lunedì 6 aprile 2015

Ultima lettura: "Dove il sole non sorge mai" di Giorgio Scerbanenco


Dove il sole non sorge mai

Autore: Scerbanenco Giorgio
Dati: 2000, 194 p., brossura;  ePub 1,0 MB
Editore: Garzanti (collana Gli elefanti. Narrativa)

Il pianto è la più grande medicina che conosciamo,
contro il dolore.

Il luogo dove il sole non sorge mai è il riformatorio dove finisce la contessina Emanuela Sinistalqui, quindicenne orfana affidata alla nonna materna, dalla cui casa fugge per raggiungere a Roma il ragazzo di cui è innamorata. Durante il viaggio, accetta un passaggio da tre sconosciuti, autori di una rapina. Quando i rapinatori vengono fermati e arrestati,  Emanuela, sia pure innocente, viene sballottata tra riformatorio e un istituto di correzione per giovani perdute, fino ad un epilogo vertiginoso. Questa è in breve la trama di un romanzo rosa, che non mi aspettavo di leggere.
Photo HelenTambo on Instagram

La colpa, se così si può dire, è ovviamente mia: cercavo lo Scerbanenco dei polizieschi per i quali è stato famoso, senza sapere che nella sua lunga e prolifica carriera, lo scrittore di origine ucraina e di madre italiana si è misurato con i più svariati generi narrativi, dal noir al western, dal romanzo rosa alla fantascienza. Così ho scelto il primo titolo che mi è capitato tra le mani, senza leggere nessuna sinossi né recensione, sicura che avrei trovato una storia cupa e realistica, che mi avrebbe offerto uno spaccato della società urbana tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso.
Invece mi sono ritrovata a leggere un romanzetto tanto inverosimile quanto anacronistico, cosa che difficilmente accade ai polizieschi: si può leggere un Simenon, Agata Christie,
Manuel Vázquez Montalbán, Alicia Giménez-Bartlett, anche il Camilleri del commissario Montalbano, e farsi prendere dai meccanismi tipici del giallo, indifferenti –volendo- all’epoca e ai luoghi in cui le storie sono ambientate. E sono sicura che anche nel caso di Scerbanenco sia così, ricordando una mia zia, lettrice più che forte ed esigente, che letteralmente divorava i suoi romanzi gialli.
Tornando alle disavventure della contessina Sinistalqui, la storia mi è sembrata esile e popolata da personaggi poco credibili, quasi macchiette con una fisiognomica fin troppo pronunciata: la protagonista non può che avere un aspetto angelico, a dispetto delle accuse che le vengono rivolte, la direttrice dell’Istituto di correzione e tutte le figure che le stanno intorno hanno viceversa aspetto arcigno e spigoloso quanto i loro comportamenti, le compagne di detenzione sono tutte brutte e sgraziate, come d’altronde è la loro vita.
La stessa Emanuela è protagonista di vicende che sono difficili da immaginare per una quindicenne a quei tempi: eppure Scerbanenco racconta storie ambientate in epoca a lui contemporanea, quindi ancora di più si sente stridere la macchina narrativa, proprio perché non ci si capacita dello scarso realismo di certe situazioni descritte, se non facendo ricorso a un incredibile sforzo di fantasia da parte dell’Autore. Probabilmente questo tipo di romanzo rispondeva a una precisa domanda da parte di un pubblico (femminile, immagino) che voleva storie di evasione al limite della verità possibile.
Mi resta un debito con Scerbanenco: continuo a pensare che nella sua sterminata produzione, a cui hanno attinto anche tanta televisione e tanto cinema, ci siano titoli degni della sua fama di grande scrittore, maestro e punto di riferimento per tanti autori di romanzi gialli.
Quindi lo incontrerò ancora, sicuramente, e con maggiore fortuna.

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