venerdì 10 luglio 2015

Ultima lettura: "Bestiario" di Julio Cortázar


Bestiario

Autore: Cortázar Julio
Traduzione: Nicoletti Rossini M e Martinetto V.
Dati: 1974 e 1996, ed. originale 1951
Editore: Einaudi (collana ET)

Stavamo bene,
e a poco a poco cominciavamo a non pensare.
Si può vivere senza pensare.

C’è stato un periodo della mia vita in cui, con molto impegno, mi sono dedicata alla letteratura sudamericana e quindi in maniera intensa ho letto Amado, Garcia Márquez, Allende, come se tutto fosse una rivelazione, i mondi sospesi e un po’ magici, misteriosi, lo stile fantastico, i vivi che convivono con i morti mai davvero morti, i paesaggi allucinati e afosi di umidità appiccicaticcia, zucchero di canna e melassa densa, latte di cocco e polpa soda nella carne delle donne, decise, forti e irremovibili. Questo succedeva molti anni fa e probabilmente anche perché in quel momento quegli autori andavano molto di moda (sarebbero arrivati anche Coelho e Sepúlveda, senza toccarmi però).
Pensavo, nella mia somma ignoranza, che fosse tutto lì, che potesse bastare per avere la padronanza di quel mondo lontano non solo nel tempo e nello spazio. Non conoscevo gli autori che sto leggendo adesso, Cortázar e Borges, e altri che leggerò.
Photo HelenTambo on Instagram
Sono passata ad altro, agli statunitensi, a Minot, Carver, Leavitt… anche lì grande indigestione e poi lo stop fino ai giorni attuali, a Fante, McCarthy e Wallace e a quelli che verranno, magari in un futuro non troppo lontano.
Questo per dire che spesso siamo vittime di infatuazioni che ci fanno fare il pieno di un certo stile, di un certo modo di vedere e raccontare la realtà, tanto da non farci poi vedere altro. Fortuna che il tempo è signore e che offre la possibilità di ritorni di fiamma e nuove scoperte.
Così adesso ho conosciuto Julio Cortázar, su indicazione di un gruppo di lettura attivo su Facebook, che mi sta conducendo verso strade di lettura che non avevo mai sospettato di poter un giorno percorrere.
“Bestiario” è una raccolta di otto racconti, pubblicati per la prima volta nel 1951 (in Italia arriverà solo nel 1974 nella collana Nuovi coralli di Einaudi), di bellezza diseguale: si può affermare, credo, che ciascuno di essi può suggerire sensazioni diverse a ciascun lettore che sarà particolarmente reattivo verso un racconto più che verso un altro, fino a contemplare la possibilità che alcuni possano non piacere per niente. Ciò che accomuna tutte le storie è il particolare intorno al quale si condensa tutto un racconto e sarà quel particolare a fare la differenza, a colpire o a lasciare indifferente il lettore, capace di una sua personale classifica di gradimento.
Personalmente ad esempio ho trovato particolarmente belli i racconti “Casa occupata”, “Lettera a una signorina a Parigi” e “Circe”, tutti accomunati dal sentimento del disagio, della paura di vivere e della precarietà dell’esistenza. Nel primo racconto, un fratello –voce narrante- e una sorella consumano solitudine e comuni consuetudini in una casa che progressivamente, stanza dopo stanza, è invasa da creature misteriose che si appropriano degli spazi vitali, fino a costringerli ad abbandonarli e quindi alla resa. L’ho vista come un’attualissima (lo avrebbe mai potuto immaginare l’Autore quando scriveva, sessanta anni fa?) metafora dell’esistenza umana, sempre più compressa e costretta dalle violazioni e dalle prepotenze esterne che arrivano a impadronirsi di spazi e pensieri, contro le resistenze passive (come dire: non abbiate paura, reagite alle invasioni, altrimenti dovrete abbandonare il campo al nemico).
Di “Lettera a una signorina a Parigi” mi hanno appassionato i coniglietti che l’autore di questa lunga lettera ad Andrée (della quale per un certo periodo occupa l’appartamento finché questa si trova a Parigi) vomita periodicamente e, da un certo momento in poi, più frequentemente. Ma cosa significa che ‘vomita coniglietti’? Significa che improvvisamente, nel bel mezzo di una qualunque attività, di tanto in tanto un coniglietto gli sale su per la gola e, aiutato da due dita che opportunamente egli si infila in bocca, spunta all’esterno e “sembra contento, è un coniglietto normale e perfetto, soltanto molto piccolo”. Non è facile convivere con questo problema, ma l’uomo ritiene che non sia “una buona ragione per vergognarsi e restare isolato e continuare a tacere”; così basta seminare del trifoglio in un vaso sul balcone e lasciare che i coniglietti crescano felici, per quanto nel momento in cui gli episodi si intensificano, per di più in concomitanza con un trasloco, presenti innegabili difficoltà. È evidente che anche qui il senso va oltre, è un’onda surrealista che travalica l’immaginazione, l’allegoria di un disagio complesso che può trovare sollievo solo in modo drastico e definitivo, l’unico dato realistico di questa storia, la morte.
Anche “Circe” mi ha conquistato: vi ho rintracciato alcune atmosfere che già avevo trovato in “La casa degli spiriti” di Isabel Allende (romanzo che ovviamente arriva molto dopo il “Bestiario” di Cortázar, trenta anni dopo per la precisione), nelle pagine iniziali dedicate alla morte per avvelenamento della bellissima Rosa del Valle, fidanzata del protagonista Esteban Trueba. Nulla accomuna le due storie, ma sarà forse l’aria appestata che si respira, nonostante Delia, la protagonista di “Circe”, sia sempre impegnata nella preparazione di profumati pasticcini che a volte hanno il retrogusto salato delle lacrime, a suggerire le medesime sensazioni di oppressione di quelle prime scene descritte dalla Allende.
Adesso dovrei dire se secondo me questo libro va letto, se lo consiglio, ecc ecc. Quelle cose che fanno i bookblogger seri. Ecco sì, credo che sia un libro da leggere. Non mi viene da dirlo meglio. A questo aggiungo che, come già è successo e succederà, il confronto con altri lettori è uno stimolo importante per potersi avvicinare ad autori che magari non avevamo mai preso in considerazione. Per questo personalmente devo ringraziare Maria Di Biase e il gruppo Scratchbook.

3 commenti:

  1. Io sono stata una di quei pochi del gruppo Scratchbook che hanno abbandonato il libro :D
    Di base non amo i racconti come genere letterario, questo c'è da dirlo, e c'è da dire anche che il surreale mi mette a disagio, ma Bestiario l'ho trovato veramente orrendo e noioso e non mi sono voluta forzare ad andare avanti. Non è questa la mia letteratura!
    Pazienza, sarà per la prossima ;)

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    1. Beh, ognuno si accosta alla letteratura che sente più vicina alle sue corde. Non avrebbe avuto senso sforzarsi di leggere qualcosa che non ti piaceva proprio, solo perché piaceva ad altri. Il mondo è bello perché è vario, sarebbe noioso se tutti la pensassimo allo stesso modo. È una questione di gusti e preferenze, ma da qui a definire "Bestiario" addirittura ''orrendo" mi pare eccessivo. Circolano libri ben più discutibili, a mio parere. E comunque quelle che esprimo in questa nota sulla raccolta di Cortázar sono solo le mie opinioni.

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