domenica 21 luglio 2013

Come fu che imparai a leggere... (e come non ho mai smesso)


Un libro è sempre la descrizione
 di come uno si immagina il mondo
(C. Pavese)

Questo piccolo intervento nasce come risposta alla ‘provocazione’ di
Daniele Bergesio e alla successiva replica di Simona Scravaglieri, che sui loro blog hanno parlato di come hanno imparato a leggere, certo non intendendo l’acquisizione di una delle quattro abilità di base (insieme a ascoltare, parlare e scrivere), ma il diventare Lettori con la elle maiuscola, cioè lettori appassionati e competenti, in una parola, ‘forti’.
La lettura dei loro post ha innescato una serie di ricordi, che poi sono quelli che sistematicamente mi tornano in mente ogni volta che cerco di spiegare il motivo di tanta mia passione per i libri e di come fosse stato facile e naturale diventare una lettrice metodica fin da ragazzina, mentre oggi i giovani sono tanto restii a prendere in mano un libro e chi di loro lo fa è quasi considerato una mosca bianca.
Ma provo ad andare con ordine.
1. Prima premessa. Non voglio dire qui quello che dico sempre (che però credo fermamente) e cioè che ‘ai miei tempi’ i ragazzini non avevano tutte le distrazioni che hanno quelli di oggi, che spesso non si sapeva come impiegare il tempo e quindi si leggeva per ammazzare la noia, che in tv esistevano solo due canali, in bianco e nero per di più, e che i programmi non iniziavano prima delle quattro del pomeriggio o giù di lì, che non avevamo tutta questa libertà di uscire da soli, al massimo si giocava in cortile con gli altri ragazzi del condominio o si andava in parrocchia, non c’erano Internet, Facebook, i videogiochi ecc ecc.
Fuffa. Non che non sia vero tutto questo, l’ho detto che ci credo, ma penso anche che non siano questi i soli motivi che mi hanno spinto ad ‘imparare a leggere’ e che allo stesso tempo impediscano i giovani di oggi a fare lo stesso. Nel mio caso si è trattato di una serie di incontri fortunati, in famiglia e a scuola.
2. Seconda premessa. Quando ero ragazzina il regalo più ovvio che potevi ricevere, non appena avevi superato l’età dei giocattoli e non avevi compiuto ancora quella dei profumi, era un libro. In un periodo in cui non si era tanto abituati alla soddisfazione di capricci e i regali ti arrivavano solo alle feste comandate, un libro era un dono abbastanza banale, ma si accettava con entusiasmo proprio perché le occasioni erano davvero contate (ora che ci penso una volta i miei zii Mattia e Gregorio, fratelli di mamma, mi regalarono le famose palline che, attaccate a due tratti di corda legati ad un anello in plastica che si teneva tra pollice e indice, si facevano sbattere producendo un rumore infernale, soprattutto perché continuo, e la possibilità di traumi al polso, ma mio padre le fece volare in giardino… Ma questa è un’altra storia)
3. Il primo libro che mi è stato regalato (intendo libro da leggere, non da sfogliare per guardare le immagini) fu in occasione di un mio onomastico, a sei anni (“S. Elena 1971. Alla cara Elenuccia con tanti auguri. Zia Eleonora e Franco”, recita la dedica scritta con la penna rossa: la sorella di mia madre e il suo allora fidanzato): si trattava di Cuore di De Amicis, anzi del ‘libro Cuore’ come si diceva, un libro considerato classico per i ragazzi, impossibile prescinderne: ero forse un po’ piccola per leggerlo, ma lo feci poco dopo, non ricordo bene quando. 
Photo HelenTambo on Instagram
Di seguito, sempre perché ricevuti in regalo, cominciai a leggere altri classici per ragazzi e fu il tempo de La piccola Dorrit di Dickens, Piccole donne e Una ragazza fuori moda della Alcott, La capanna dello zio Tom di Harriet Beecher Stowe, Incompreso di Florence Montgomery, Pattini d’argento di Mary Mapes Dodge e così via, tutti titoli che si vedevano frequentemente nelle piccole librerie dei ragazzini di allora (anni Settanta).
Cominciavano a non bastarmi i miei, che pure leggevo e rileggevo: in vacanza in Puglia dalla nonna, nei pomeriggi assolati e caldi in cui era impossibile pure pensare senza sudare, presi l’abitudine di saccheggiare la libreria ricchissima della cugina Maria Grazia (molto più grande di me, pensandoci erano solo sette anni di differenza, ma in quel momento, a quell’età erano davvero tanti, lei era ‘grande’).
4. La scuola ha avuto un ruolo importantissimo nella mia formazione di lettrice. La mia maestra delle elementari, la signorina Dea Gisella Puccini di Civitavecchia, regalava ai suoi alunni un libro in occasione della loro Prima Comunione: a me regalò una raccolta di biografie di personaggi celebri, tra i quali ricordo Salvo D’Acquisto, Fausto Coppi, Jacques Cousteau, Albert Einstein, Albert Schweitzer, che si intitolava Eroi dei nostri tempi, anche questa letta e riletta (la conservo, ovviamente). E più tardi, alle medie, l’ora di narrativa: il primo anno Il vento sull’erba nuova di Klara Jarunkova, il secondo Il barone rampante di Calvino e poi Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu, questi ultimi due titoli nell’edizione della collana di narrativa per ragazzi di Einaudi, quella famosa con la copertina bianca e i profili rossi.
Da lì ho cominciato a procedere da sola, un titolo tirava l’altro, quasi come se andassero di conseguenza, oggi si direbbe che procedevo per link: il primo libro comprato da sola in libreria, con i soldi che venivano da regali di compleanno, messi via religiosamente, fu la trilogia I nostri antenati, dopo la lettura de Il barone rampante, tanto per fare un esempio. E poi in quinta ginnasio un brano in inglese tratto da Lord of the Flies di William Golding, mi spinse a comprare subito l’edizione italiana Oscar Mondadori.
5. Ultimo punto, la famiglia. In particolare mia madre: abbonata al Club degli Editori, faceva la collezione dei premi Strega e quando ebbi undici anni mi disse che potevo leggere un libro da grandi. Era Lessico famigliare di Natalia Ginzburg, a cui fece seguito pochi anni dopo La ragazza di Bube, di Cassola. Anche in questo caso poi sono andata per collegamenti e ho letto tutto Cassola e di conseguenza altri autori neorealisti, in gran parte trovati nella ricchissima biblioteca di mamma. 
Photo HelenTambo on Instagram
Molti di quei libri sono stati furti autorizzati, come mi piace dire: li ho messi nella mia piccola libreria di ragazza a casa dei miei e poi portati via con me, quando ho lasciato la mia stanza, la mia casa. Ancora oggi, quando vado a trovare i miei genitori, ‘rubo’ i libri.

