lunedì 26 gennaio 2015

Ultima lettura: "Il giovane Holden" di J.D.Salinger


Il giovane Holden

Autore: Salinger Jerome David
Dati: 1961, 248 p., trad. di Adriana Motti; 2014, 251 p., trad. di Matteo Colombo, brossura
Editore: Einaudi Editore (1961 collana Gli Struzzi; 2014 collana Super ET)

Mi fanno impazzire i libri
che quando hai finito di leggerli
e tutto quel che segue
vorresti che l'autore fosse il tuo migliore amico,
per telefonargli ogni volta che ti va.
(ed. 2014)

Passo in rassegna i tweet con i quali ho commentato la mia lettura de “Il giovane Holden”, raccolti in un tweetbook. Mi aiuta a ricostruire parte dei pensieri che mi hanno accompagnato nel breve periodo impiegato a leggere questo libro di culto, definito classico romanzo di formazione, popolare fin dalla sua pubblicazione nel 1951 con il titolo “The Catcher in the Rye”, che se ha una potenza evocativa per i lettori americani, era invece intraducibile in italiano. Un tentativo era stato fatto con la prima traduzione di Jacopo Darca del romanzo, intitolato per l'appunto “Vita da uomo” (Casini, 1952), ma passando successivamente a Einaudi è diventato “Il giovane Holden”, tradotto da Adriana Motti. E con questo titolo si è conservato nella traduzione di Matteo Colombo, nell’edizione del 2014.
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Tanta attenzione per il susseguirsi delle traduzioni di Holden è determinata dal ‘fastidio’ provato mentre leggevo l’edizione del 1961, causato da un senso di estraneità ad un linguaggio giovanile che è cristallizzato in una forma coerente con il modo di esprimersi dei giovani di quasi sessanta anni fa e che quindi mi risultava oggi ostico e artificiale, tanto da farmi decidere, arrivata a metà, di acquistare la nuova edizione e ripartire a leggerlo da lì. Ma non potevo fermarmi alla mia personale irritazione verso un gergo che sentivo tanto lontano, anzi bisognava che diventasse opportunità di riflessione su traduzione, variabilità linguistica e gerghi più o meno transitori.
Ho programmato a scuola di leggere con i miei alunni alcuni romanzi ‘indispensabili’, lanciando l’hashtag #unlibroalmese, per condividere poi con le comunità di lettori su Twitter le scelte volta per volta compiute con i miei ragazzi. Spesso ho guidato la preferenza verso quei libri che desideravo da tempo di leggere, con lo scopo precipuo di colmare mie lacune.
È stato così per “Il giovane Holden”, acquistato molti anni fa per 25000 lire e da allora conservato intonso nella mia libreria, in attesa che mi decidessi a scoprire Holden Caulfield “un personaggio ormai famoso e proverbiale negli Stati Uniti, l'eroe eponimo di tutta una generazione”, come si legge nella nota dell’Editore. Sapevo insomma che dovevo sapere qualcosa di più di questo adolescente americano che
si chiede dove vadano le anitre, d'inverno, quando gela l'acqua nel laghetto di Central Park South a NYC.
Con tutto ciò, cioè pur con la consapevolezza della necessità di conoscere questo romanzo, per quasi tutto il libro mi sono chiesta perché certi libri diventano libri di culto, cosa fa di un personaggio come Holden un personaggio mitico, come si può
segnare generazioni di lettori e fino a quando questo succede. E ancora, di conseguenza, quando Holden è diventato obsoleto, se è mai diventato obsoleto? Oppure la sua eventuale e non provata obsolescenza dipende dalle sue traduzione (motivo per il quale in Italia Einaudi ha pensato che fosse necessario farne fare un’altra, nuova)? E infine oggi, anni Dieci del 2000, quale romanzo può sostituirlo? E poi, si deve sostituire?
A tutte queste domande non ho trovato risposta, soprattutto perché avviandomi alla conclusione, dopo aver deciso di leggere la traduzione di Colombo che scorre veloce (pur non discostandosi troppo da quella di Motti, tranne che per alcune scelte decisamente opportune, come quella di cambiare la voce 'spicinio', familiare e toscana, per 'sbriciolamento' con ‘massacro’ o frasi come "Io sono di un'ignoranza crassa, ma leggo a tutto spiano" del cap.3 con “Io sono abbastanza analfabeta, però leggo un sacco”, solo per citare un paio di esempi) mi sono sentita coinvolta e presa e solidale e comprensiva nei confronti di questo ragazzo singolare che parla per iperboli e anacoluti, tanto da pensare alla fine che Holden ti manca nel momento in cui lo devi lasciare, pur sapendo che non ti lascerà più davvero. Per cui, senza se e senza ma, “Il giovane Holden” è ovviamente un romanzo ‘obbligatorio’.
La lingua di Holden è senza peli; fa riflettere la scelta del politically uncorrected nella traduzione di Colombo (e non poteva essere diversamente, lontano da qualunque ipocrisia lessicale): i ‘pederasti’ della traduzione del 1961 diventano ‘finocchi’, nella nuova traduzione, per esempio.  Questo colpisce perché abbiamo forti tabù rispetto alle parole, a certe parole. Ecco perché sobbalziamo davanti a 'finocchi' del cap.24, ci sembra forte, offensivo e nessuno si sognerebbe di usare questo vocabolo, oggi.
Invece sono solo parole, sono modi di dire, una volta non cambiava la sostanza, adesso sì. Come per ‘negri’, che prima si diceva senza rischi per la suscettibilità di nessuno: il rispetto passa dalle parole, ma a volte no, è decisamente altro. E si dissimula il timore delle discriminazioni dietro perifrasi e parole altre.




