Un libro è sempre la descrizione
di come uno si immagina il mondo
(C. Pavese)
Questo piccolo intervento nasce come risposta alla
‘provocazione’ di
Daniele Bergesio e alla successiva replica di Simona Scravaglieri, che sui loro blog hanno parlato di come hanno imparato a leggere, certo non
intendendo l’acquisizione di una delle quattro abilità di base (insieme a
ascoltare, parlare e scrivere), ma il diventare Lettori con la elle maiuscola,
cioè lettori appassionati e competenti, in una parola, ‘forti’.
La lettura dei loro post ha innescato una serie di ricordi,
che poi sono quelli che sistematicamente mi tornano in mente ogni volta che
cerco di spiegare il motivo di tanta mia passione per i libri e di come fosse
stato facile e naturale diventare una lettrice metodica fin da ragazzina,
mentre oggi i giovani sono tanto restii a prendere in mano un libro e chi di
loro lo fa è quasi considerato una mosca bianca.
Ma provo ad andare con ordine.
1. Prima premessa. Non voglio dire qui quello che dico
sempre (che però credo fermamente) e cioè che ‘ai miei tempi’ i ragazzini non
avevano tutte le distrazioni che hanno quelli di oggi, che spesso non si sapeva
come impiegare il tempo e quindi si leggeva per ammazzare la noia, che in tv
esistevano solo due canali, in bianco e nero per di più, e che i programmi non
iniziavano prima delle quattro del pomeriggio o giù di lì, che non avevamo
tutta questa libertà di uscire da soli, al massimo si giocava in cortile con
gli altri ragazzi del condominio o si andava in parrocchia, non c’erano
Internet, Facebook, i videogiochi ecc ecc.
Fuffa. Non che non sia vero tutto questo, l’ho detto che ci
credo, ma penso anche che non siano questi i soli motivi che mi hanno spinto ad
‘imparare a leggere’ e che allo stesso tempo impediscano i giovani di oggi a
fare lo stesso. Nel mio caso si è trattato di una serie di incontri fortunati,
in famiglia e a scuola.
2. Seconda premessa. Quando ero ragazzina il regalo più
ovvio che potevi ricevere, non appena avevi superato l’età dei giocattoli e non
avevi compiuto ancora quella dei profumi, era un libro. In un periodo in cui
non si era tanto abituati alla soddisfazione di capricci e i regali ti
arrivavano solo alle feste comandate, un libro era un dono abbastanza banale,
ma si accettava con entusiasmo proprio perché le occasioni erano davvero contate
(ora che ci penso una volta i miei zii Mattia e Gregorio, fratelli di mamma, mi
regalarono le famose palline che, attaccate a due tratti di corda legati ad un
anello in plastica che si teneva tra pollice e indice, si facevano sbattere
producendo un rumore infernale, soprattutto perché continuo, e la possibilità
di traumi al polso, ma mio padre le fece volare in giardino… Ma questa è
un’altra storia)
3. Il primo libro che mi è stato regalato (intendo libro da
leggere, non da sfogliare per guardare le immagini) fu in occasione di un mio
onomastico, a sei anni (“S. Elena 1971. Alla cara Elenuccia con tanti auguri.
Zia Eleonora e Franco”, recita la dedica scritta con la penna rossa: la sorella
di mia madre e il suo allora fidanzato): si trattava di Cuore di De Amicis, anzi del ‘libro Cuore’ come si diceva, un libro considerato classico per i ragazzi,
impossibile prescinderne: ero forse un po’ piccola per leggerlo, ma lo feci
poco dopo, non ricordo bene quando.
Photo HelenTambo on Instagram |
Di seguito, sempre perché ricevuti in
regalo, cominciai a leggere altri classici per ragazzi e fu il tempo de La piccola Dorrit di Dickens, Piccole donne e Una ragazza fuori moda della Alcott, La capanna dello zio Tom di Harriet Beecher Stowe, Incompreso di Florence
Montgomery, Pattini d’argento di Mary
Mapes Dodge e così via, tutti titoli che si vedevano frequentemente nelle
piccole librerie dei ragazzini di allora (anni Settanta).
Cominciavano a non bastarmi i miei, che
pure leggevo e rileggevo: in vacanza in Puglia dalla nonna, nei pomeriggi
assolati e caldi in cui era impossibile pure pensare senza sudare, presi
l’abitudine di saccheggiare la libreria ricchissima della cugina Maria Grazia
(molto più grande di me, pensandoci erano solo sette anni di differenza, ma in
quel momento, a quell’età erano davvero tanti, lei era ‘grande’).
