La forza del destino
Autore: Vichi Marco
Dati: 2011, 370 p., brossura
Editore: Guanda (collana
Narratori della Fenice)
Il commissario Bordelli è un poliziotto atipico, un
investigatore poco incline a rispettare le regole, almeno alcune. Lo abbiamo conosciuto
nel primo romanzo a lui dedicato, “Il commissario Bordelli”, in cui si delinea
questo personaggio di cinquantenne, ex partigiano, impenitente scapolo spesso
sul punto di innamorarsi, non sempre della donna adatta a lui. E con Bordelli
conosciamo una serie di personaggi che poi si ritrovano in altre sue indagini
raccontate da Vichi: la ex prostituta Rosa, con la quale il commissario
intrattiene un’affettuosa e complice amicizia; il Botta, cuoco sopraffino e
ladro di rara perizia, specie se alle prese con serrature e affini; Dante,
scienziato bizzarro, fratello dell’anziana donna il cui omicidio è al centro
della prima indagine di Bordelli; l’agente sardo Piras, scrupoloso, preciso e
fedele al suo capo; il dottor Diotivede, medico patologo, presenza costante a
margine (e al contempo centrale, grazie alla capacità di offrire spesso spunti
indiziari, che portano alla soluzione dei casi) delle inchieste di Bordelli; Totò,
cuoco nella trattoria dove spesso il commissario va a mangiare, rifugiandosi
nella cucina.
Le vicende poliziesche che vedono protagonista Bordelli si
snodano nei primi anni Sessanta a Firenze e arrivano fino al 1967 (almeno
finora), con questo romanzo che è la naturale prosecuzione di quello
precedente, “Morte a Firenze”, dove si narrano le indagini per la morte
violenta di un bambino, al quale il commissario giura di rendere giustizia,
assicurando alla legge i colpevoli, sullo sfondo della Firenze alluvionata, nel
novembre 1966. Vedremo che proprio in “la forza del destino”, le cose non
andranno esattamente così, ma quasi: il commissario, lasciata la polizia per
manifesta frustrazione nel sentirsi impotente davanti ai poteri occulti che
vogliono insabbiare le sue indagini e lo scoraggiano in tutti i modi a
proseguire, sarà più libero di continuare a indagare a suo modo, anche in
maniera non ortodossa, sfidando spesso i protocolli giudiziari.
Cosa colpisce in generale dei romanzi di Vichi che hanno il
commissario Bordelli come protagonista? Innanzitutto l’atmosfera, la
descrizione dei luoghi: in “Morte a Firenze” in particolare, l’alluvione che
mette in ginocchio la città è al centro della narrazione, diventa protagonista
insieme ai personaggi che danno vita alla storia. Si sente il rumore dell’acqua
fangosa che corre per le strade cittadine, si avverte l’odore di melma
mescolato a quello delle perdite di combustibile oleoso, il disagio e allo
stesso tempo il coraggio della popolazione fiorentina sono illustrati con
grande efficacia.
In questo romanzo il paesaggio è quello delle colline circostanti
Firenze, dove Bordelli compra una vecchia casa colonica, per il suo buen
ritiro: la casa è piuttosto malmessa, ma ha abbastanza terreno intorno da poter
occupare il tempo libero dell’ormai ex commissario in nuove attività bucoliche,
oltre che alla sua ristrutturazione. Molto del racconto è dedicato alla nuova
rete di conoscenze e relazioni che Bordelli costruisce per assicurarsi un
soggiorno pacifico, lontano dalla città. Nonostante le apparenze di uomo
serafico dedito ai piccoli piaceri della vita, il buon cibo e il buon vino
insieme a qualche bella chiacchierata con i vecchi amici, Bordelli cova
un’inquietudine che troverà sfogo solo nella ricerca di giustizia per il
piccolo Giacomo e per Eleonora, che i lettori hanno conosciuto in “Morte a Firenze”.
Photo HelenTambo on Instagram |
Qualche digressione distoglie dal racconto, che per quasi
tutto lo svolgimento mantiene un ritmo serrato: mi riferisco in particolare
alla riunione a casa di Bordelli, la sera del suo compleanno, in occasione del
quale darà saggio delle sue capacità culinarie, educate dal ‘Vangelo secondo il
Botta’, ricettario prezioso che il vecchio amico gli procura. In quella serata,
gli amici riuniti a turno raccontano aneddoti, richiamando quasi i giovani
riuniti anche loro in collina da Boccaccio nel Decameron, a narrar novelle. Si
tratta di racconti che, sia pure gradevoli alla lettura, nulla hanno a che fare
con l’economia della storia e di cui si fatica a comprendere la funzione
narrativa: il lettore si ritrova desideroso che quelle pagine passino veloci,
per riprendere il filo della narrazione principale. Ed è così coinvolgente la
storia che arriva a concludere quella lasciata in sospeso in “Morte a Firenze”,
da creare aspettative per un ulteriore sviluppo, in cui –ad esempio- si possa
sapere dove troverà pace il cuore irrequieto di Bordelli.
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