martedì 20 gennaio 2015

Ultima lettura: "Le regole degli amori imperfetti" di Mara Roberti


Le regole degli amori imperfetti

Autore: Roberti Mara
Dati: 2014, ePub con DRM 756,0 KB
Editore: Emma Books (collana Love)

Se la vita è come una tazza di tè,
significa che qualcuno di noi sarà l’acqua
 e qualcun altro il tè

Una premessa urge: non amo la letteratura rosa e chi mi conosce personalmente, o ha dato una sbirciata al mio blog, questo lo sa bene. Il fatto che io mi definisca una lettrice avida e ‘onnivora’ non significa che sia ‘bulimica’, tanto per continuare con le metafore alimentari. Sicuramente non ho pregiudizi e assaggio tutto prima di dire che non mi piace, dopodiché è giusto specificare che scelgo le mie letture sulla base di gusti affinati nel tempo, mi lascio incuriosire da molti argomenti, ma il più delle volte i miei percorsi di lettrice, per quanto disordinata, si svolgono su direttrici costruite per affinità. Sono stata una lettrice di romanzi rosa in età adolescenziale, e non rinnego questa predilezione, per quanto sia stata completamente inutile per la mia educazione sentimentale, forse perché la vita vera insegna molto di più di quella inventata.
Photo Elena Tamborrino

Probabilmente questo è il motivo per cui oggi, se mi lascio sedurre da una storia d’amore, è perché vi ho scorto delle possibilità inconsuete, eppure verosimili. È assai facile innamorarsi di un tizio bello, ricco, giovane, intrigante, affascinante e magari pure un po’ bastardo (ché chissà perché tante si innamorano di questo genere di uomo, aveva ragione Marco Ferradini), invece che di uno bruttarello e tracagnotto, disoccupato e nullatenente. Eppure quando capita la storia d’amore comune, quella che può succedere a chiunque, quella in cui ti chiedi ‘com’è possibile farsi attrarre da uno/a così?’ (ben sapendo che quelli che attraggono spesso sono ‘uno/a così’), se è ben scritta, se c’è sugo, se c’è trama, allora riesco a cedere ancora alla tentazione del rosa, che però vira al violetto. È quello che mi è successo in tempi recenti con "Fare l'amore" di Rossana Campo, o qualche anno fa con “Non ti muovere” di Margaret Mazzantini.
Dopo questo preambolo obbligato vengo al dunque: ogni tanto mi capita ancora di leggere un romanzo rosa, di quelli classici della serie "io ti amo, tu mi ami, non c'importa della gente" che normalmente scanso. Ma si sa, la vita è bella perché è varia.
E così sulla mia strada è capitato questo ebook, che mi ha attratto perché presenta una strada alternativa e parallela alla storia d’amore nuda e cruda, la strada del tè.
La storia si svolge in un posto immaginario, ma così ben descritto che potrebbe esistere realmente ed esiste sicuramente nella testa dell’Autrice, che di tanti posti amati (Pitigliano? Scanno?) ha raccolto scorci che tutti insieme fanno il borgo romantico di Roccamori.
A Roccamori si reca Elisa, grazie a un soggiorno omaggio arrivato inaspettatamente, insieme a una specie di fidanzato che in pochissime battute si rivelerà quello che è, cioè un mediocre che si fa presto a dimenticare. Ma in quel luogo, dove si chiuderà il cerchio della sua vita sentimentale e dove è stata attratta con un piccolo inganno, la ragazza scoprirà il mistero della sua giovane esistenza, ancora breve ma già densa di sofferenze. E soprattutto Roccamori sarà il luogo dove Elisa capirà da dove parte la sua passione per il tè, ereditata dalla madre che l’ha iniziata alla cura di questa bevanda, nelle sue varietà più rare e pregiate, e alle cui regole di preparazione sta dedicando un libro. Sono proprio le pagine dedicate al tè quelle che hanno attirato maggiormente la mia attenzione; scopro, solo alla fine della lettura del romanzo, che Mara Roberti ha veramente pubblicato un libro parallelo a questo, che ha intitolato "Le regole del tè e degli amori imperfetti" e che contiene gli appunti di Elisa. In questo volume, “un po’ manuale, un po’ dizionario, un po’ libro di ricette”, si troveranno le spiegazioni sugli otto tipi di tè citati dalla protagonista del romanzo, di cui diventa naturale appendice. Ma anche senza leggere il manuale di Elisa sul tè, la bevanda è egualmente il filo rosso che lega la vicenda e la rende originale rispetto a una comune romantica storia d’amore.
Di una cosa sono convinta: non deve essere facile scrivere un libro rosa, come non è facile scrivere nessun libro. Ma forse per il genere romance è ancora più difficile, il rischio di affondare nella melassa è concreto e se si ambisce ad attirare un pubblico un po’ esigente, che non si fa facilmente conquistare, o si ha una buona idea e la si rende bene per scritto, oppure la partita è persa in partenza. A me sembra che Mara Roberti ci sia riuscita: lo stile è scorrevole e la trama ben congegnata, per quanto un po’ inverosimile. Ma a un romanzo rosa che per definizione nasce per dare sostanza ai sogni, la dimensione dell’improbabile si può perdonare.

