mercoledì 1 giugno 2016

"Female" di Tiziana Sferruggia


                            
Photo Tiziana Sferruggia
Da questo sogno non riesco a strapparmi. Che ora è?
È l’ora in cui tremo di tenerezza, l’ora in cui ho paura di me.
Mi vedo dall’alto. Tocco le ombre sul soffitto. Sono spettri innocui, rami di palma agitati dal vento.
Un cono di luce viola sul mio corpo addormentato.  
Nuvole di piombo attraversano il cielo mattutino come linee verticali e svaniscono nella nebbia. 

Uno stormo di uccelli sfiora le cime nere degli alberi. Arcane geometrie si disfano ed è come se non fossero mai esistite.
Un cavallo bianco galoppa su una spiaggia di sabbia rossa. E glauche onde salate si impigliano nella sua lunga criniera.
Un fulmine cade nell’acqua. Brucia il mare che pare sangue. I pesci scappano e volano via nel cielo di petrolio. Hanno piume di uccelli tropicali che cadono come pioggia sporca. Come mai sono qui? E perché non sono sola?
Mia madre spalanca la finestra. Una luna di calce senza memoria non risponde alle mie domande mute. Le stelle sono così basse che mi pare di toccarle.
La puzza della strada ammorba l’aria.
Cani randagi dilaniano cataste mefitiche di rifiuti.  
Vorrei urlare. Ma le mie parole sono già morte. Requiem per la voce disperata che ama il silenzio.
Ho la nausea. Ho freddo. Anzi no, sudo.
-”Non puoi più fare questa vita….una femmina sola! Questo sei! Non alla bellezza del corpo ma a quella dell’ anima devi guardare. Alla bellezza del dettaglio. All’ unica bellezza immortale”-! . Ma io penso a te. E oggi cambia tutto.”

 Altre parole simili e sconnesse mi giungono come parti di un insieme oscuro.
“Pulire la casa. Comprare i fiori. L’attesa è finita. Anche tu ti mariti”.
Intuisco metamorfosi indesiderate. E maremoti nel solito bicchiere d’acqua.
Precipito sul letto molle e stretto. Mi agito ma non mi muovo.
Un pugno nello stomaco. Le mani intorno alla gola. Fra un attimo il mio cuore si fermerà.
Mia madre non mi guarda e non può aiutarmi.
 So che è tutto finto. So che è tutto vero. E questo non mi consola.
“Per i suoceri e per il fidanzato sarai bella come non sei. Come un’altra che non ti somiglia. Il treno della fortuna passa soltanto una volta. E tu oggi lo prenderai”.
Mia madre è un uragano. E io sono un albero nella tempesta.
Io odio i treni.
E le stazioni. E le partenze. E gli addii. E le valigie.  Ho paura di arrivare in ritardo. Io sono fuori dal tempo.
Che sogno. Se sopravvivo a lui, non muoio più. Conati di vomito mi sconquassano il petto.
Mi guardo allo specchio. Appoggio le labbra per baciarmi. Non sono io questa estranea senza lingua.
Mia madre si accanisce sullo spelacchiato tappeto del salotto. La polvere le copre la faccia color della terra. Una tempesta attraversa i suoi occhi gialli. 
Vorrei gridare con il mio fiato rammendato. Mettere forza nelle parole di vetro. 
Io non voglio un marito.
Io voglio correre sui prati e parlare alla luna, di notte, sulla spiaggia e dal mio balcone. Io voglio gelsomini da raccogliere all’alba. Io voglio stare con me. E coltivare i miei dubbi. E ridere e piangere. E commuovermi per niente. Per tutto. Io voglio nutrirmi di vento e di idee, di follie, di piena solitudine. E nel buio trovare dove sono. Dove non sarò mai, dove mi sono perduta e dove troverò la voglia di alzarmi ancora. Ma la rabbia è debole è galleggio in un silenzio asfittico.  
Sono schiava di un sogno infinito.
Mia madre è invecchiata di colpo.
Ha capelli stopposi come un nido d’allodola e rughe feroci agli angoli della bocca. E occhi tristi e spiritati. Non ha bisogno di parole. Semmai di carezze. Non riesco ad alzare il braccio. Non riesco a parlare. Secoli nefasti gravano sulle mie spalle. Ho tutto il dolore del mondo sullo stomaco e un pianto antico oramai secco. Respiro a fatica. Calpesto i vetri rotti del pavimento e non mi ferisco.
Gladioli rossi spiccano dentro un vaso blu cobalto. Chi ha messo i confetti verdi nella ciotola d’argento?  Sei tazzine con bordo d’oro zecchino scintillano sulla tovaglia di damasco giallo.
Mi appoggio per non cadere. Troppo lusso. Troppi bagliori. Da dove vengono tutte queste cose? Sono stanca. Mi pare di camminare da ore e di essere sveglia da sempre. È un tempo liquido. E le cose non hanno più un nome. Devo ricordare.
Devo scriverlo prima che sia troppo tardi. Tutto fugge. E diventa piccolo e lontano.
Ancora non finisce questo sogno.
Suonano alla porta. Un donnone nero come la pece riempie tutta l’apertura della porta. Un ometto smilzo come un passerotto la segue quasi saltellando. Un picciotto troppo nero, troppo secco, troppo basso, entra per ultimo.
E’ evanescente e grigio come il fumo.
Li guardo. Mi sembrano buffi, piccolissimi, inadeguati.
“Che siete venuti a fare? Io sono una regina libera. Io non voglio lui. Ed io voglio volere”.  Mentre parlo sono alta, bionda e piena. Di bellezza, di forme, di luce. Il mio fidanzato ride. La sua bocca non ha denti. È un antro spaventosamente vuoto e nero.
La sua voce mi graffia il petto. Non voglio sentirla.
Puzza di sudore freddo e di salvia secca.
I gladioli appassiscono improvvisamente. Cocci di bicchieri sporchi e di tazzine vuote sul pavimento obliquo. Mia madre canta ma non è contenta. Una chiesa buia ed un altare spoglio. Quando ho messo quest’abito bianco? Stringo un bouquet di fiori d’arancio secchi e cammino sopra petali bianchi di rose marce.  W gli sposi! Riso e confetti mi accecano. Chiudo gli occhi.
Col cuore disfatto li riapro.
Mi esce un gemito. Guardo la stanza. Una luce misteriosa mi dà un brivido. Non c’è nessuno. Sono sola. Con la bocca amara come il fiele.
Ho l’anima sparpagliata. Sono sveglia. Sono me. Sono Nuvola. Sono Cielo. Sono Luna. Sono Albero. Sono tutte le cose ho sognato.
Un tenue chiarore a oriente mistifica le tenebre. L’alba arriva sempre.

Certi giorni iniziano così. Con la paura di perdermi.


©️Tiziana Sferruggia
Soundtrack: Amy Winehouse, "Back to back" 










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