Lotto 25. Chi ha ucciso Annarella Bracci?
Autore: D’Anna Riccardo
Dati: 2013, 208 p., brossura
Editore: Perrone (collana Hinc)
Tutto è meglio di niente, quando non resta altro
Un
caso di cronaca nera degli anni Cinquanta sembra al centro di questo libro di
Riccardo D’Anna. E non a caso uso i termini ‘sembra’ e ‘libro’: ‘sembra’ perché
il caso di Anna Bracci non è posto, malgrado il titolo, al centro
dell’attenzione del lettore, ‘libro’ perché mi risulta difficile attribuire la
narrazione ad un genere preciso, non potendovisi riconoscere un racconto, un
romanzo, ma solo una serie di flash e di quadri non strutturati, che rimandano
avanti e indietro nel tempo, in una serie di immagini che non hanno
collegamento, se non la desolazione di un luogo, Primavalle.
Photo Elena Tamborrino |
Si
parte quindi dal titolo, dalla domanda che pone -chi ha ucciso Annarella
Bracci?- e dall’immagine di copertina, che rimanda ad una bambina
dall’apparente età di cinque o sei anni, aggrappata alla ringhiera di una casa
popolare, con un piedino sospeso nel vuoto: sembra che stia dicendo qualcosa in
direzione di chi sta scattando la fotografia. Immediatamente pensi che si
tratti di lei, di Annarella, la bambina uccisa dopo un tentativo di stupro e
gettata in un pozzo, dove fu trovata una ventina di giorni dopo la scomparsa,
ma poi scopri che invece no, non è lei, si tratta di un’immagine d’epoca che si
riferisce sicuramente ad un contesto preciso, ma non alla bambina che tu hai
immaginato e accompagnato con il pensiero per tutto il tempo impiegato nella
lettura. Questo un po’ delude, ma d’altra parte di Anna Bracci pare esista solo
un’immagine, pubblicata all’epoca dei fatti dall’Unità, che la raffigura nel
giorno della sua Prima Comunione.
Il
nome dell’assassino di Anna Bracci è rimasto sconosciuto, si tratta di un caso
rimasto irrisolto nonostante le vicende processuali che hanno visto
protagonista Lionello Egidi, presunto amante della madre della bambina,
arrestato, scarcerato, reo confesso, assolto infine in Cassazione per
insufficienza di prove, protagonista ancora di un fatto di molestie sessuali ai
danni di un minorenne. E intorno alle vicissitudini giudiziarie del supposto
omicida, a partire dai primi sospetti, vanno i fugaci riferimenti dell’autore
nella prima parte del libro, dove vero protagonista è il quartiere Primavalle,
una borgata composta all’epoca da lotti abitativi uniformi nel loro squallore,
dove l’estate “è il suo cielo sbiadito”.
A
Primavalle, a quella Roma popolare e deprivata e ai suoi abitanti, è dedicata
quindi la prima parte del libro, in un susseguirsi di efficaci quadri
descrittivi e narrativi, di una narrazione lirica e a tratti spezzata, “pezzi
di un mondo che non esiste più”: come dicevo prima, avanti e indietro nel
tempo, si procede tra anni Cinquanta e la tv di oggi, Falcone e Borsellino,
Fiorello e Ballarò, i fratelli Mattei e il rogo in cui trovarono la morte, la
banda del Kawasaki, l’austerity degli anni Settanta e Silvia Baraldini, i
personaggi del quartiere e le loro storie personali (“Un quartiere qualsiasi,
simile a tanti altri, dove ciascuno ha una piantina immaginaria, sedimentata, fatta
di sensazioni, ricordi, fotografie sbiadite, schegge di telegiornali.”). Tutti
si avvolge intorno al lettore, con fugaci riferimenti all’omicidio di
Annarella, alla sua scomparsa, al funerale, ai sospetti sulla madre e sul
‘biondino di Primavalle’, quell’Egidi che fa pensare al ‘biondino della spider’
del caso Sutter, anni dopo.
Nella
seconda parte, finalmente, D’Anna concentra l’attenzione sull’intera storia di
Annarella Bracci e del suo destino, compresso in un ambiente degradato dove
sopravvivere forse era una scommessa, e lo fa comunque con divagazioni su
luoghi e vicende correlate.
Quello di D’Anna, per sua stessa ammissione, è un atto d’amore per Primavalle, luogo al quale si sente legato da un profondo senso di appartenenza: ma è lo stesso senso di identità che non può riguardare tutti i lettori, che restano estranei al coinvolgimento emotivo che quel teatro può evocare in chi lo conosce e lo pratica sempre. Di Roma i non romani hanno spesso un’immagine stereotipata che passa dal Colosseo e da piazza Venezia, da Trinità dei Monti e da Piazza di Spagna, dalla Fontana del Tritone e dalla Fontana di Trevi, da San Pietro a Trastevere: il degrado del sobborgo, così diverso e così uguale in tutti i sobborghi del mondo, emerge nel contrasto con il centro turistico della città, così smaccatamente distante.
Quello di D’Anna, per sua stessa ammissione, è un atto d’amore per Primavalle, luogo al quale si sente legato da un profondo senso di appartenenza: ma è lo stesso senso di identità che non può riguardare tutti i lettori, che restano estranei al coinvolgimento emotivo che quel teatro può evocare in chi lo conosce e lo pratica sempre. Di Roma i non romani hanno spesso un’immagine stereotipata che passa dal Colosseo e da piazza Venezia, da Trinità dei Monti e da Piazza di Spagna, dalla Fontana del Tritone e dalla Fontana di Trevi, da San Pietro a Trastevere: il degrado del sobborgo, così diverso e così uguale in tutti i sobborghi del mondo, emerge nel contrasto con il centro turistico della città, così smaccatamente distante.
Della storia, abbiamo un breve racconto cinematografico di Luchino Visconti (prodotto da Marco Ferreri e con la voce narrante di Vasco Pratolini), ricordata dallo stesso D'Anna sul finire del suo libro: a questo cortometraggio, riferisce l'autore, la censura non dette parere favorevole affinché venisse conosciuto dal grande pubblico, tanto che rimase un episodio isolato nella storia cinematografica del grande regista. Fortunatamente per noi, oggi esistono i grandi canali di divulgazione mediatica come YouTube.
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