lunedì 12 gennaio 2015

Ultima lettura: "L'appuntamento" di Piergiorgio Pulixi


L’appuntamento

Autore: Pulixi Piergiorgio
Dati: 2014, 129 p., brossura
Editore: Edizioni e/o (collana Originals)

Perché, devi sapere, io non sarei quello che sono senza Cassandra…

È molto bravo Piergiorgio Pulixi, giovane scrittore che esce dal collettivo Sabot di Massimo Carlotto, già inventore del poliziotto (scorretto) Biagio Mazzeo, protagonista di due romanzi che precedono questo, in cui però non entra.
Pulixi ha scritto un racconto lungo 129 pagine, che si fanno leggere in un paio di ore: questo è il tempo che ho impiegato per farmi prendere da questo serrato scambio di battute, durante il quale si srotola una storia ad alta tensione.
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A raccontare l’incontro al buio tra Laura e –diciamo- Domenico, è l’uomo, in prima persona. Un uomo che è un grande osservatore e che studia a distanza la sua vittima, prima di avvicinarla. Che Laura sia una vittima, lo si capisce dalle prime battute, dal suo atteggiamento di attesa solitaria al tavolo di un elegante ristorante dove è stata convocata per un ‘gioco’ molto particolare. Queste le premesse, che porteranno a uno sviluppo della situazione tutt’altro che scontato.
La storia si svela al lettore attraverso rapide sequenze dialogiche, in cui volta per volta si inseriscono i vari personaggi di contorno, ciascuno dei quali svolge un ruolo determinante per lo sviluppo dell’intreccio. E si tratta di un intreccio in cui sembra di scendere in un gorgo di perversione sempre più profondo, fino all’inimmaginabile conclusione un po’ splatter. 
Il culmine di un’escalation di violenza psicologica è lo svelamento di un piano diabolico e scellerato, determinato dalla noia e dalla ricchezza.
Pulixi si fa leggere fluidamente, coinvolge il lettore in una spirale di attese ansiogene, nulla di meglio per gli amanti del genere noir. Unica nota stonata, in una scrittura gradevole e curata, è il cedimento a un’espressione modaiola che a me risulta odiosa, un quant’altro a p. 121 che si poteva sostituire con un sintagma dallo stesso significato (ma questa è una questione di gusti). Nulla toglie all’efficacia del racconto, che merita uno dei vostri pomeriggi da fine settimana di maltempo, in poltrona e al caldo confortevole delle vostre case.
E se non lo leggerete quest’inverno, portatelo al mare la prossima estate, ma non leggetelo sotto il sole, rischiereste di dimenticarvi del tempo che passa e di prendervi un’insolazione. Meglio sotto l’ombrellone.
E state attenti a tutte le vostre interazioni tramite social… Molto attenti.

PS. La citazione in apertura della recensione non si può capire se non si legge il libro. Quindi buona lettura.

mercoledì 7 gennaio 2015

Ultima lettura: "L'amore che ti meriti" di Daria Bignardi


L’amore che ti meriti

Autore: Bignardi Daria
Dati: 2014, 247 p., brossura
Editore: Mondadori (collana Scrittori italiani e stranieri)

A Ferrara tutto è circoscritto, nascosto.
Il Castello è circondato dal fossato,
il centro è circondato dalle Mura,
i giardini sono interni, circondati dalle case,
persino le tende delle finestre, color cotto,
sembrano pensate per confondersi coi muri e nascondere segreti-

