Come quando ti tagli le unghie cortissime. Perché si è
spezzata quella del pollice e allora devi per forza accorciarla e poi, non si
capisce come, si spezza anche quella dell’indice e neanche fosse un’epidemia,
ti sembra che tutte siano lunghe in modo irregolare, antiestetico. Provi a
togliere lo smalto con il solvente, pensi che magari te le puoi limare,
portarle tutte alla stessa lunghezza, non troppo né poco, una cosa giusta,
sobria. E magari provare a mettere lo smalto color avorio, quello per la french,
che poi sembra che hai su quello trasparente, fa molto fine. Poi, mentre sei lì
a passare la lima di cartone, quella con la carta vetro, sottile da un lato e
sottilissima dall’altro, decidi di ricominciare da zero, prendi il tronchesino
e tagli le unghie dritte, come se le tue fossero mani di uomo. Perché pensi che
così puoi cominciare dal nuovo, da zero appunto, come se non fossero mai state
rosse ad adornare, in perfetti ovali, le punte delle tue dita.
Come quando decidi che vuoi cambiare tutto e cominci col
fare ordine in quel cassetto dove per anni hai ficcato tutto quello che non
trovava posto altrove, tutto quello che non aveva proprio per niente un posto:
non avevi previsto che per le pile, i lacci per le scarpe, gli elastici, le
ricevute, i santini che hai preso in chiesa, i pacchetti di chewingum
cominciati, le matite spuntate, le biro consumate, che non vuoi buttare perché
ti piacciono e poi non sai dove differenziarle perché sono fatte di plastica ma
anche di metallo, ci dovesse essere un posto preciso. E così hai buttato tutto
lì, in quel cassetto, che ora pretendi di svuotare per fare pulizia e per
scoprire che il tempo non ti basta e così rimetti tutto dentro e chi s’è visto,
s’è visto, sarà per un’altra volta.
Come quando scorri la rubrica dei contatti sul tuo cellulare
e sai che molti di quei nomi ormai è inutile tenerli in memoria, ché è solo una
memoria virtuale, mentre la tua, quella vera, non conserva altro che immagini
sbiadite, discorsi lisi, risate consumate e soprattutto ormai inutili. E allora
pensi che puoi cominciare da lì, che forse devi cancellare qualcuno di quei
nomi, che forse tra quelli c’è chi lo ha già fatto con il tuo e cancellandoti
il nome ti ha eliminato dalla sua vita e tu non lo sai. Quindi è una prova di
forza, pensi che non sia necessario portarsi sempre dietro un fardello di
passato, che i tuoi ricordi non servono più, non sono nemmeno tanto vividi
ormai, a che ti servono?
Insomma, è come quando decidi che, arrivata a un certo
punto, devi riprenderti la vita, devi cambiare registro e voltare pagina,
tirare un’altra volta il dado e vedere cosa esce. Ma poi, come quando è
Capodanno e vuoi buttare le cose vecchie e ti metti le mutande rosse ché porta
bene e indossi qualcosa di nuovo, ti accorgi che, passato appena un po’ di
tempo, quello che serve per abituarsi, il nuovo è già vecchio e di quello che
hai cominciato, è già ora di sbarazzarsi.
NB.
Questo racconto è apparso già nel blog di Saverio Simonelli Inoltre: grazie
a Saverio per la squisita ospitalità.
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