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lunedì 23 giugno 2014

Frequentando salotti letterari... "Mai stati meglio" di Lia Celi e Andrea Santangelo


Mai stati meglio. Guarire da ogni malanno con la storia

Autore: Celi Lia, Santangelo Andrea
Dati: 2014, 236 p., brossura
Editore: UTET



A New York è tuttora fatto divieto di sparare a una lepre da un tram in corsa


Chi non ricorda come un incubo lo studio della Storia a scuola? Chi non pensa che il maggior ostacolo alla comprensione dei fatti storici sia l’ossessione per la successione di eventi, scanditi da date da mandare a memoria? Per quanto sia importante insegnare a ricordare alcune date che hanno segnato fatti storici rilevanti, l’approccio alla didattica della Storia si è fatto negli anni diverso, consente una visione più problematica che nozionistica; tuttavia spesso i libri di testo non aiutano. Bisognerebbe aiutare i ragazzi a non provare disgusto per lo studio della Storia, ma ad appassionarsi ed emozionarsi, prendendo in considerazione ad esempio la reattività dell'uomo di fronte alle risorse a sua disposizione e agli eventi della politica, dell'economia e del progresso tecnologico, che tanto sviluppo hanno portato. Un ulteriore passo sarebbe quello di attualizzare la storia dell’uomo, confrontando i vari passaggi epocali con le vicende contemporanee, in modo meno serioso di quanto normalmente si faccia.
Photo HelenTambo on Instagram
Una proposta inaspettata e inedita arriva da Lia Celi e Andrea Santangelo con questo saggio divertente e istruttivo, che invita il lettore a relativizzare i malesseri odierni, di cui tutti ci lamentiamo sia pure in modi diversi, mettendoli a confronto con quanto di peggio ha sopportato l’umanità nelle epoche passate. Insomma, Celi e Santangelo ci propongono di combattere le ansie moderne con un antidepressivo di sicura efficacia: la riflessione storica.
Se diamo uno sguardo rapido al passato dell’uomo, non sarà difficile rendersi conto che quella che viviamo è un’epoca fortunata, ricca di opportunità: affermarlo adesso, in piena crisi economica mondiale, con tutte le ripercussioni che questa ha sulla vita che tutti facciamo, è coraggioso e incoraggiante.
E così in “Mai stati meglio” si passano in rassegna le malattie cardiologiche, quelle digestive, quelle visive, le epidemie, le affezioni del sangue, la traumatologia e la follia, fino ai disturbi della sfera sessuale, tutti curabili ricordando quando, nel corso della storia, si stava davvero peggio
Conclude il volume una bella bibliografia ragionata, che offre suggerimenti utili ad apprezzare la Storia, nella prospettiva medicamentosa che gli Autori propongono nella loro trattazione.
Molti i titoli interessanti indicati, secondo le epoche storiche di riferimento, da Celi e Santangelo, a partire dai classici (Bibbia, Iliade, Odissea, gli storiografi e i tragediografi latini e greci, Giulio Cesare e Cicerone), passando dai moderni antichisti, per arrivare ai romanzi storici. Si prosegue con Dante e Boccaccio, per finire a Guicciardini e Machiavelli, e ancora con i grandi medievisti Bloch e Le Goff e i romanzieri contemporanei che hanno raccontato il Medioevo, Eco e Follett solo per fare due nomi. Per l’epoca moderna gli autori consigliati sono Manzoni e Beccaria e altri che appartengono abbastanza alla tradizione dei consigli –anche scolastici- di lettura e approfondimento. Interessante per i secoli XX e XXI l’indicazione, tra le tante, della graphic novel “Maus” di Art Spiegelman. Mi aspettavo, per la Preistoria, di trovare l’indicazione di uno dei titoli più interessanti che mi sia mai capitato, un libro che consiglio molto, perché divertente, “Il più grande uomo scimmia del Pleistocene" di Roy Lewis, Adelphi, ma è solo per dire che la lettura, anche per diletto, può offrire spunti davvero interessanti e piacevoli per approfondire tematiche, altrimenti destinate a studi scolasticamente strutturati in modo diverso.
Ma la parte più interessante della bibliografia in appendice è la sezione “Per una storioterapia pediatrica”, in cui si suggerisce l’utilizzo della Playstation e dei videogiochi di strategia a tema storico, che possono essere efficaci nell’avvicinare i ragazzi alla Storia, “materia spesso resa arida, anzi desertificata da una didattica senza fantasia”.
Gli autori provengono entrambi da studi classici, ma hanno percorso strade diverse; Lia Celi è diventata giornalista satirica e autrice radiotelevisiva, Andrea Santangelo si è occupato di archeologia, diventando direttore editoriale per riviste settoriali. Si sono ritrovati, abbastanza casualmente a detta loro, per quest’avventura di “Mai stati meglio”, scrivendo a quattro mani un saggio atipico (come da un po’ capita di leggerne), in cui sono riusciti a ottenere un risultato stilisticamente omogeneo, grazie al continuo confronto che ha consentito loro il raggiungimento di una buona armonia tra le parti (“Ci siamo divisi i capitoli. Appena finivamo, lo mandavamo all'altro che ci aggiungeva le sue considerazioni. In pratica Lia rendeva divertenti i miei lavori e io rendevo pallosi i suoi. Così abbiamo raggiunto un buon equilibrio”, Andrea Santangelo nel salotto di libri.tempoxme.it)
Consiglio davvero questa lettura, che mi ha appassionato e divertito, ma potete anche seguire gli ‘sconsigli’ degli autori, che sul sito di Tempoxme ci danno dieci buoni motivi per non leggere “Mai stati meglio”.