In questo libro si racconta di un mistero.
Che è quello che dovrebbe prenderti da subito e non mollarti finché non arrivi al suo scioglimento.
Invece la storia parte in sordina e ti avvolge piano piano, accompagnandoti in una Ferrara sonnacchiosa, che è il teatro degli avvenimenti che hanno visto protagonisti Alma e Maio ieri e Antonia, detta Toni, oggi.
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Alma e Marco, detto Maio, sono fratelli, cresciuti in una famiglia molto riservata e dal passato oscuro che si va svelando man mano che Antonia, figlia di Alma, si mette in testa di tornare a Ferrara, città di origine della famiglia materna, per indagare sulla improvvisa e oscura sparizione dello zio tossicomane, trent’anni prima.
Antonia, giovane scrittrice di gialli, prossima a diventare mamma, vorrebbe ispirarsi al commissario di polizia da lei stessa ha inventato, ma i suoi metodi investigativi sono goffi, i suoi tentativi di ricerca confusi e frammentari, per di più ostacolati dall’atteggiamento della madre, da sempre reticente sul passato della sua famiglia, e dalle persone che Toni incontra per fare chiarezza sul mistero della scomparsa di Maio. La soluzione dell’enigma arriverà alla fine, in modo del tutto inaspettato, come in ogni giallo che si rispetti.
Ma questo di Daria Bignardi non è propriamente un giallo, o meglio il giallo è solo un pretesto per analizzare i meandri oscuri in cui si annidano risentimenti, dolori e segreti familiari, in uno sfondo provinciale che è anche un omaggio alla sua città natale, Ferrara, così ricca di storia e cultura continuamente evocate (il nome di Giorgio Bassani è spesso richiamato, insieme al pasticcio di maccheroni alla ferrarese, quasi con la stessa frequenza).
Chi conosce la città, individuerà i luoghi in cui Toni si muove; per chi non è mai stato a Ferrara è un modo per farsi venire la voglia di fare un giro da quelle parti.
Il sistema dei personaggi che si muovono nella vicenda è complesso e si muove su due piani, tra passato e presente, con punti di intersezione (Alma tra ieri e oggi, la sua amica Michela, la signorina Lia, vicina di casa della famiglia di Alma ai tempi della scomparsa di Maio). Tutti sono ben tracciati e descritti sia fisicamente che caratterialmente: Leo (il compagno di Toni), il commissario D’Avalos (collega di Leo e guida per Toni a Ferrara), la signoria Lia e la sua cagnetta Mina, Isabella (la bella barista, figlia di quella Michela amica di Alma e Maio fino alla scomparsa di quest’ultimo, a cui era legata sentimentalmente -Ci siamo divertiti moltissimo noi tre. Tre è un bel numero, quando sei ragazzo. Un’utopia di società ideale-).
Lo stesso Maio si definisce sempre più precisamente, fino all’epilogo della vicenda. Le uniche che sfuggono a una descrizione fisica precisa sono Antonia e Alma, le due voci narranti che si alternano nella ricostruzione dei fatti, in una continua altalena tra quel che è stato e quel che forse è: non si riesce a visualizzarle, di loro si sa quel che fanno, cosa pensano, come vivono, ma poco si intuisce delle loro fattezze fisiche (solo di Antonia si sa che ha una pancia prominente, essendo prossima al parto), sono soprattutto entità emozionali.
Lo stile della Bignardi è pacato, misurato e tuttavia capace di prendere il lettore in modo sempre più appassionato; il racconto procede senza scossoni, senza evidenti colpi di scena, eppure da un certo momento in avanti e fino alla fine, non riesci a staccartene.
Mi sembra anche questa una bella prova narrativa, la quarta dopo il libro di memorie “Non vi lascerò orfani”, una specie di lessico famigliare alla Ginzburg, “Un karma pesante” e "L'acustica perfetta", in corso di traduzione in nove Paesi, tutti editi da Mondadori.
Insomma, leggetelo.
Non va bene come conclusione? Io dico di sì: leggetelo.

