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giovedì 7 maggio 2015

Ultima lettura: "Villa Ventosa" di Anne Fine


Villa Ventosa

Autore: Fine Anne
Dati: 2000, 211 p., brossura
Editore: Adelphi



«Siediti su una seggiola, cara» le bisbigliò la signora Collett
a voce un po’ troppo alta. «Sembri una balena arenata»

Quale madre si rivolgerebbe così ad una figlia, anche se questa è decisamente goffa, sovrappeso, piagnucolosa? Ecco, Lilith Collett, lei sì. Lei, madre di quattro figli (tre femmine diversissime tra loro e un maschio, dichiaratamente omosessuale), non ha nessun problema a dimostrare la scarsa attitudine alla premura materna, è caustica e critica, sottilmente ironica nei confronti di tutti, nasconde malamente il fastidio arrecatole dalla presenza dei figli quando vanno a trovarla e allo stesso tempo pretende da loro attenzione e considerazione.
Photo HelenTambo on Instagram
Le tensioni emergono forti quando Barbara, la figlia impacciata, grassa e frignona, annuncia il suo matrimonio con un giovane sconosciuto, che si scoprirà essere anche un bellissimo e misterioso ragazzo: non solo Barbara incredibilmente si sposa, ma lo vuole fare nella cornice di Villa Ventosa, la dimora di famiglia nel cui giardino lei, le sorelle Gilly e Tory e il fratello William hanno vissuto meravigliose avventure da bambini. Non c’è un altro posto per fare festa, se Barbara non potrà sposarsi là, le sembrerà di sposarsi solo a metà. Lilith non cede, rifiuta il suo consenso per motivi che starà al lettore scoprire e da lì in poi la narrazione procederà con effetti comici e sorprendenti fino all’epilogo quasi fiabesco (e per questo inaspettato, perché sarebbe più facile prevedere una conclusione in linea con tutta la narrazione quasi farsesca).
Di fiabesco a ben guardare però c’è solo forse il finale, perché in realtà l’atmosfera che si respira durante la lettura è quella cui dà forma il carattere difficile della protagonista, Lilith: Villa Ventosa e il suo parco rappresentano per lei il luogo in cui si è consumata una vita familiare verso la quale ha sempre provato fastidio. Per questo forse la sua rabbia mal contenuta si scarica sulle piante del giardino, alcune rare e preziose, che sistematicamente strappa o svelle, riducendo angoli incantevoli a lande desolate e spoglie, in una smania di ‘pulizia’.
Un tema così delicato, quello della maternità subita, è trattato da Anne Fine con somma grazia e stile: anche le battute più sarcastiche, gli atteggiamenti più finti, i pensieri più scomodi di Lilith Collett sono resi con divertita partecipazione e con notevole sense of humor. Tutti i personaggi di questo romanzo sono disegnati con estrema attenzione verso i dettagli, soprattutto dal punto di vista dei caratteri. In particolare, oltre a Lilith, emerge Caspar, il ginecologo compagno di William, una specie di deus ex machina per il matrimonio di Barbara.
A chi mi ha chiesto di dire in poche parole di che tratta “Villa Ventosa”, ho risposto così: una famiglia un po' bislacca, una mamma terribile che passa il tempo a sradicare le piante del suo meraviglioso giardino, nulla di buonista ma tutto molto politicamente scorretto e per questo adorabile. Da leggere.

lunedì 2 marzo 2015

Ultima lettura: "Accabadora" di Michela Murgia


Accabadora

Autore: Murgia Michela
Dati: 2014, 166 p., brossura; prima ed. 2009
Editore: Einaudi (collana Super ET)

Le colpe, come le persone,
iniziano a esistere se qualcuno se ne accorge.

L'ho letto voracemente, incantata da una storia d'altri tempi eppure neanche troppo lontana, trovandolo bello e commovente. Gli ho dato una valutazione di cinque stelle su Goodreads, trascurando una riflessione più profonda a cui mi sono dedicata in un momento successivo al primo entusiasmo, a lettura appena conclusa.
Come nessuno nasce da solo ma ha bisogno di chi lo aiuti a venire al mondo, a uscire dal ventre materno, a farsi recidere il cordone ombelicale, allo stesso modo abbiamo bisogno di aiuto per andarcene all’altro mondo e per farlo serve innanzitutto che non ci sia niente e nessuno a trattenerci. Lo sa bene Bonaria Urrai, che aiuta chi se ne deve andare a slacciare gli ultimi legami con la terra, per alcuni matrigna.
Photo HelenTambo on Instagram
E a proposito di ‘terra matrigna’, al concetto di maternità è legata buona parte del romanzo, che vede la vecchia Tzia Bonaria, la sarta di Soreni, prendere con sé la piccola Maria, togliendola da un ambiente familiare deprivato e dandole cibo e istruzione, oltre a un forte affetto autentico, solido e privo di fronzoli. Fili'e anima, così si chiamava chi veniva adottato senza tribunali dei minori e senza carte bollate che lo sancissero: Bonaria per Maria sarà una madre severa e attenta, sia pure rispettosa della sua individualità.
Bonaria Urrai non è solo madre di Maria, ma è l’ultima madre per tanti, la femina abbacadora (o
femina agabbadòra, dal sardo s'acabbu, "la fine"), cioè la donna che si metteva a disposizione per uccidere gli anziani ormai prossimi alla morte, in una forma di eutanasia pietosa fuori dalle leggi umane e religiose. Questo Maria non lo capisce subito, ma ad un certo punto comincerà a mettere insieme alcuni indizi, alcuni movimenti notturni, alcuni comportamenti misteriosi che le sveleranno la vera natura della donna che amorevolmente l’ha cresciuta.
Il racconto di Murgia mette insieme una storia di tradizioni antiche, fatte di riti e cibo e credenze e superstizioni. Ci consegna una Sardegna arcaica, incastonata in un tempo tra gli anni Cinquanta e Sessanta e tuttavia apparentemente immobile: sembra che in quell’angolo sperduto dell’isola il tempo si sia fermato, sempre uguale a se stesso, con il solo avvicendarsi delle stagioni, di vendemmia in vendemmia.
Tra la Sardegna aspra, rozza e arretrata di Grazia Deledda e quella magica di Salvatore Niffoi, l’Autrice presenta la sua terra caricandola di un’ambientazione chiusa e ostile, forse fedele alla natura di un popolo generoso eppure diffidente, schiacciato nel momento storico in cui è ambientato “Accabadora”, tra civiltà pastorale e sviluppo dei consumi;  allo stesso tempo la priva dell’elemento più naturale e spontaneo, la lingua materna, relegata qui al solo lessico del cibo e di qualche aspetto più strettamente etnografico. Proprio questa scarsa aderenza al realismo linguistico, che forse l’argomento e l’ambientazione avrebbero imposto, giustifica il giudizio di chi conosce bene la Sardegna e non vi si è riconosciuto.
Ma a chi come me della Sardegna ha un’immagine forse stereotipata ma comunque affascinante, questo romanzo può piacere molto.