mercoledì 2 ottobre 2013

Ultima lettura: "L’amore è tutto: è tutto ciò che so dell’amore" di Michela Marzano


L’amore è tutto: è tutto ciò che so dell’amore

Autore: Marzano Michela
Dati: 2013, 206 p., brossura; 285,6 KB, ePub
Editore: UTET

"L'amore non dà tregua. È esigente.
 E basta un attimo per restare con il guscio vuoto 
di tutto quello che si è perso"

“L’amore è tutto: è tutto ciò che so dell’amore” è il nuovo libro di Michela Marzano, giovane filosofa, direttore del dipartimento di Scienze sociali alla Sorbona, che ha sollevato all’inizio della mia lettura non poche perplessità. Non perché non mi piacesse, ma semplicemente perché mi aspettavo altro. Mi aspettavo il classico saggio sull’amore, probabilmente sulla scorta della fama della Marzano, studiosa della Normale di Pisa, giovanissima affermata docente universitaria, commentatrice de La Repubblica e deputato del PD.
Photo HelenTambo on Instagram
Invece scopro che, rinunciando sempre al tono cattedratico e austero che spesso il saggista assume, già in precedenza l’autrice si era misurata con tematiche complesse come le dinamiche di oppressione femminile e sudditanza al potere maschile (“Sii bella e stai zitta. Perché l'Italia di oggi offende le donne”, Mondadori 2010) o come l’impatto che il consumo della pornografia ha sulle giovani generazioni (“La fine del desiderio”, Mondadori 2012), o ancora come il senso e il valore della fiducia negli altri nella società di oggi (“Avere fiducia. Perché è necessario credere negli altri”, Mondadori 2012). E scopro anche che Michela Marzano non è nuova al raccontarsi. Lo ha fatto anche con “Volevo essere una farfalla” (Mondadori, 2011), dove affronta il tema dell’anoressia mentale, a partire dalla sua esperienza.
A questo punto non è stato difficile comprendere il motivo per cui l’autrice sceglie di parlare d’amore utilizzando la sua storia personale come paradigma e partendo da Emily Dickinson, poetessa statunitense tra i maggiori lirici del XIX secolo, votata ad un amore platonico e infelice che le occuperà tutta la vita, della quale cita “Che l’amore sia tutto quel che c’è”.
Alla mia generazione non sono mancate le letture giovanili sul tema dell’Amore: Erich Fromm con “L’arte di amare” e Alberoni con “Innamoramento e amore” sono stati forse gli autori e le opere più letti e più discussi degli anni Ottanta; inoltre, da altre recenti letture in cui è citato, scopro che un po’ di argomenti di confronto sarebbero derivati anche da quel “Frammenti di un discorso amoroso” di Roland Barthes, che solo adesso mi appresto a leggere, insieme ad ”Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi” di Zygmunt Bauman, tanto per citare un testo più recente, presente nella bibliografia consultata dalla Marzano. E nella bibliografia di “L’amore è tutto: è tutto ciò che so dell’amore” sono presenti titoli di saggistica (i già citati Fromm, Barthes e Bauman , ma anche Marx, Kierkegaard, Nietzsche, Pascal) accanto ad autori di poesia e di narrativa (La Dickinson che ha suggerito il titolo a questo libro, Pavese, Stendhal, Valéry, Buzzati, Carrol), segno che Marzano ha trovato stimoli per la riflessione sul tema sia presso i filosofi che presso gli scrittori, cercando ovunque sostegno alle proprie teorie. Tuttavia Marzano trova che le numerose pubblicazioni filosofiche spesso non soddisfino pienamente l’esigenza di sapere di più dell’amore, che si limitino quasi esclusivamente alle distinzioni tra eros, philia e agape e che non abbiano le parole (o il coraggio) di dire semplicemente “che l’amore è l’unico rischio che vale la pena correre”.