martedì 30 dicembre 2014

Un anno di letture: bilanci e impressioni


Alla fine di questo 2014 intenso di incontri e letture, faccio il mio solito bilancio, concedendomi un’appendice di osservazioni su alcuni libri che ho letto ma non recensito nel blog per svariate ragioni, non ultima spesso la mancanza di tempo. Di altri, perchè mi sono piaciuti davvero tanto, torno a parlare.
Intanto un po’ di numeri: 81 libri letti (dieci in più dello scorso anno), di cui 29 in e-book. Non che l’e-book non mi piaccia, ma è una scelta che faccio spesso per questioni puramente economiche (denaro e spazio), seconda rispetto al cartaceo: ho la preoccupante tendenza al piacere del possesso dell’oggetto libro, non vedo altre spiegazioni, data invece l’evidente praticità del portarsi in borsa un’intera libreria archiviata nell’e-reader.
L'autore che ho più letto è Marco Vichi (6 romanzi), seguito da Andrea Camilleri (5). L’editore più rappresentato nella mia libreria del 2014 (ma sempre, credo di poter dire con una certa sicurezza, anche scorrendo le liste dei libri letti negli anni passati) è Sellerio (16), seguito da Einaudi (10), Guanda (9) e Feltrinelli (7). Insieme a questi e ad altri editori grossi come Adelphi, Rizzoli, Bompiani e Mondadori mi piace aver letto anche libri editi in realtà più di nicchia, ma che prepotentemente si stanno facendo notare nel panorama editoriale italiano: quindi nel mio elenco troviamo titoli editi da Il notes magico, da Fazi, da Minimum Fax, da e/o e da altre case editrici piccole e coraggiose come Ponte alle Grazie, Laurana, EDT.
Ho abbandonato al loro destino solo due titoli, incapace di proseguire una lettura a volte irritante e a volte noiosa, confusa e inconcludente: ogni libro è una sfida, se non mi piace immediatamente, cerco di capire perché, magari riuscendo a superare quel momento di impasse in cui ci si chiede se continuare o meno e spesso riuscendo a ricredermi di un giudizio impulsivo.  Quando proprio non ce l’ho fatta a proseguire in quella che mi sembrava una tortura, forte anche del mai troppo citato articolo 3 del decalogo di Pennac (il diritto di non finire un libro), ho tentato anche di spiegare il mio abbandono ad altri, cercando sempre di argomentare al meglio le mie opinioni: è una pratica buona e giusta, perché quando spendi del denaro in un libro, hai il diritto di esternare le tue opinioni in merito, qualunque esse siano. Il problema è che puoi incorrere nell’ira funesta di qualche autore e dei suoi partigiani sui social network, il che è alquanto seccante. Come se non ci fosse la minima possibilità qualche volta di esercitare un po’ di autocritica e di mettersi dalla parte del lettore (pagante), che ha i suoi gusti rispettabili.

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Di tutto quello che ho letto quest’anno (15.465 pagine), mi soffermo su qualche titolo:

