Delitto alle Olimpiadi
Autore: Foschi Paolo
Dati: 2012, 169 p., brossura
Editore: E/O
Mi piacciono i romanzi seriali. Mi piacciono i polizieschi.
Mi piacciono i polizieschi seriali. Sarà perché mi affeziono ai personaggi, mi
piace conoscerli sempre meglio nel corso di avventure nuove e finisco con il
memorizzarne i tic, le piccole manie, i modi di dire o di fare. Mi è già
successo con il commissario Bordelli di Marco Vichi, con il Montalbano di
Camilleri, con l’avvocato Malinconico di Diego De Silva e con l’avvocato
Guerrieri di Carofiglio.
Igor Attila è un ex puglie, medaglia
d'argento alle Olimpiadi di Seul del 1988, suo eterno rimpianto perché in
realtà avrebbe meritato l’oro se non gli fosse stato ‘scippato’ per un atto di
ingiustizia sportiva. Sarà per questo che occuparsi di illeciti sportivi e di questioni
criminose legate al mondo dello sport diventa quasi naturale: con lui, commissario
atipico che in ufficio si sfoga tirando pugni ad un sacco da box e arpeggiando con
la chitarra elettrica, una squadra di ex atleti più o meno sfortunati, arruolatisi
in polizia, forma la Sezione crimini sportivi della questura di Roma.
Questo di “Delitto
alle Olimpiadi” è il primo mistero con il quale la squadra coordinata dal
commissario Attila si misura: Marinella Paris, atleta della nazionale in
partenza per le Olimpiadi di Londra, viene uccisa sulla spiaggia di Ostia,
durante il ritiro della squadra. Nessun sospettato, nessuna arma del delitto,
nessun movente, solo molti indizi che portano Igor a Londra e alla soluzione
del giallo, grazie ad intuizioni rapide e fortuite e alla collaborazione
preziosa dei suoi uomini che lo aiutano a distanza. Al di là della trama, ben
costruita e sempre incalzante, come Foschi dimostra di saper fare anche nelle avventure
successive di Attila, del romanzo conquista proprio il personaggio
protagonista, commissario un po’ scorbutico ma dall’animo romantico, capace di
canticchiare canzoni d’amore pensando a Titta e di perdersi nel Calvados,
addormentandosi vestito.
Ecco, Titta: ci sarebbe molto da dire su questo personaggio,
evocato continuamente da Igor. Che Titta sia il diminutivo tradizionale per il
nome Giovan Battista, può non essere intuitivo: su questo a mio parere gioca
Foschi, che solo alla fine del romanzo svelerà, complice un incontro casuale in
un ristorante, che l’amor perduto di Igor è un uomo. Non cambia nulla, le
dinamiche del rapporto in crisi sono prevedibili, Igor ripercorre continuamente
i motivi dell’allontanamento annunciato -e poi concretizzato- dal suo compagno
e sono quelli che possono mettere in crisi qualsiasi coppia. Vorremmo forse
Titta più presente, a imporre anche con la fisicità il suo essere, anche per
smentire Igor che lo fa emergere nei ricordi in modo un po’ isterico.
Confermo la sensazione che ho avuto leggendo l’ultima delle
avventure di Igor Attila, che ho già recensito
qui: lo stile veloce e asciutto di Foschi, giornalista e sportivo, la sua
scrittura lineare e senza fronzoli, i personaggi che ha saputo creare,
resistendo a qualsiasi tentazione macchiettistica, conquistano il lettore e lo
portano alla conclusione dell’indagine con il desiderio di leggere la
successiva.
Nessun commento:
Posta un commento