Le sue teorie partono quindi principalmente dalla sua esperienza diretta, che racconta qui senza falsi pudori, aprendosi completamente e sviscerando reazioni, pensieri, dolori.
Ho quindi pensato di partire dalle note al libro che ho evidenziato sul mio ereader e sulle perplessità che mi venivano procedendo nella lettura. Perplessità che avevano origine dalla domanda “ma si può pretendere di parlare dell’amore in senso generico, pensando che la propria esperienza possa essere assunta da tutti come insieme di tratti universali”? e che erano destinate a sciogliersi, conclusa la lettura. Perché in effetti, se si parte da ciò che si sa bene perché si è vissuto, si troverà sempre qualcuno che si riconoscerà in ciò che si racconta.
Così Michela Marzano parte dai sogni di bambina, presto infranti contro il muro delle ferite, delle disillusioni, delle perdite. Procede con l’analisi dei comportamenti che è più facile assumere, coltivando aspettative destinate a restare deluse (”Forse non ci si dovrebbe aspettare proprio niente, visto che le cose più belle accadono sempre all’improvviso”) e recriminazioni che non portano nulla (“Perché lui non c’è. Oppure c’è, ma non ascolta. Oppure ascolta, ma non capisce”: quante donne non l’hanno mai pensato del proprio uomo? Ma “noi donne siamo spesso ridicole. Talvolta patetiche”). Continua, Michela Marzano, con l’esaminare l’immaginario, le lenti deformanti con le quali l’amante vede l’amato, con la paura della perdita che tiene vivo un rapporto (“Ed è proprio quando non si ha più paura di perdere la persona amata, che l’amore si spegne” e forse è vero, ma sarebbe bello poterne discutere: la provocazione, lanciata su Twitter durante la lettura, ha sollevato un piccolo dibattito), con le zone d’ombra che ogni rapporto amoroso porta con sé.
Un aspetto estremamente interessante riguarda il dissenso, la possibilità di riconoscere all’altro il diritto di mandarci a quel paese ogni tanto, perché ciò non toglie nulla all’amore che prova per noi. E ancora quella capacità, credo prettamente femminile, di piegarsi alle esigenze di libertà dell’uomo, di accontentarsi anche delle briciole del tempo che lui può dedicarci (“Lo guardo in silenzio mentre il cuore impazzisce dentro. Un silenzio lungo un’eternità. Prima di dirgli che mi accontento di poco. Che va bene lo stesso. Che sto bene anche da sola.”).
L’autrice passa in rassegna i suoi dubbi, i suoi timori e le sue insicurezze di giovane adulta che si interroga anche sulla maternità, sull’amore di una madre per il proprio figlio, con una domanda ricorrente: “Ma se poi ho un figlio mi devo alzare presto per accompagnarlo a scuola, vero?”, come se non avere voglia di farlo possa diventare motivo di disapprovazione da parte degli altri.
La scrittura di Michela Marzano avanza linearmente, a seguire il flusso delle riflessioni, che si affacciano alla mente conseguentemente l’una all’altra. Torna sui concetti, come se ci ripensasse via via che si presentano nuovi aspetti da sviscerare. E questa giustapposizione di pensieri procede per frasi nominali, brevi e contrapposte come idee puntuali alle quali dare voce immediata, senza studiarne troppo la resa retorica, anzi, senza alcuna retorica, semplicemente mettendosi a nudo e facendosi riconoscere.