L’amore bugiardo di Gillian Flynn: pubblicato nel 2012, in Italia da Rizzoli l’anno successivo, l’ho scoperto casualmente grazie a un suggerimento social del giornalista Giuseppe Di Piazza. 462 divorate in brevissimo tempo, una storia coinvolgente, dai forti risvolti psicologici che offrono motivi di riflessione su come siamo, come decidiamo di essere e come ci vedono le persone che abbiamo più vicine: non mi soffermo sulla trama, di cui ho già detto e che è largamente nota in virtù del film appena uscito anche in Italia. Un peccato per chi pensa che basti il film: a mio parere, per quanto ben realizzato, vale sempre la pena leggere il romanzo da cui è tratto, si può avere una visione più organica e profonda della vicenda narrata, oltre che godere dello stile della Flynn, imperdibile. Di lei mi aspetta un altro titolo, “Nei luoghi oscuri” del 2009.
La miscela segreta di casa Olivares di Giuseppina Torregrossa: edito quest’anno da Mondadori, è l’affascinante storia di Genziana, figlia di Roberto Olivares, titolare di una nota torrefazione di Palermo (nota non solo nella finzione, in cui assume il nome di Olivares appunto, ma perché facilmente riconoscibile anche nella realtà, per chi conosce la città e Discesa dei Giudici). Genziana, che è solo una ragazza, si ritrova durante la seconda guerra mondiale, in una Palermo martoriata dalle bombe, a prendere le redini dell’attività rimasta senza guida. La miscela perfetta, frutto di esperimenti e tentativi, segreto custodito gelosamente dal padre Roberto, sarà la sintesi perfetta della vita della giovane donna, che nella sua torrefazione vedrà passare le sue passioni e la storia della sua città.
Stoner di John Williams, uno dei colpi messi a punto da Fazi nel 2012. Il libro è stato scritto nel 1965 e, come il suo autore, è rimasto sconosciuto in Italia finché non è stato scoperto da questo editore specializzato soprattutto in narrativa straniera. La fortuna di “Stoner” per alcuni è inspiegabile: quello che so per esperienza diretta -e che ho potuto costatare anche indirettamente, avendone molto consigliata la lettura, prestandolo e regalandolo- è che questo romanzo, pur raccontando la storia di un uomo comune che si fa da sé, con la sola forza della sua volontà, fa dell’eccezionalità di una vita qualunque la sua ossimorica cifra caratteristica. A William Stoner, cui molto assomiglia il suo creatore, ci si affeziona, si partecipa con sofferenza e passione alle sue vicende personali, di studio e lavorative, nonché di amore. Stoner è un personaggio che entra dentro e per un bel pezzo accompagna il lettore, difficile da farsi scalzare da altre storie e da altri protagonisti. Non so dire come sia nato il fenomeno Stoner, ma so per certo che a ragione è un fenomeno. Mi è piaciuto così tanto che questo l'ho recensito e ancora ne parlo.
La famiglia Tortilla di Marco Malvaldi, edizioni EDT: un e-book veloce, a metà strada tra la guida turistica che non vuole essere e il racconto di viaggio di una giovane coppia con figlioletto al seguito (i veri Marco,  Samantha e il piccolo Leonardo). Un percorso turistico-gastronomico che si dipana per le strade di Barcellona, città che Malvaldi conosce bene, alla scoperta di locali, cibi e strategie per viaggiare con un bimbo che è ancora troppo piccolo per mangiare la paella catalana (da non confondere con quella di Valencia, da cui proviene senza ombra di dubbio la ricetta originale) o l’ esqueixada de bacalà (un’insalata di baccalà). Malvaldi mi diverte sempre, qui si misura con le tradizioni gastronomiche di un paese, svelando competenza e passione per il cibo da vero buongustaio, sempre con il suo irresistibile tono spiritoso ed è stato un’autentica scoperta.
L’amica geniale di Elena Ferrante, edizioni e/o. Di Elena Ferrante si dice tanto, si dice troppo: dietro questo pseudonimo si nasconde non si sa chi, forse uno scrittore uomo. Non mi interessa tanto questa questione, anzi, non devo pensarci molto perché un po’ mi infastidisce, non credo abbia senso nascondersi dietro un nome fittizio, celare la propria identità mi sembra un’azione insincera che viola il patto tra scrittore e lettore (tu scrittore non sai chi sono io lettore, ma io lettore voglio sapere chi mi sta raccontando, affascinando, appassionando, illudendo, irritando, infastidendo…). Ho conosciuto Elena Ferrante grazie al suo “L’amore molesto” e poi “I giorni dell’abbandono”, storie intense e indimenticabili (lo so, sono a corto di aggettivi, ma questi rappresentano al meglio ciò che penso); per un po’ di anni sono rimasta inspiegabilmente indifferente alle sue uscite editoriali, fino all’esplosione della quadrilogia del “L’amica geniale”, la storia di un’amicizia speciale tra due ragazzine, poi donne, nella Napoli degli anni Cinquanta. Mi è piaciuto moltissimo questo primo volume, ho anche gli altri e presto li leggerò. la scrittura di Ferrante è coinvolgente, i personaggi sembra di vederli.  
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Pornoromantica (che il correttore automatico vorrebbe convertire in ‘protoromantica’) di Carolina Cutolo: un e-book del 2014 della Fandango Libri che mi ha fatto ridere alle lacrime. A una giovane sociologa, Caterina Cicutto, viene commissionata la scrittura di un corso di sesso e amore per corrispondenza, un ciclo di dispense “farcite di luoghi comuni new age e spolverate da astrazioni speziate scarsamente compatibili” con la realtà dei singoli lettori.  Dette dispense affrontano tutti gli aspetti della vita sessuale teorizzata sulla base della vita vera di Caterina e poi messa in pratica dai lettori attraverso una serie di ‘esercizi’ (per vedere se le cose vanno come devono andare, cioè come si dice nella teoria appunto). Il sesso viene qui raccontato senza alcuna remora di tipo lessicale e sostanziale,  tutte le pratiche tra erotismo e pornografia (che non è mai tale dove ci sia una sana voglia) vengono descritte minuziosamente per preparare il corsista (e soprattutto la corsista) ad un sano e pieno godimento dell’altro: se vi aspettate un manuale sul sesso però, scordatevelo. Abbandonatevi invece all’idea di capire qualcosa di più dell’esperienza globale, facendovi un bel po’ di risate.





venerdì 26 dicembre 2014

SapereSapori: Regalo di Natale



Le pittule, ce suntu me sai dire?
Nu picca de farina a mmenzu all'oiu.
Ma lu Natale nu se po' sentire se mancane le pittule, lu meiu!

Osservava l’impasto appiattito sul fondo della coppa. Si sarebbe dovuto alzare quasi fino all’orlo, pieno di bollicine, risultato della fermentazione della pasta.
Qualcosa era andato storto, non era possibile un disastro del genere, erano le otto e mezza di sera, impossibile rimediare in alcun modo; non ci sarebbe stato il tempo per fare un nuovo impasto con il lievito di birra liofilizzato, che per emergenza teneva sempre in casa “non sia mai il lievito madre dovesse morire di stenti nel frigo”.
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Si doveva far nascere Gesù Bambino nel presepe, i tempi erano da sempre sincronizzati alla perfezione, nulla era lasciato al caso, le tradizioni sono tradizioni. Poi si sarebbe messa ai fornelli, felice che i ragazzi le girassero intorno con aria disinvolta e furtivamente si servissero dal vassoio, per poi nascondere in bocca le palline roventi di pasta lievitata fritta, diventando rossi e soffiandosi dentro…

Fin da bambina aveva guardato  attentamente la madre mentre sbatteva energicamente l’impasto molle, seguendo tutte le fasi della preparazione delle pettole (al paese di mamma, in mezzo alla Puglia preciso, ché invece in Salento sono pittule con la e che chiude in i e la o che diventa u) e assistendo alla magia di quella massa di farina, acqua e lievito che si sarebbe gonfiata e trasformata in palline dorate, nell’olio bollente.
Era la cena della Vigilia, come se ne poteva fare a meno? Bisognava che imparasse a farle: una volta che avesse avuto la sua casa adulta, avrebbe dovuto friggerle per suo marito e i suoi bambini, bisognava proprio che stesse attenta alla consistenza dell’impasto, alla forza che sua madre metteva nella lavorazione, il composto doveva incorporare aria e gonfiare alla perfezione mentre lievitava.

