venerdì 9 maggio 2014

Sul comodino: "Pista nera" di Antonio Manzini


Pista nera

Autore: Manzini Antonio
Dati: 2013, 278 p., brossura; ePub con DRM 954,2 KB
Editore: Sellerio (collana La memoria)

« Dottore, le avevo detto che si doveva comprare un paio di scarpe adatte».
« Pierron, non mi rompere il cazzo.
Io quelle betoniere che portate ai piedi non me le metto manco morto».

 
Photo HelenTambo on Instagram
Il vicequestore Rocco Schiavone è quanto di più politicamente scorretto si possa immaginare, quasi un ossimoro vivente: disonesto tutore dell’ordine, fedele traditore. A questo, se non bastasse, aggiungiamo un pessimo carattere, una rudezza irritante, una scarsa considerazione di tutto ciò che lo circonda, una presunzione insopportabile. Eppure… Eppure ti acchiappa in una maniera incredibile, te lo immagini, sai che è sicuramente piacente pur facendo di tutto per non sembrarlo e questo infastidisce perché, combinando fascino a cinismo e sarcasmo, sai che di avere a che fare con un personaggio che possiede un’arma di seduzione micidiale. Ti irritano i suoi modi bruschi, ma sei lì aggrappato alle pagine che lo raccontano, incapace di mandarlo al diavolo, come si meriterebbe se lo conoscessi in carne e ossa (ma tanto lo sai che invece…).
Dalle pagine lette finora, di Schiavone ho capito che:
·      è stato da poco trasferito ad Aosta da Roma, dove deve aver combinato qualcosa di molto grosso e molto brutto, quindi il trasferimento è stato un inevitabile provvedimento disciplinare;
·      ha una moglie, Marina, che lo ha seguito: con lei ha fatto progetti, sa che la sua vita futura, in un buon ritiro di campagna magari in Provenza, è con lei, però la tradisce sistematicamente, apparentemente senza grandi scrupoli di coscienza (la categoria di uomo definita da Maria Laura Rodotà -e prima di lei da Guia Soncini- GB, Grande Bastardo);
·      ha metodi e procedure da outsider, gestisce malamente e con insofferenza i rapporti con i superiori (un tratto comune a diversi poliziotti della letteratura, basti pensare al Montalbano di Camilleri, al Bordelli di Vichi o a Igor Attila di Foschi), si relaziona in modo costruttivo solo con chi è più o meno come lui (al momento direi solo con l’anatomopatologo livornese che lo affianca nelle indagini e che è burbero almeno quanto lui).
In questo romanzo, in cui Schiavone esordisce per poi diventare il protagonista di un’altra storia che Manzini racconta in “La costola di Adamo” (oltre che di racconti apparsi sempre per Sellerio nelle raccolte poliziesche “Capodanno in giallo”, “Ferragosto in giallo”, “Regalo di Natale” e “Carnevale in giallo”), il vicequestore si trova alle prese con il rinvenimento di un cadavere letteralmente maciullato dal passaggio di un gatto delle nevi su una pista di sci. A far capire che non si tratta di un incidente ma di un omicidio è un raccapricciante segno rilevato sulla scena. La vittima è Leone Miccichè, un catanese venuto tra i ghiacciai a gestire un rifugio alpino insieme alla moglie Luisa.
Non è solo il personaggio di Schiavone, disegnato dall’Autore con molta abilità descrittiva non tanto nel suo aspetto fisico quanto nelle pieghe più recondite della sua personalità, ma è anche la storia ad affascinare: intriga, chiede, propone, coinvolge. Cominciato ieri in viaggio, non credo che riuscirò a mollarlo finché non lo avrò finito, entro stasera.

NB: avanzando nella lettura comincio a capire qualcosa di molto importante. Manzini è bravissimo a far credere ciò che non è. Mi sa che sarò costretta a riabilitare Schiavone e il suo modo di relazionarsi con le donne, la sua donna, i sentimenti.  
NBbis: ho capito. A un terzo scarso dalla fine, ho capito che Rocco Schiavone è vedovo (lo so è spoiler, ma è solo per delineare il personaggio, nulla che infici la sorpresa della soluzione del giallo), ad accompagnarlo ad Aosta è solo il ricordo di Marina. Rocco riabilitato completamente. Manzini geniale.

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