lunedì 9 febbraio 2015

Ultima lettura: "Ti strappo e ti getto in pasto ai cani" di Alessio Viola


Ti strappo e ti getto in pasto ai cani

Autore: Viola Alessio
Dati: 2014, 132 p., brossura
Editore: CaratteriMobili (collana Molecole)

Un fottuto tumore, nel più fottuto, stupido, imbarazzante, ridicolo posto
 in cui potesse andare ad annidarsi in un uomo, nella ridicolissima prostata,
che solo a nominarla sembra che non ci possa essere niente di serio
riconducibile a quella specie di patata spugnosa
nascosta dietro l’uccello di ogni uomo

È lo stesso autore che definisce questo romanzo un racconto-esorcismo, quello che si fa per allontanare qualcosa che si teme, dopo esserci andato molto vicino.
Si parte da una circostanza vissuta realmente, un momento autobiografico, la scoperta di una malattia reale e fortunatamente sconfitta; l’introduzione spiega il perché di questo libro, questo cucire cose già scritte, le riflessioni a margine, i momenti anche solo immaginati e quelli vissuti davvero. Durante la lettura poi ti chiederai quanto di reale c’è nel racconto, se l’impressione che hai è quella di conoscere e avvicinarti ai personaggi, tutti, come se facessero parte della tua vita.
Photo HelenTambo on Instagram
Una prima breve parte del libro è dedicata al racconto delle indagini cliniche, della diagnosi e soprattutto della reazione che il protagonista ha alla scoperta della malattia -un cancro alla prostata- e alle informazioni di tutto ciò che da quel momento potrà succedergli. Ed è una reazione fatta di sudore e di urla scomposte in macchina e in solitudine, per lasciare uscire la paura.
La paura viene dalle parole, sono loro a spaventare, quelle che sentiamo ‘brutte’ come è brutta la parola ‘carcinoma’: occorrerebbe una rotazione delle parole, “un loro uso diverso e alternativo” (p.19), un turn over che le spogli della loro capacità di destabilizzare.
Diverso effetto farebbe sentirsi dire “hai un amore che ti cresce dentro”, sarebbe tutto forse più sopportabile, invece di ricevere un'informazione asettica e professionale del fatto che dentro hai qualcosa sì, ma si chiama cancro: il potere della parola, eh?
Viola dedica pagine importanti alla necessità della prevenzione per evitare l’incontro con la malattia, quell’incontro che può essere fatale se non sorpreso in tempo, mentre sta già rodendoti dentro: quando il suo protagonista però si trova faccia a faccia con quella cosa che gli è cresciuta dentro, addosso a “quella specie di patata spugnosa nascosta dietro l’uccello di ogni uomo”, con quel male che vorrebbe strappare e gettare in pasto ai cani (e sarà Leonardo, il robot della sala operatoria a farlo), deve fare i conti con quello che succederà dopo che ha saputo.
Riprende la narrazione. Il tumore è operabile, quindi c'è la lunga, ragionata disamina del consenso da dare prima di finire steso su un gelido lettino operatorio: su quale organo si interviene, quale può essere l’approccio chirurgico più opportuno, le opzioni terapeutiche successive (ché l’intervento non può bastare, a volte), cosa succede normalmente al paziente durante l’operazione, come sarà il risveglio, quali saranno le conseguenze e le possibili complicanze, arrivando infine alla parola ‘morte’, che pure va messa in conto.
Il racconto del prima si interrompe bruscamente sulla parola ‘buio’: la tensione che è andata in crescendo mentre il lettore accompagnava il protagonista fino al tavolo operatorio è destinata a stemperarsi, a perdersi nel paesaggio che fa da cornice all’ultimo viaggio che l’uomo ha pianificato in ogni momento. Le protagoniste della seconda parte del libro sono le cinque donne della sua vita, quelle importanti, quelle che si sono avvicendate –e qualche volta sovrapposte- al suo fianco.
Mara e Dolores, le prime, legate da un’antica amicizia, poi separate da lui che si era insinuato tra loro, ritrovatesi adesso, non senza iniziale imbarazzo. Il confronto può essere crudele, o almeno doloroso. Invece i ricordi scivolano, sia pure con qualche frizione, ciascuna consegna all’altra pezzi di Lui, frammenti sconosciuti si rivelano a loro che pensavano di conoscerlo bene (“era quello che era per tutte noi” p.81).
 E poi arrivano Ulrike, e Nilde e Margherita, tutte diverse, tutte ‘ragazze’, le sue. Un social network ha fatto il miracolo di farle incontrare, secondo un disegno ordito dall’uomo, che prima di lasciarle per sempre ha fatto in modo che entrassero in contatto tra loro, che si riconoscessero in qualche modo, per prepararsi all’incontro.
Tante donne ne fanno una, dalle mille sfaccettature. E l’uomo che ha fatto un pezzo di strada con ciascuna di loro, ha mostrato pezzi di sé, diversi o coincidenti. Come in un caleidoscopio, tutto si combina a formare figure sempre nuove. Le cinque donne hanno risposto a una specie di convocazione, si passano adesso il turno di parola, ci restituiscono il ritratto a tratti contraddittorio di un uomo che ha lasciato dietro di sé amore e canzoni, quelle che vuole che vengano suonate al suo funerale.
Oltre ai dialoghi, realistici e impietosi anche, ci sono gli sguardi e i vestiti, le risate e le lacrime. 
E Savelletri, che non è meno protagonista dei personaggi del romanzo, personaggio lei stessa con la sua chiesetta sul mare, i suoi bar, i ritrovi dei pescatori, i ricci e gli aperitivi, la salsedine che si attacca alla pelle, con la terra rossa degli uliveti a ridosso del mare.
Bisognava stare attenti alla retorica spicciola, quella che –traditrice!- è sempre pronta a far sbavare il disegno narrativo. Alessio Viola ci è riuscito bene, consegnandoci un ritratto asciutto ed essenziale di un uomo fatto di ciò che ha lasciato a ognuna delle sue donne.
Ultima notazione: il libro è disseminato di titoli di canzoni, quelle che hanno accompagnato la vita del protagonista nei momenti condivisi con le sue donne. Ne ricordo qui solo una: "Mind Games" di John Lennon, perché a me fa venire i brividi.

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