E adesso? Sembrava che l’impasto fatto la mattina prestissimo con il lievito di madre, unica deroga al procedimento consueto di sua madre che invece utilizzava il panetto di lievito di birra comprato al supermercato, non si fosse mosso da come lo aveva messo sul fondo della coppa, si era solo allargato sulla superficie piatta.
L’essere una buona massaia, oltre che una donna impegnata e realizzata nel lavoro fuori casa, prevedeva levatacce nei giorni festivi, che consentissero di farsi trovare all’opera in cucina al risveglio del resto della famiglia: la ricerca della perfezione quasi, la prova che se si vuole si può e lei voleva e poteva, non c’erano scuse, non c’erano per nessuna Donna, lei ne era la dimostrazione vivente.

Era un presagio, un segno.

Era l’inizio del crollo, era tutto ciò che fino a quel momento non avrebbe voluto, era quello che non era previsto nella sua vita di signora Perfettini, era l’inizio delle recriminazioni che di lì a poco, in quella lunga notte di Vigilia, ci sarebbero state.
Era il principio di una presa di coscienza, era la consapevolezza che nulla si costruisce senza che anche gli altri lo vogliano davvero, e gli altri non avrebbero voluto tutta quella montatura, quell’insieme di riti che a lei sembravano irrinunciabili altrimenti non era Natale, tanto per dirne una e per tacere del resto.
Era quello che sarebbe successo, la fine di tutto.
Era la decisione di rinunciare finalmente ai vincoli che da sola si era imposta, le abitudini che la rendevano riconoscibile a se stessa e agli altri.
Era il rendersi conto che la riproduzione di modelli amati da ragazzini non corrisponde al vero, che spesso imitare la vita dei propri genitori, quando considerata migliore della nostra, non dà quasi mai l’effetto sperato, inseguito.
Era l’accorgersi che era tutto farlocco, era tutto finto, era una galera di consuetudini istituite che ora esigevano di essere sciolte.
Era la rivolta dell’impasto delle pittule.
Era la liberazione.

Era stato un presagio, un segno.

domenica 14 dicembre 2014

#PiùLibriPiùLiberi2014: il mio bottino alla Fiera di Roma

Dopo aver sfoggiato nei principali social network i miei acquisti a Più Libri Più Liberi, sotto forma di fotografia, mi sembra giusto spendere due parole per passare in rassegna quello che ho portato a casa.
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In passato ero stata solo una volta alla Fiera della piccola e media editoria, che annualmente si tiene ai primi di dicembre al Palazzo dei Congressi dell’EUR a Roma ed era stata una visita alquanto frettolosa, anche se proficua dal punto di vista degli acquisti.

C’è che in un posto del genere hai modo di scoprire autori e editori che non hanno una distribuzione capillare, specie nei megastore di libri, dove trovi il bestseller del momento, ma l’autore di nicchia devi chiedere al commesso dove sta nascosto e il più delle volte lo devi ordinare. Quindi per i lettori particolarmente esigenti, sempre alla ricerca del libro speciale, Più Libri Più Liberi è una specie di Paese delle Meraviglie: ti costringe a tour de force davvero stancanti, ma si torna a casa con un pieno di storie, incontri, colori, volti, sorrisi e parole che può farti da scorta almeno fino all’appuntamento culto con il Salone del Libro di Torino.

Come la mia amica Simona Scravaglieri del blog [...] Non domandarci la formula che mondi possa aprirti [...] , illustrerò i libri che ho acquistato seguendo il criterio della casa editrice, perché principalmente gli editori sono al centro di questo evento, che per cinque giorni all’anno fa da calamita irresistibile per gli amanti della lettura.

edizioni e/o: è stato il primo stand visitato, dove sono andata a colpo sicuro per acquistare i romanzi di Piergiorgio Pulixi. Il protagonista di molte storie di Pulixi, giovane scrittore uscito dal collettivo di scrittura Sabot di Massimo Carlotto, è Biagio Mazzeo, un ispettore di polizia sui generis, che ho imparato a conoscere attraverso i brevi racconti pubblicati su Svolgimento (qui un esempio). Da queste brevi letture alla curiosità di saperne di più il passo è stato breve.
“Una brutta storia” (2012) e “La notte delle pantere” (2014) sono le due storie che vedono al centro le (dis)avventure di questo poliziotto corrotto, che coordina una squadra di uomini che si muovono ai limiti della legge: spero di poterne parlare più diffusamente al più presto. L’ultima fatica di Pulixi,“L’appuntamento” (2014), almeno ad una veloce occhiata, sembra uscire dai percorsi già battuti dall’autore: le pagine sono fitte di dialoghi, dalla quarta di copertina capisco che siamo di fronte ad un noir psicologico di sicuro impatto emotivo, data la tematica (perversione umana, ossessione per il controllo della vita altrui, pericolo per la privacy nell’era dei mondi virtuali). Sarà una lettura intrigante, ne sono sicura.

