venerdì 3 luglio 2015

Ultima lettura: (alcune) Scritture animali (Giulio Mozzi, Giuseppe Genna, Vanni Santoni)


Della collana Zoo di :duepunti edizioni ho già detto qui, in occasione della Fiera della piccola e media editoria PiùLibriPiùLiberi2014 di Roma del dicembre scorso. È arrivato il momento di scrivere degli autori che ho incontrato tra le pagine ecologiche di questa giovane e coraggiosa casa editrice palermitana.

La stanza degli animali

Autore: Mozzi Giulio
Dati: 2010, 62 p., brossura
Editore: :duepunti edizioni (collana Zoo)

Non ce ne facciamo niente di tutto questo.
Non era meglio dimenticare?

Banalizzo, se cerco di raccontare cosa c’è in “La stanza degli animali” di Giulio Mozzi.
Photo HelenTambo on Instagram
Una trama fatta di pochi ingredienti: una casa che si chiude e si mette in vendita, la morte violenta di una madre per mano di un padre ora in carcere, il tutto quando ormai la vita sembra essere accomodata in una tranquilla vecchiaia, fatta di consuetudini. In mezzo, i ricordi di un figlio, che si disfano come gli animali conservati sotto formalina della strana collezione paterna, intrisa di odore di morte e disinfettante. E questo odore mortifero per anni, sempre più intensamente, ha avvolto la vita degli abitanti della casa, divenendo tutt’uno con i muri, la mobilia, i gesti, le parole.
elementi essenziali e un po’ macabri, Giulio Mozzi fa un piccolo gioiello. Un recitativo apre a un prosimetro in cui si alternano sequenze di versi liberi a brevi componimenti strutturati più rigidamente sul piano metrico e retorico, a brani narrativi di puro racconto, con una gestione dello spazio grafico originale, con interruzioni di righe e a capo repentini.
Giulio Mozzi non scrive solo parole: dà immagine alle parole che quindi non si susseguono in serie di grafemi, ma fanno vedere altro, oltre.
Suggestivo, questo libretto.

Discorso fatto agli uomini dalla specie impermanente dei cammelli polari

Autore: Genna Giuseppe
Dati: 2010, 61 p., brossura
Editore: :duepunti edizioni (collana Zoo)

I Cammelli Polari si direbbero angeli,
se lo fossero.

Photo HelenTambo on Instagram
I Cammelli Polari: qualcuno li ha visti, ma non lo dice. Sembrano pattinare sul ghiaccio del Polo, eppure ondeggiano come anche i cammelli del deserto, ché tanto è lo stesso, si muore di sete anche al Polo, dove l’acqua è ghiaccio. Però sono più eleganti dei loro simili che si possono osservare tra le steppe dell’Anatolia. Sanno parlare, anzi per la precisione sussurrano, quindi ci vogliono orecchie che possano sentirli e che soprattutto vogliano sentirli. Appaiono e scompaiono, possono anche essere ubiqui, insomma lapalissianamente si potrebbero dire angeli, se fossero angeli. Se nessuno ne ha mai parlato finora è perché non ha voluto farlo e questo è grave, dai Cammelli Polari si possono trarre un po’ di insegnamenti, o almeno la possibilità di soffermarsi su ciò che noi umani siamo, senza saperlo. Perché loro lo sanno bene invece, ci osservano da sempre. E non pensiate che siano fantasie, queste: ne ha parlato prima di tutti Duarte Lopes nel suo trattato “Relazione del regno di Congo”, come puntualmente riporta Giuseppe Genna in una nota esplicativa, a proposito della disposizione con la quale si devono ascoltare le parole non pronunciate ma appena sussurrate dai Cammelli Polari.
E cosa sussurrano i Cammelli Polari agli ‘uomini privi di potere ovvero no’? Da loro sappiamo del ‘petroso rovinare del tempo’, in cui la lingua fa sì che lo spazio si tramuti in cronologia. E quello stesso tempo per loro non ha importanza, loro non ci pensano, soprattutto non pensano a quando finirà, come invece facciamo noi umani. Nessuna tempesta li infastidisce, loro sono fatti dello spazio che c’è tra un’idea e l’altra, non sono materia corruttibile come noi, pur non essendo eterni. Quindi il tempo esiste anche per loro e trascorre anche per loro. Ma l’indifferenza con la quale passano e osservano senza provare moti particolari dell’animo, li rende distaccati dalle miserie che invece caratterizzano la vita nostra, di noi umani imprigionati in un carcere in cui volutamente ci siamo infilati e da cui guardiamo la realtà attraverso lenti affumicate che molto nascondano alla nostra vista.
Ricco di teorie affascinanti, questo libretto.

Tutti i ragni

Autore: Santoni Vanni
Dati: 2012, 62 p., brossura
Editore: :duepunti edizioni (collana Zoo)

La tela nobilita il ragno.

Questa è la storia di un bambino, poi ragazzino, poi giovane uomo, poi adulto alle prese con la sua passione/fobia per i ragni.
Photo HelenTambo on Instagram
In realtà i ragni, tutti i ragni della vita della voce narrante, sembrano quasi un pretesto per raccontarsi; infatti la narrazione si snoda attraverso il ricordo degli incontri più o meno fortuiti, ovvero più o meno cercati, con le specie più diverse di aracnidi, ma è anche la ricostruzione di ciò che una certa generazione, quella nata più o meno alle soglie degli anni Ottanta dello scorso secolo (fa un po’ effetto dirlo così, eh?), è stata. Quindi sono i ragazzini che ancora giocavano all’aperto, con gli amici che conoscevano sul luogo di vacanza -amicizie destinate a durare lo spazio di una stagione ma non per questo meno importanti di quelle in città, con i compagni di scuola-, sono i ragazzini dei Transformers e dell’Amiga, delle Micromachines e delle Hot Wheels, dei cartoni animati giapponesi, degli Iron Maiden e di Bon Jovi versus Francesco Salvi di "C'è da spostare una macchina"  e il Jovanotti di  "Ciao mamma". Sono gli adolescenti di King of Dragons e di Doom, i videogiochi dove andarsi a cercare i ragni anche virtuali, pur consapevoli della propria aracnofobia (anzi, proprio per quello, spesso infatti cerchiamo ciò che temiamo).
Sono i giovani universitari che scoprono i fumetti giapponesi (dopo i cartoni animati dell’infanzia), sono i giovani che viaggiano dove devono viaggiare.
I ragni in tutto questo ci sono sempre.
Questo libretto mi ha fatto sorridere e mi ha dato tenerezza.

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