di Rocco Schiavone, confidando nella vena ispiratrice di Antonio Manzini.


domenica 22 febbraio 2015

Ultima lettura: "Non è stagione" di Antonio Manzini


Non è stagione

Autore: Manzini Antonio
Dati: 2015, 315 p., brossura
Editore: Sellerio (collana La memoria)

Intenzioni e risultati a volte si confondono
 e diventano una nebbia indecifrabile.

Il vicequestore Rocco Schiavone torna con una nuova indagine, in cui si intrecciano il rapimento di una studentessa, il riciclaggio di denaro sporco, l’usura e i trasferimenti di valuta all’estero. Si tratta di una vicenda complessa che Antonio Manzini dispiega per un po’ più di trecento pagine che scorrono velocemente, tanto la storia coinvolge il lettore.
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Ormai conosciamo bene Rocco Schiavone, il vicequestore romano trasferito ad Aosta in seguito ad un provvedimento disciplinare per i suoi metodi investigativi poco ortodossi: è un uomo capace di grandi sentimenti, vissuti in privato e celati da una ruvidezza a tratti spiazzante, un personaggio che si è sviluppato attraverso le storie narrate da Manzini, che lo coccola, lo cura, lo arricchisce di sfumature.
Sempre irrequieto, Schiavone sembra in questa storia quasi rassegnato alla sua sede di servizio, ormai si è integrato nel gruppo di lavoro della questura, animato da altri personaggi diventati familiari ai lettori (gli agenti Deruta, D’Intino, Scipioni e Ferron, la competente ispettrice Rispoli e il medico legale livornese Fumagalli, con il quale c’è l’abitudine di non salutarsi, nonostante una buona intesa istintiva) ed è entrato anche nel tessuto sociale della città, dove comincia a frequentare persone che nulla hanno a che fare con il suo lavoro, mal sopportando tuttavia la provincialità dell’ambiente, dove tutti sanno tutto di tutti.
Anche il rapporto con le donne cambia: Nora, ormai lontana, lascia il passo ad Anna, con la quale Rocco intreccia una relazione che sembra solamente fisica, fatta di scaramucce, fughe e ritorni che potrebbero essere preludio a qualcosa di più profondo. Resta Marina, la moglie scomparsa che l’uomo continua a vedersi intorno, nella casa disadorna dove vive stancamente, geloso dei suoi spazi privati. Anche il rapporto con Marina sembra destinato a cambiare, c’è da aspettarsi qualche sviluppo nelle future storie che Manzini vorrà raccontarci.
A un personaggio così, che cambia pur restando apparentemente sempre se stesso, ci si affeziona facilmente, perché in lui, nelle sue debolezze, nei suoi pensieri, nel suo guardarsi intorno, ci si riconosce. Se tutto si evolve nel sistema dei personaggi e degli spazi, restano immutati il modus operandi dell’ispettore, il suo intuito, le sue maniere spicce di risolvere le questioni.
Ancora una volta Manzini riesce a tenere alta la tensione con il suo stile asciutto e rapido, senza indugi e con una perfetta tempistica che vede alternarsi più scenari di azione.


domenica 25 maggio 2014

Ultima lettura: "La costola di Adamo" di Antonio Manzini


La costola di Adamo

Autore: Manzini Antonio
Dati: 2014, 278 p., brossura; ePub con DRM 953,1 KB
Editore: Sellerio (collana La memoria)

«Ma quand’è che si fa un paio di scarpe adatte?»
«Lo stesso giorno in cui tu ti farai i cazzi tuoi» rispose Rocco
con lo sguardo concentrato sul marciapiede inzaccherato di neve.

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Ho capito che è più facile spiegare perché un libro non ti è piaciuto, piuttosto che il contrario. Perché se una storia non ti piace, prima di tutto ti chiedi se è un problema tuo, poi ti chiedi il motivo e provi ad analizzare tutte le possibilità: è colpa dell’intreccio? Dei personaggi? È scritta male? È noiosa? Non era il momento giusto per leggerla? Invece se ti piace, ti piace e basta. O meglio, al massimo resti gradevolmente sorpreso del fatto che ancora una volta ti sei lasciato prendere da una storia scritta bene, interessante, con protagonisti che ti hanno affascinato e coinvolto in una vicenda, grazie alla quale ti sei dimenticato della tua vita reale per tutto il tempo impiegato a leggerla.
Potrei quindi smettere qui di scrivere queste brevi impressioni su “La costola di Adamo” di Antonio Manzini, perché questo romanzo è tutto quello che ho appena detto.
Manzini scrive bene, ha la dote importantissima di non dare nulla per scontato fino quasi alla fine della storia e in un poliziesco questo non è sempre detto, ci sono brutti romanzi gialli in cui il nome dell’assassino lo intuisci già alle prime battute: in questo caso, brancoli nel buio fino a p.240 e poi te ne restano meno di quaranta per capire che quello che stavi per intuire ti ha portato fuori strada. Basta questo per definire questo romanzo un giallo perfetto.
La trama è semplice: un caso di suicidio nasconde in realtà un omicidio, o almeno così sembra da subito a Rocco Schiavone, incaricato di indagare sulla morte di Ester Baudo. In realtà il caso si rivela più intricato di quanto non sembri e solo un colpo di genio intuitivo, determinato dal puro caso, porterà il burbero vicequestore a ricostruire l’accaduto. La vicenda si svolge nell’arco di una settimana ad Aosta, dove Schiavone si trova da sei mesi, dopo un trasferimento improvviso per motivi disciplinari: quali siano questi motivi, meglio si spiegano in questo romanzo, dove gli strascichi del suo ultimo ‘incarico’ romano si ritrovano qui, come una parentesi che nulla toglie alla vicenda principale, ma anzi servono a chiarire il personaggio del protagonista e a far sì che a lui il lettore si affezioni di più.
Per il resto si può dire che i personaggi, conosciuti in "Pista nera", sono qui meglio definiti: il vicequestore Rocco Schiavone continua ad avere i suoi modi non sempre legittimi di indagare, ma il suo carattere sembra qui meno spigoloso, pur mantenendo alcune insofferenze di fondo. Intorno a lui si muovono gli agenti Deruta, D’Intino, Scipioni e Ferron, con il quale ultimo Schiavone ha costruito un’intesa stretta e complice, l’ispettrice Caterina Rispoli e il questore Costa: leggiamo di loro e li riconosciamo, fisicamente e nei loro tic. E poi ci sono le donne: Marina, la moglie mai dimenticata e anzi sempre presente nella vita di Rocco, e Nora, qui sullo sfondo.
Non è un caso se Sellerio è, insieme ad Adelphi, una delle case editrici che preferisco: a parte l’eleganza della veste grafica, la cura dei particolari, il famoso blu che strega i suoi aficionados, secondo me da Sellerio hanno un gran fiuto per i talenti naturali… Questo per dire che fare l’editore oggi non è solo impiegare capitali, ma metterci professionalità e amore.

