venerdì 24 giugno 2016

"Dietro ogni curva" di Cetta De Luca

Photo Cetta De Luca

Ogni volta che viaggio, che il percorso sia breve o lungo, sempre mi sorprendo, a un certo punto, ad aspettarmi il mare. Dietro ogni curva, all'improvviso, mi assale il desiderio di vederlo, di abbracciare con lo sguardo la sua vastità, di inebetirmi dei suoi profumi. È talmente radicata in me questa abitudine, che quasi non ci faccio più caso, perché accade, il panorama non mi tradisce mai. La mia mente e il mio cuore lo sanno bene, conservano in sé una memoria naturale del tempo che ci vuole tra un luogo e l'altro, di ogni movimento che il corpo deve fare per avvicinarsi. Percorro strade che sanno di pini e di oleandri, di brezze salate, di nasse e di canti antichi e di tavole marcite, di vernice, di sole. Riconosco i sassi e i granelli di sabbia, le rocce e i promontori e le anse solitarie e le lunghe distese che scivolano, come nastri setosi, tra le marine e le onde. 

E qui, in questa terra lontana, si infrange ogni giorno il mio desiderio. Cammino e viaggio, e ancora col cuore lo cerco, ma non c’è mare quassù, non nel mio spazio, non nel mio tempo di percorrenza. In questa prigione di boschi e prati e fiumi, non esiste uno sbocco senza confine. Ho camminato a piedi nudi sulle rive del Danubio e, anche se non ne ho visto la fine, mi è sembrato piccolo e insignificante e inodore. Senza odore non c’è memoria, senza memoria non c’è storia che valga la pena, che resti, che cambi il corso delle storie future. 

Ho sempre pensato che chi nasce vicino al mare fosse un privilegiato, e mi perdoneranno i nativi delle pianure o delle montagne. Però è così. Nascere con la consapevolezza di avere lo sguardo libero da ostacoli, respirando da subito un’aria densa come melassa dove il sale, lo iodio, i racconti che le onde portano con sé si mescolano e si donano per essere trasportati ancora e ancora. Nascere con lo sciabordio dell’acqua sulle sponde, il fruscio della risacca sulla rena è come continuare la vita nel grembo della madre. Si diventa custodi delle storie del mondo, quelle che i marinai raccontano quando sbarcano, quelle dei luoghi lontani che il mare avvicina, quelle dei morti e dei sopravvissuti, quelle di battaglie, di vittorie, di sconfitte, quelle di amori consumati tra le barche mentre in cielo brillano fuochi d’artificio. Ci si apre alla vita e si impara ad accogliere, subito, col primo vagito. Un vagito poderoso, che deve farsi sentire al di là del frastuono dell’onda che si infrange. Forse per questo la gente di mare parla a voce più alta. 

©CettaDeLuca

Soundtrack: Mango, "E mi basta il mare"

Nessun commento:

Posta un commento