lunedì 24 giugno 2013

Per #letturecondivise: "Dono dunque siamo"


Dono, dunque siamo. Otto buone ragioni per credere in una società più solidale

Autore   : AA.VV.
Dati: 2013, 142 p., brossura
Editore: UTET (collana Dialoghi sull'uomo)


"A un uomo la signora regali una gamma di sorrisi,
ma di più sostanzioso nulla, nemmeno se è suo marito"
(Elena Canino, “La vera signora. Guida pratica di belle maniere”, Longanesi 1952)

Simona Scravaglieri (@LeggendoLibri, qui un suo commento) ed io ci siamo recentemente misurate con la lettura contemporanea del saggio “Dono dunque siamo”, edito da Utet, che raccoglie lo spirito degli interventi del festival antropologico Dialoghi sull’Uomo di Pistoia, edizione 2012. Sotto l’hashtag #letturecondivise abbiamo sintetizzato, nei canonici 140 caratteri di Twitter, le parti che dei vari saggi pubblicati ci hanno più colpito, ridisegnandone contorni e stimoli di riflessione; alla discussione (partita l’11 giugno u.s. e che, sintetizzata, si può trovare qui) hanno partecipato @UtetLibri, @DialoghiPistoia, @IsaInghirami, @FramariaTedesco, @LunaOrlandoG, @unblogdiclasse, @lukogene.
Una raccolta di saggi, in realtà, questo “Dono dunque siamo”: e sono saggi accessibili a tutti, caratterizzati da un’argomentazione fluida, facile da seguire, nonostante gli autori siano diversi, tanto che sembra evidente l’intento di uniformità stilistica, con l’obbiettivo comune di raggiungere molti lettori, anche i meno avvezzi alla saggistica. Ulteriore aiuto viene dal tema trattato, quello del dono, e già una scorsa all’indice dà l’idea dei punti fondamentali in cui l’argomento viene sviscerato: dono come nodo, dono come futuro della solidarietà, come  perdono, dono vs obbligo della reciprocità con tutto ciò che ne consegue. Non mancano le curiosità: in particolare il saggio di Stefano Bartezzaghi ci conduce attraverso sonetti monovocalici, incursioni tra Eco e Calvino, filosofia e regole che il bon ton impone(va) in materia di regali, facendo ricorso a Elena Canino, giornalista e scrittrice scoperta da Leo Longanesi, autrice di “La vera signora. Guida pratica di belle maniere” del 1952. Attraverso i contributi di economisti, filosofi, antropologi, psicanalisti (Marco Aime, Zygmunt Bauman, Laura Boella, Salvatore Natoli, Marino Niola e Stefano Zamagni), si scopre il dono come forma di solidarietà, come volontariato e gratuità, come lievito della vita (non solo in senso metaforico, ma anche come base dell’alimentazione, topos ideale del ruolo femminile, da sempre portatore di nutrimento come amore), come punto nevralgico di dinamiche di scambio, come bene economico, come possibilità di remissione, tema mai così attuale come adesso che racchiude l'ansia di rigenerazione e di rinascita spirituale.
Una lettura scorrevole e appassionante, ricca di spunti di pensiero che arricchiscono il lettore: un autentico dono, insomma.