I quattro canti di Palermo
Autore: Di Piazza Giuseppe
Dati: 2012, 213 p., brossura; ePub con DRM 2,0 MB
Editore: Bompiani (collana Narratori italiani)
Dati: 2012, 213 p., brossura; ePub con DRM 2,0 MB
Editore: Bompiani (collana Narratori italiani)
“Antonio, dovresti saperlo: a Palermo non c’è mai un sì
pieno,
e neanche un no diretto. Le cose si dicono a trasi e nesci,
a entra e esci.
Un po’ avanti e un po’ indietro: mai nettamente in una
direzione.”
Photo HelenTambo on Instagram |
Quando tutte le occasioni, che siano frammenti di tempi
morti in attesa di qualcosa o di qualcuno, oppure momenti scelti apposta e
pregustati in anticipo, sono buone per aprire un libro, significa che quello è
un libro giusto.
Ho un discreto senso critico, almeno secondo i parametri che seguo quando esprimo un giudizio sulle mie letture, ma nonostante mi accada di imbattermi in passaggi o stilemi che a volte mi lasciano qualche perplessità (e questo mi succede più spesso da quando ho letto "L'importo della ferita e altre storie" di Pippo Russo), se la vicenda che sto leggendo mi prende, lascio correre, continuo a farmi trascinare dalle situazioni narrate.
Ho un discreto senso critico, almeno secondo i parametri che seguo quando esprimo un giudizio sulle mie letture, ma nonostante mi accada di imbattermi in passaggi o stilemi che a volte mi lasciano qualche perplessità (e questo mi succede più spesso da quando ho letto "L'importo della ferita e altre storie" di Pippo Russo), se la vicenda che sto leggendo mi prende, lascio correre, continuo a farmi trascinare dalle situazioni narrate.
Questo è ciò che mi è accaduto con “I quattro canti di
Palermo”: con l’ereader sempre in borsa per approfittare di ogni momento buono
per avanzare nella lettura, mi sono lasciata trasportare dal protagonista, un
giovanissimo cronista di nera negli anni Ottanta della mattanza mafiosa a
Palermo, in luoghi conosciuti e meno conosciuti, che poi convogliano tutti nel
cuore della città, i famosi Quattro Canti, crocevia dei quartieri storici
Castellammare, Tribunali, Palazzo Reale, Monte di Pietà. Un quinto canto, dice
Di Piazza nei ringraziamenti, è invisibile agli occhi ma è percepito forte in
chi se n’è andato da Palermo, ed è il canto dell’assenza.
Quattro quindi sono gli spigoli di
questa piazza, cuore pulsante di Palermo a due passi dalla Cattedrale, come
quattro sono le storie violente attraversate dal protagonista, che racconta in
prima persona i limiti di un mondo crudele e spietato, che alimenta bugiarde
illusioni, che nutre falsi valori. Marinello è un predestinato, un mafioso che
non vuole diventare killer; Sophie una modella francese che si lascia
fagocitare da un mondo tossico; Vito è un padre che fa scomparsi i suoi figli, in una spirale di odio cieco e frustrazione;
Rosalia vuole capire perché suo padre, un ladro ‘pezzo di pane’ che però rubava
‘onestamente’, è finito decapitato nel bel mezzo di una faida mafiosa, capire
le serve per riprendersi la dignità, altrimenti “chi se la prende la figlia di
uno che gli hanno scippato la testa?”. A fare da connettivo è il racconto a distanza
di tempo del muoversi del protagonista, tra corse in Vespa per arrivare in
tempo sul luogo del delitto, la redazione fumosa di MS, le compagnie femminili
sempre nuove, tutte diverse, il sesso e il cibo, il disordine della casa e il
suo coinquilino, Fabrizio. Ancora da collante è la mappa della città, tramite i
suoi locali di culto, le pasticcerie famose, la Favorita, il teatro Massimo, i
bar, il tribunale, il mare di Mondello. Il racconto è quello di chi ricorda da
lontano, dopo aver portato la propria vita altrove, verso altre storie da
raccontare, ma senza dimenticare il proprio essere profondamente palermitano.
Se almeno una volta si è stati a Palermo, è difficile non lasciarsi incantare dalla città e dai suoi contrasti, dalle sue contraddizioni fatte di splendore e degrado insieme; è impossibile non amare questa città dalla storia affascinante e dolorosa che se è stata generosa da una parte, rendendola culla della splendida civiltà federiciana, dall’altra l’ha percossa e violentata.
Se almeno una volta si è stati a Palermo, è difficile non lasciarsi incantare dalla città e dai suoi contrasti, dalle sue contraddizioni fatte di splendore e degrado insieme; è impossibile non amare questa città dalla storia affascinante e dolorosa che se è stata generosa da una parte, rendendola culla della splendida civiltà federiciana, dall’altra l’ha percossa e violentata.
Il caso ha voluto che proprio il giorno che finivo di
leggere il libro di Di Piazza, andavo a vedere al cinema il film di Pierfrancesco
Diliberto Pif, “La mafia uccide solo d’estate”, le cui vicende si svolgono in
parte negli stessi anni di “I quattro canti di Palermo”, coincidendo in alcuni
fatti: mi è sembrato il giusto complemento, mi ha dato un respiro più ampio, mi
ha fatto capire cosa significa essere nati a Palermo e imparare a convivere con
il male, come se fosse normale.
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