Sicuramente nel raccontare le mie origini di lettrice forte, ho trascurato qualcosa, ad esempio il ruolo della televisione: molti autori li ho scoperti grazie agli sceneggiati televisivi, penso a Cronin o a Pratolini (chi si dimentica il Metello con Massimo Ranieri?) o ancora a Carlo Bernari (Tre operai, 3 puntate di Citto Maselli con la sceneggiatura di Enzo Siciliano, questa era la Rai nel 1980). Il tutto l’ho raccontato intanto per dare un ordine a quelli che sono i miei ricordi frammentari e poi per arrivare a concludere che però, nonostante gli input importanti ci siano stati per me e per molti miei coetanei, è stata sicuramente questione di ambiente e di istruzione, ma anche di attitudine naturale. Oggi il livello medio di alfabetizzazione è più alto, grazie anche all’obbligo scolastico elevato a sedici anni, eppure nelle case degli italiani circolano pochi libri. La scuola, nonostante la tanto proclamata autonomia dei docenti, è molto meno libera di quanto non lo fossero i nostri insegnanti di trenta/quaranta anni fa, meno stritolati dalle logiche del mercato dell’editoria scolastica rispetto a chi oggi opera nella didattica. Questi elementi, per non dire delle ‘scorciatoie’ intellettuali a cui sono abituati i nostri ragazzi oggi, sono impedimenti oggettivi e concreti alla formazione di nuovi lettori, a cui manca però la principale motivazione, quella della scoperta autonoma e dello sviluppo di capacità critiche incondizionate. Purtroppo.
 
PS. Il primo che mi chiama Elenuccia è un uomo morto.

1 commento:

  1. Ma che bello!!! vado subito a linkarlo nel mio post!!!
    Complimenti!
    p.s. anche mia madre era una lettrice del Club degli editori :D
    Simona

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