venerdì 9 maggio 2014

Sul comodino: "Pista nera" di Antonio Manzini


Pista nera

Autore: Manzini Antonio
Dati: 2013, 278 p., brossura; ePub con DRM 954,2 KB
Editore: Sellerio (collana La memoria)

« Dottore, le avevo detto che si doveva comprare un paio di scarpe adatte».
« Pierron, non mi rompere il cazzo.
Io quelle betoniere che portate ai piedi non me le metto manco morto».

 
Photo HelenTambo on Instagram
Il vicequestore Rocco Schiavone è quanto di più politicamente scorretto si possa immaginare, quasi un ossimoro vivente: disonesto tutore dell’ordine, fedele traditore. A questo, se non bastasse, aggiungiamo un pessimo carattere, una rudezza irritante, una scarsa considerazione di tutto ciò che lo circonda, una presunzione insopportabile. Eppure… Eppure ti acchiappa in una maniera incredibile, te lo immagini, sai che è sicuramente piacente pur facendo di tutto per non sembrarlo e questo infastidisce perché, combinando fascino a cinismo e sarcasmo, sai che di avere a che fare con un personaggio che possiede un’arma di seduzione micidiale. Ti irritano i suoi modi bruschi, ma sei lì aggrappato alle pagine che lo raccontano, incapace di mandarlo al diavolo, come si meriterebbe se lo conoscessi in carne e ossa (ma tanto lo sai che invece…).
Dalle pagine lette finora, di Schiavone ho capito che:
·      è stato da poco trasferito ad Aosta da Roma, dove deve aver combinato qualcosa di molto grosso e molto brutto, quindi il trasferimento è stato un inevitabile provvedimento disciplinare;
·      ha una moglie, Marina, che lo ha seguito: con lei ha fatto progetti, sa che la sua vita futura, in un buon ritiro di campagna magari in Provenza, è con lei, però la tradisce sistematicamente, apparentemente senza grandi scrupoli di coscienza (la categoria di uomo definita da Maria Laura Rodotà -e prima di lei da Guia Soncini- GB, Grande Bastardo);
·      ha metodi e procedure da outsider, gestisce malamente e con insofferenza i rapporti con i superiori (un tratto comune a diversi poliziotti della letteratura, basti pensare al Montalbano di Camilleri, al Bordelli di Vichi o a Igor Attila di Foschi), si relaziona in modo costruttivo solo con chi è più o meno come lui (al momento direi solo con l’anatomopatologo livornese che lo affianca nelle indagini e che è burbero almeno quanto lui).
In questo romanzo, in cui Schiavone esordisce per poi diventare il protagonista di un’altra storia che Manzini racconta in “La costola di Adamo” (oltre che di racconti apparsi sempre per Sellerio nelle raccolte poliziesche “Capodanno in giallo”, “Ferragosto in giallo”, “Regalo di Natale” e “Carnevale in giallo”), il vicequestore si trova alle prese con il rinvenimento di un cadavere letteralmente maciullato dal passaggio di un gatto delle nevi su una pista di sci. A far capire che non si tratta di un incidente ma di un omicidio è un raccapricciante segno rilevato sulla scena. La vittima è Leone Miccichè, un catanese venuto tra i ghiacciai a gestire un rifugio alpino insieme alla moglie Luisa.
Non è solo il personaggio di Schiavone, disegnato dall’Autore con molta abilità descrittiva non tanto nel suo aspetto fisico quanto nelle pieghe più recondite della sua personalità, ma è anche la storia ad affascinare: intriga, chiede, propone, coinvolge. Cominciato ieri in viaggio, non credo che riuscirò a mollarlo finché non lo avrò finito, entro stasera.

NB: avanzando nella lettura comincio a capire qualcosa di molto importante. Manzini è bravissimo a far credere ciò che non è. Mi sa che sarò costretta a riabilitare Schiavone e il suo modo di relazionarsi con le donne, la sua donna, i sentimenti.  
NBbis: ho capito. A un terzo scarso dalla fine, ho capito che Rocco Schiavone è vedovo (lo so è spoiler, ma è solo per delineare il personaggio, nulla che infici la sorpresa della soluzione del giallo), ad accompagnarlo ad Aosta è solo il ricordo di Marina. Rocco riabilitato completamente. Manzini geniale.