:duepuntiedizioni: dieci anni di attività per questa giovane e dinamica casa editrice palermitana, i cui fondatori si definiscono "editori di contenuti", animata dalla voglia di accendere il desiderio di lettura. Da loro ho comprato tre piccoli volumi della collana zoo: “Discorso fatto agli uomini dalla specie impermanente dei cammelli polari” di Giuseppe Genna (2010), “Tutti i ragni” di Vanni Santoni (2012) e “La stanza degli animali” di Giulio Mozzi (2010). Le copertine di questi libretti sono stampati su Ecomaximus Elephant Dung Paper, carta 100% riciclata e fatta a mano da escrementi di elefante (come si legge all’interno del volume e come mi è stato spiegato allo stand E-20 ): ora, se è vero che dal letame nascono i fior, come cantava Fabrizio De Andrè, mi aspetto che queste copertine racchiudano fior di libri. Ve lo farò sapere.

edizionispartaco: qui ci sono arrivata grazie a Simona e Irene Daino (AKA Nereia) di Librangoloacuto, che già conoscevano questa casa editrice dallo scorso anno. Entrambe hanno letto “The white family” di Maggie Gee e quest’anno hanno acquistato gli altri due volumi della trilogia di questa scrittrice inglese che, confesso, non avevo mai sentito nominare pur essendo lei niente meno che Officer of the Most Excellent Order of the British Empire (OBE). Mi sono fidata dei commenti entusiastici delle mie amiche bloggers, anche in questo caso spero presto di farvi sapere le mie impressioni.
 

exorma: qui mi sono fatta conquistare da un titolo di Massimo Roscia, “La strage dei congiuntivi” (2014), un romanzo contro la non-lingua (si può dire “efficientare”, “promozionare”, “situazionare”? Proprio no!) che sarà oggetto di una delle #letturecondivise che faremo su Twitter con Simona e Irene (e chiunque vorrà seguirci, ovviamente). Pensiamo di lanciare l’hashtag #SeIoSarei (che poi è la scritta sul tesserino con la quale l’Autore si è presentato in Fiera) con l’inizio del nuovo anno, quindi aspettateci.

Gorilla Sapiens: carini e giovani, questi editori! Di Carlo Sperduti ho comprato “Un tebbirile intanchesimo e altri rattonchi” (sì, perché, se non si fosse capito, “basta una srafe sbataglia per scioreglie l’intanchesimno e tornare alla vita di giutti i torni” –dalla quarta di copertina-). Si tratta di una breve raccolta di racconti scritti tra il 2010 e il 2013, anno di pubblicazione del volume, riuniti senza un particolare criterio: alcuni testi sono legati a situazioni e progetti particolari, altri “sono venuti fuori senza che nessuno me lo avesse chiesto”, come dice l’Autore. Ovviamente l’acquisto, impulsivo, è stato determinato dal fascino che spesso i titoli esercitano sulla mia curiosità…

Avagliano Editore: qui mi ha trascinato Simona. “Salva un libro dal macero” campeggiava sopra una scatola da dove si poteva pescare alla ricerca di titoli ormai fuori catalogo, destinati alla distruzione: “Biografia di un delitto” di Giuseppe Bottura (2007) l’ho salvato perché mi piacciono i gialli e questo addirittura è ‘insolito’, come si legge nella quarta di copertina, quindi mi aspetto una buona lettura. Il secondo titolo acquistato, anche questo per soli 2 euro, è “La guerra sotto gli occhi” di Manuela Dviri (2003), scrittrice e giornalista della quale ho imparato ad apprezzare le cronache dal conflitto tra Israele e Palestina, dalle pagine di Vanity Fair Italia, con cui collabora.  

edizioni creativa e DISSENSI EDIZIONI: metto insieme questi due editori, ospitati in uno stand dove ho trovato molti titoli dedicati alla scuola. Qui ho acquistato “La scuola bocciata” di Tommaso Travaglino (DISSENSI, 2014) ‘viaggio nel lucido delirio della scuola italiana’ e “La scuola ingiusta” di Simonetta Fontana (edizioni creative, 2014): le politiche scolastiche degli ultimi anni -e di quest’anno in particolare- impongono una riflessione che vada al di là dei proclami governativi e ministeriali, quindi spero che anche questi due volumi, insieme ad altri che sto leggendo, mi aiutino a capire dove sta andando il nostro sistema educativo.