lunedì 4 aprile 2016

#LeggoNobel: "Lo straniero" di Albert Camus


“Lei è giovane, e immagino che questo tipo di vita possa piacerle.”
Ho detto che sì ma in fondo per me era lo stesso.
Allora mi ha chiesto se non m’interessasse cambiare vita.
Ho risposto che non si cambia mai vita,
che comunque una vita vale l’altra
e che la mia lì non mi dispiaceva affatto.

Mi sono avvicinata ad Albert Camus con una sorta di timore reverenziale, quello che si ha per gli Autori importanti, che bisogna aver letto. Tanto più che ne rimandavo l’incontro da quando al ginnasio ne sentii parlare per la prima volta dalla  mia insegnante di Lettere
a proposito de “La peste”, libro che non ebbi il coraggio di leggere allora e che ancora non ho letto, a distanza di oltre trent’anni. Il primo tentativo di leggere Camus l’ho fatto con  "L'uomo in rivolta" , breve saggio che ben si adattava ad una lettura collettiva -.quella promossa dal gruppo di lettura Scratchmade su Facebook, all’indomani della strage parigina al Bataclan, rivendicata dall’Isis. Ma non era il mio momento per Camus e la lettura del libro scelto dalla maggioranza del gruppo di Maria Di Biase non era evidentemente adatto ad un primo approccio con questo autore, che quindi ho scoperto successivamente con “Lo straniero”, scelto per il progetto  #LeggoNobel.
Anche per questo romanzo ho risposto a un input esterno, per così dire, che poi è stata la curiosità derivata dalla citazione in “Atti osceni in luogo privato” di Marco Missiroli, e che poi ha guidato, almeno per il contributo che ne ho dato io, la scelta del titolo di Camus da proporre per #LeggoNobel, e che per il protagonista del romanzo di Missiroli rappresenta una lettura indispensabile nel suo percorso di maturazione.
Stavolta l’approccio è stato estremamente facile: “Lo straniero” si legge agilmente, si tratta di poco più di 150 pagine, per di più in un’edizione che presenta caratteri grandi che agevolano la lettura a chi comincia ad avere qualche problema di presbiopia (aspetto questo affatto trascurabile e motivo che ormai mi fa scartare a priori certe edizioni tascabili di difficile leggibilità). La sintassi è frammentata, la paratassi privilegiata, il discorso è a tratti quasi sincopato, anche se il ritmo costringe spesso a irritate soste, di effetto e (immagino) volute dall’Autore, il quale delinea la figura di un inetto nichilista, che si lascia vivere senza partecipare alla sua stessa vita.
Il protagonista, Meursault, vive ad Algeri e racconta in prima persona le vicende che lo investono, a partire dalla morte della madre in un ospizio e fino all’accusa di omicidio di cui deve rispondere in tribunale, per la morte di un arabo durante una lite in spiaggia. In mezzo c’è la narrazione di un periodo della vita dell’uomo, in cui si avvicendano persone e luoghi, senza che egli ne sia in qualche modo impressionato. Ciò che colpisce di Meursault è la sua continua dichiarazione di non essere interessato a discorsi, situazioni. Tutto gli è indifferente, nulla riveste importanza ai suoi occhi (“mi mancava il tempo di interessarmi a ciò che non mi interessava”), tutto è lo stesso per lui, che prova un senso di estraneità rispetto a ciò che gli succede, la sensazione di essere un intruso, di essere di troppo persino durante il processo che lo riguarda, infatti assiste al dibattimento come se fosse qualcosa che non lo riguarda, da spettatore passivo e solo in un momento avverte quanto “tutte quelle persone” lo detestino. Nemmeno quando comprende di essere al centro di un processo come imputato, sente la necessità di parlare, di dire qualcosa, magari di difendersi, per poi arrendersi (“Ma, a pensarci bene, non avevo niente da dire.”). Durante il processo il procuratore parla dell’anima di Meursault, dice che in lui si riscontra un’assenza di cuore che “diventa un baratro nel quale la società può sprofondare”; lo fa anche l’avvocato difensore (un avvocato d’ufficio, ché l’imputato non si è preoccupato neanche di trovare un avvocato che lo possa difendere al meglio da un’accusa per la quale rischia la pena capitale), che invece sostiene di aver letto nell’anima di Meursault, come in un libro aperto.
Questo personaggio indispone e respinge il lettore per la sua indifferenza e per la sua incapacità di esprimere un’opinione, un’idea qualunque, fosse anche il sentimento che potrebbe legarlo a Maria, una ex collega con la quale intreccia una relazione (“mi è parsa bellissima ma non sono riuscito a dirglielo”); d’altronde, come ricorda l’amico Céleste durante la sua testimonianza al processo, lui è uno che “parlava soltanto se aveva qualcosa da dire”.
Allo stesso tempo Meursault attira, si arriva alla fine del romanzo alla ricerca di un motivo, nella speranza di un rigurgito di coscienza e di un riscatto in un uomo che è straniero alla vita.
Un lungo saggio di Roberto Saviano introduce il romanzo, quasi sproporzionato a una prima impressione: tuttavia la lunghezza del testo si giustifica per la passione convincente che Saviano mette nel descrivere il ruolo che “Lo straniero” può avere nella vita di tutti.
Ora resto in debito con “La peste”, che recupererò.

Photo HelenTambo on Instagram


Lo straniero
Autore: Albert Camus
Traduttore: Sergio Claudio Perroni
Introduzione di Roberto Saviano
Dati: 2015, 157 p., brossura (prima edizione 1942, Gallimard)
Editore: Bompiani (collana Grandi Tascabili Bompiani. I libri di Albert Camus)
Prezzo: € 12,00
Giudizio su Goodreads: 4 stelline

2 commenti:

  1. Un po’ come te, sto aspettando il momento giusto. Il coniuge ha coscienziosamente ordinato tutti i suoi libri di Camus (letti da adolescente) nella libreria casalinga. Ogni tanto, si ricorda della mia lacuna e mi guarda perplesso: “Ancora non hai letto Lo straniero?!”
    Aspetto che mi chiami.

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    1. Una lettura... straniante. Ti irriterà il personaggio, ti infastidirà quella sua inettitudine che non lo farà interessare neanche alla sua disavventura penale. Eppure ci troverai tanto di quello che siamo un po' tutti, spesso stranieri a noi stessi. Spero che "Lo straniero" ti chiami presto!

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