Cosa vuoi fare da grande
Autore: Baio Ivan- Meloni
Angelo Orlando
Dati: 2013, 172 p., brossura;
disponibile in formato ePub
Editore: Del Vecchio Editore
(collana Formelunghe)
Solo gli uomini le
sparano grosse e covano sogni
e studiano tutta la vita
anche se sanno che i
sogni sono fragili,
le notti lunghe e
solitarie,
gli amori un affare
per pochi.
A volte essere una
lettrice disordinata è un grosso svantaggio, soprattutto per i libri. Passare
da un classico come Simenon a due quasi esordienti come Ivan Baio e Angelo
Orlando Meloni (Baio mi pare di capire che sia alla sua prima prova narrativa,
mentre Meloni è autore di un altro romanzo, “Io non ci volevo venire qui”, che
a questo punto dovrò leggere) può lasciare spazio a qualche disorientamento.
Passare soprattutto
da un genere di romanzo finemente psicologico a uno surreale e grottesco che fa
l’analisi psicologica sì, ma ad un intero sistema sociale, è veramente un salto
nel vuoto per chi legge e per chi è letto (dopo Simenon, in questo caso).
Insomma, mal gliene incolse al duo Baio-Meloni, verso i quali per tre quarti
del loro libro ho nutrito sentimenti discordanti, tendenti soprattutto allo
sfavorevole.
Intanto, di che si tratta: Volkan Kursat Bayraktar, un giovane (e sfigato, ma bravissimo) studente turco al prestigioso Massachusetts Institute of Technology, aspirante ingegnere, inventa il futurometro, aggeggio avveniristico in grado di stabilire quale possa essere il destino degli studenti, in base alle loro attitudini, misurate su parametri imperscrutabili. A dieci anni dall’esordio, il futurometro ha rivoluzionato l’esistenza di Volkan, diventato ormai ricchissimo, e la naturale evoluzione della società. La scuola elementare Attilio Regolo viene selezionata dal Ministero dell’Istruzione Privata e Pubblica per la sperimentazione in Italia della macchina che cambierà la vita dei suoi piccoli alunni. Così, in un tripudio di fanfare, buffet, striscioni, cori organizzati, mise improbabili, sfilano la direttrice della scuola, le mamme, alcuni diabolici bambini, i bidelli: in mezzo a tutti, Gianni e Guido, amici per la pelle, ragazzini ai margini, eroi involontari di un evento al limite dell’incredibile.
Photo HelenTambo on Instagram |
Intanto, di che si tratta: Volkan Kursat Bayraktar, un giovane (e sfigato, ma bravissimo) studente turco al prestigioso Massachusetts Institute of Technology, aspirante ingegnere, inventa il futurometro, aggeggio avveniristico in grado di stabilire quale possa essere il destino degli studenti, in base alle loro attitudini, misurate su parametri imperscrutabili. A dieci anni dall’esordio, il futurometro ha rivoluzionato l’esistenza di Volkan, diventato ormai ricchissimo, e la naturale evoluzione della società. La scuola elementare Attilio Regolo viene selezionata dal Ministero dell’Istruzione Privata e Pubblica per la sperimentazione in Italia della macchina che cambierà la vita dei suoi piccoli alunni. Così, in un tripudio di fanfare, buffet, striscioni, cori organizzati, mise improbabili, sfilano la direttrice della scuola, le mamme, alcuni diabolici bambini, i bidelli: in mezzo a tutti, Gianni e Guido, amici per la pelle, ragazzini ai margini, eroi involontari di un evento al limite dell’incredibile.
Divertimento e
fastidio per qualche forzatura di troppo si sono alternati in crescendo: in 109
pagine di ebook, le 172 pagine della brossura, sono concentrati troppi nomi
(tutti fin troppo fantasiosi come Dagoberto Domenicani, Onofrio Ora, Gemma
Tuttacani, Giangiglio, Aldomarco, Grammazio, Edo Doni ecc. ecc.), troppe
catastrofi descritte con toni apocalittici alla Ammaniti al massimo della sua
ispirazione splatter (senza essere Ammaniti al massimo della sua ispirazione
splatter), troppe scene che si accavallano e che rischiano di confondere il
lettore.
A quasi tre quarti della lettura ho cominciato però a intravedere qualcosa di meno scontato del voler essere a tutti i costi divertenti: fino a quel momento mi ero immaginata i due autori al lavoro, un po’ stravaccati sul divano, a immaginare le scene e a fare a chi la spara più grossa, più apocalitticamente divertente, più grottesca, a fare a chi si inventa i nomi più strampalati, le descrizioni più trash, le battute più cinicamente spiritose. Sicuramente le cose non sono andate così, magari Baio e Meloni hanno lavorato più professionalmente da come li ho pensati, forse a distanza, scambiandosi file di confronto, scrivendo versioni diverse delle stesse scene per poi decidere quale promuovere: insomma, non ho idea di quale sia stata la genesi di questo romanzo, ma per quasi tutto il tempo della lettura i due autori me li sono immaginati così, un po’ stravaccati, sia pure attenti ad una forma assolutamente ineccepibile, snella, veloce, con una grande cura per il lessico. Poi, ripeto, qualcosa è cambiato, e ho cominciato a vederli seduti a tavolino, uno di fronte all’altro, seriamente impegnati a trovare la forma migliore per raccontare una storia di emarginazione sconfitta, una storia in cui non solo è la scuola ad essere protagonista (una scuola un po’ patetica, che pensa che l’innovazione tecnologica sia la panacea di tutto e che rischia di trascurare le persone, specie le più difficili), la storia di un’invenzione inutile, quella con la quale si pensa di poter predire il futuro ai nostri alunni.
A quasi tre quarti della lettura ho cominciato però a intravedere qualcosa di meno scontato del voler essere a tutti i costi divertenti: fino a quel momento mi ero immaginata i due autori al lavoro, un po’ stravaccati sul divano, a immaginare le scene e a fare a chi la spara più grossa, più apocalitticamente divertente, più grottesca, a fare a chi si inventa i nomi più strampalati, le descrizioni più trash, le battute più cinicamente spiritose. Sicuramente le cose non sono andate così, magari Baio e Meloni hanno lavorato più professionalmente da come li ho pensati, forse a distanza, scambiandosi file di confronto, scrivendo versioni diverse delle stesse scene per poi decidere quale promuovere: insomma, non ho idea di quale sia stata la genesi di questo romanzo, ma per quasi tutto il tempo della lettura i due autori me li sono immaginati così, un po’ stravaccati, sia pure attenti ad una forma assolutamente ineccepibile, snella, veloce, con una grande cura per il lessico. Poi, ripeto, qualcosa è cambiato, e ho cominciato a vederli seduti a tavolino, uno di fronte all’altro, seriamente impegnati a trovare la forma migliore per raccontare una storia di emarginazione sconfitta, una storia in cui non solo è la scuola ad essere protagonista (una scuola un po’ patetica, che pensa che l’innovazione tecnologica sia la panacea di tutto e che rischia di trascurare le persone, specie le più difficili), la storia di un’invenzione inutile, quella con la quale si pensa di poter predire il futuro ai nostri alunni.
Le perplessità che
avevo all’inizio si sono dissolte: scegliere di parlare di scuola in modo così
surreale, ponendo l’attenzione su quelli che sono davvero i suoi problemi, è
stato coraggioso. Non so quanto questo coraggio sia consapevole nei due autori,
ma intanto il risultato è questo: un romanzo breve, onirico al limite dell’incubo
fantascientifico, eppure così vicino ad una paradossale realtà.
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