4. La scuola ha avuto un ruolo
importantissimo nella mia formazione di lettrice. La mia maestra delle
elementari, la signorina Dea Gisella Puccini di Civitavecchia, regalava ai suoi
alunni un libro in occasione della loro Prima Comunione: a me regalò una
raccolta di biografie di personaggi celebri, tra i quali ricordo Salvo D’Acquisto,
Fausto Coppi, Jacques Cousteau, Albert Einstein, Albert
Schweitzer, che si intitolava Eroi dei
nostri tempi, anche questa letta e riletta (la conservo, ovviamente). E più
tardi, alle medie, l’ora di narrativa: il primo anno Il vento sull’erba nuova di Klara Jarunkova, il secondo Il barone rampante di Calvino e poi Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu,
questi ultimi due titoli nell’edizione della collana di narrativa per ragazzi
di Einaudi, quella famosa con la copertina bianca e i profili rossi.
Da lì ho cominciato a procedere da
sola, un titolo tirava l’altro, quasi come se andassero di conseguenza, oggi si
direbbe che procedevo per link: il primo libro comprato da sola in libreria,
con i soldi che venivano da regali di compleanno, messi via religiosamente, fu
la trilogia I nostri antenati, dopo
la lettura de Il barone rampante,
tanto per fare un esempio. E poi in quinta ginnasio un brano in inglese tratto
da Lord of the Flies di William
Golding, mi spinse a comprare subito l’edizione italiana Oscar Mondadori.
5. Ultimo punto, la famiglia. In
particolare mia madre: abbonata al Club degli Editori, faceva la collezione dei
premi Strega e quando ebbi undici anni mi disse che potevo leggere un libro da
grandi. Era Lessico famigliare di
Natalia Ginzburg, a cui fece seguito pochi anni dopo La ragazza di Bube, di Cassola. Anche in questo caso poi sono
andata per collegamenti e ho letto tutto Cassola e di conseguenza altri autori
neorealisti, in gran parte trovati nella ricchissima biblioteca di mamma.
Photo HelenTambo on Instagram |
Molti
di quei libri sono stati furti autorizzati, come mi piace dire: li ho messi
nella mia piccola libreria di ragazza a casa dei miei e poi portati via con me,
quando ho lasciato la mia stanza, la mia casa. Ancora oggi, quando vado a
trovare i miei genitori, ‘rubo’ i libri.
Sicuramente nel raccontare le mie origini
di lettrice forte, ho trascurato qualcosa, ad esempio il ruolo della
televisione: molti autori li ho scoperti grazie agli sceneggiati televisivi,
penso a Cronin o a Pratolini (chi si dimentica il Metello con Massimo Ranieri?) o ancora a Carlo Bernari (Tre operai, 3 puntate di
Citto Maselli con la sceneggiatura di Enzo Siciliano, questa era la Rai nel
1980). Il tutto l’ho raccontato intanto per dare un ordine a quelli che sono i
miei ricordi frammentari e poi per arrivare a concludere che però, nonostante
gli input importanti ci siano stati per me e per molti miei coetanei, è stata sicuramente
questione di ambiente e di istruzione, ma anche di attitudine naturale. Oggi il
livello medio di alfabetizzazione è più alto, grazie anche all’obbligo
scolastico elevato a sedici anni, eppure nelle case degli italiani circolano
pochi libri. La scuola, nonostante la tanto proclamata autonomia dei docenti, è
molto meno libera di quanto non lo fossero i nostri insegnanti di
trenta/quaranta anni fa, meno stritolati dalle logiche del mercato
dell’editoria scolastica rispetto a chi oggi opera nella didattica. Questi
elementi, per non dire delle ‘scorciatoie’ intellettuali a cui sono abituati i
nostri ragazzi oggi, sono impedimenti oggettivi e concreti alla formazione di
nuovi lettori, a cui manca però la principale motivazione, quella della
scoperta autonoma e dello sviluppo di capacità critiche incondizionate.
Purtroppo.
PS. Il primo che mi chiama Elenuccia è un uomo morto.
Ma che bello!!! vado subito a linkarlo nel mio post!!!
RispondiEliminaComplimenti!
p.s. anche mia madre era una lettrice del Club degli editori :D
Simona